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sarà cascato per la scala di cantina.—

      —O avrà creduto che qualche marito volesse chiudere un occhio, ed il marito invece l’avrà fatto serrare a lui.—

      E nel dir codeste pazzie, con molto sghignazzare, tutti avean gli occhi addosso a Fanfulla.

      Questi dapprincipio non badava loro nè punto nè poco, come colui che aveva un pensiero importante pel capo che l’occupava, e che non essendo mai stato uso a sentirsi uccellare, non s’immaginava vi potesse essere chi si prendesse tanta sicurtà con esso lui. Pure alla fine messosi in sospetto e dato retta un momento conobbe che l’avean proprio colla persona sua: girando l’occhio vide non esservi altro frate in anticamera; sentì quel certo moto del pericardio che si prova quando salta la stizza; ma fresco ancora del sermone di Fra Benedetto, e dei propositi formali di non tornare alle usanze antiche, disse in cuor suo, soffiando pure un poco, e raccogliendo le gambe sotto la tonaca:

      —Animo, Fanfulla, non ricominciar da capo colle tue!....—

      Ed abbassati gli occhi s’ingegnò di prender un’aria modesta, che stava bene a quel suo viso, come starebbero bene due baffi da granatiere sul volto d’una Madonna di Raffaele.

      Ma la beffa, il ridere, e le parole di scherno seguitavano: in tutta la persona di Fanfulla non appariva altra dimostrazione di ciò che provava nel suo interno, fuorchè un dimenar frequente delle ginocchia che andavano in su e in giù col moto di un asinello che trotti: ma dentro il sangue gli faceva come l’acqua d’una pentola che stia per levare il bollore.

      Sul suo capo stava fisso nel muro alto cinque braccia da terra un di quegli oriuoli che si fanno movere coi contrappesi, e questi penzolavano appunto a quattro dita dal naso di Fanfulla, che li vagheggiava, come uno scolare vagheggia un grappolo d’uva al quale non può aggiungere, e diceva tra i denti:

      —Guardate se non pare che mi vengano sotto mano per dispetto, e per uccellarmi anch’essi, ora che sanno che fo il santo e non li posso adoperare! Fosse dieci anni fa! Cari i miei piacevoli, vedreste come ve ne manderei un pajo sul groppone ad insegnarvi la creanza.—

      E mentre con un sospiro dava a conoscere quanto a quel punto, l’impegno di far il santo gli riuscisse malagevole, la sua mano quasi da se si sollevava verso que’ bei cilindri di piombo, che avrebbero potuto servir così mirabilmente di projettili in quella circostanza, e gli accarezzava facendoli girar tra le dita. Che tentazione tremenda!.... ma il lettore non si sgomenti, Fanfulla n’uscì vincitore.

      I suoi avversarj intanto fatti più sicuri dal suo silenzio seguitavano: la cosa cominciava a puzzar d’indiscrezione. Un soldatello giovanetto smilzo e sbarbato volle anch’esso dir la sua sull’occhio del Frate; che sentendosi pungere da un pazzarellino di quel taglio non la potè mandar giù. Balzò in piedi, ridivenuto a un tratto il Fanfulla di una volta, e movendosi lentamente verso il gruppo degli ufficiali, disse col modo di chi proprio n’ha piene le tasche:

      —E’ vi dovrebbe ricordare, cari miei signori, di quel bel proverbio, che ogni bel giuoco dura poco; e questo se non isbaglio principia a durare assai..... E voi bel zittello (volto al giovanetto che avea parlato l’ultimo) ingegnatevi di campare e di mettervi in corpo un po’ di ben di Dio, che a voler far il soldato con quelle spalle d’attaccapanni, vi vedo e non vi vedo, tanto mi parete tisicuzzo, e tristanzuolo.... e del resto poi sappiate che quest’occhio me l’ha fatto schizzare la punta d’una picca spagnuola alla battaglia di Ravenna; quando a voi la balia tirava su le brache...., che questa tacca che porto nella memoria, la toccai per voler difendere quel valoroso signore del re Francesco alla giornata di Pavia, quando la balia dava a voi la pappa e le sculacciate.... che queste due dita sono state seminate a Marignano per opera d’uno spadone a due mani d’uno Svizzero d’Undervald, quando a voi la balia.... Ma l’ultima impresa di questa benedetta balia se la disse Fanfulla, noi la lasceremo nella penna, per brevità.

      —Ora, seguiva, per non tenervi a disagio, vi dirò tondo come la bocca d’un pozzo, che se non fossi frate, ed avessi ancora la mia pelle d’una volta, già v’avrei chiamati qui fuor dell’uscio per dirvi una parolina come s’usa tra soldati: ma trovandomi con questa tonaca indosso, almen per ora, vi pregherò di farmi tanta finezza di lasciarmi pe’ fatti miei, che non son uso ad essere il trastullo delle brigate, e la pazienza[17] l’ho soltanto sopra la tonaca.

      A quest’intemerata costoro (ed il giovanetto più degli altri) rimasero goffi ed isconfitti, come accade sempre a chi cerchi di sonare, e invece sia sonato. Presero il partito che deve prender sempre in simil caso chi ha un filo di giudizio, si diedero il torto, scusandosi il meglio che poterono, ed il solo di tutti loro che non avea mai aperto bocca sin allora, ed era uomo già innanzi cogli anni, disse ridendo:

      —Quando stavo cogli spagnuoli ho imparato il proverbio che tal va.... o tal cree tosar, y vuelve trasquilado[18].

      Con questa barzelletta la cosa si volse in riso. Ma lo sbaglio preso destò in tutti gran curiosità di saperne più in là sul fatto d’un uomo così strano. Lo pregarono però umanamente a voler palesare chi egli fosse, ed alcuni, che s’eran trovati ai fatti d’arme accennati da lui, instavano più degli altri attorniandolo.

      Fanfulla, come tutti gli uomini attempati e che n’hanno passate di molte alla vita loro, amava narrare e parlar di sè: onde senza farsi pregare disse di dove egli era, nominò i suoi parenti, e quando finalmente, dopo aver detto il suo nome aggiunse:

      —Però tra soldati fui sempre chiamato Fanfulla...—

      Scoppiò un Oh! generale di maraviglia e d’allegrezza; chè in quel tempo insino i fanciulli sapevano della famosa disfida vinta dagl’Italiani ventisei anni innanzi, e conoscevano i nomi degli uomini d’arme che avevano combattuto in essa, i quali tra soldati erano tenuti in grandissimo onore.

      Fra i caporali che si trovavan costì ve n’era uno che avea militato nell’esercito spagnuolo sotto Consalvo: era stato spettatore del combattimento a Barletta, ed avea nome Boscherino. Aperse le braccia, le gittò al collo di Fanfulla, dicendo:

      —E chi diavolo t’avrebbe riconosciuto con questo fodero bianco e nero.... Fanfulla frate! Oh! oh! oh! Prima di morire posso sperar di vedere il Soldano cardinale! Ma abbi pazienza, lasciatelo dire, stavi meglio colla daga sulle reni... E così non mi riconosci?... Si vede bene che se non ho mutato pelle ho però mutato pelo. Boscherino?.... ci siamo invecchiati, ma ancora le gambe ci portano.—

      —Ci portano anche troppo, almeno parlo per me, rispose Fanfulla raffigurando l’antico camerata e facendogli festa, se non mi portassero tanto me ne sarei stato zitto e quieto in convento; e quando c’entrai, fanno due anni, mi pensavo che mi fossero usciti per sempre i ruzzi dal capo, chè con tanti malanni, e quell’ultima nespola del sacco di Roma soprammercato, mi sentivo crocchiare come un tronco di lancia fesso... Che vuoi? con due anni di quiete e ogni giorno tavola imbandita, son tornato polledro.—

      E qui cominciò tra i due amici un dialogo tanto pieno di ti ricordi di questo, ti ricordi di quest’altro, che non la finivano più. Disse alfine Boscherino dopo aver rammentati molti antichi compagni:

      —E quel povero Ettore! Ti ricordi? Quel pazzo malinconico, si pensava esser al tempo di Tristano e della regina Isotta!... far quella fine! Ma se l’è proprio cercata col lanternino... Non voleva bere, figurati! Io glielo dicevo, quando lo vedevo con quella faccia d’ammazzato.... Ettore, andiamo da... da... come diavolo avea nome quell’oste del Sole? Ah! mi ricordo, Arsenico. Andiamo da Arsenico, gli dicevo: aveva un trebbian di Dio, di quello che ci si schioppa la frusta.... che vuoi, era come dirgli vola.... E tu non bere, dicevo io, e te n’avvedrai.... e difatti non dubitare che non mi ha voluto far bugiardo. E poi, a chi dich’io? tu eri con lui nella compagnia, lo sai...—

      —Lo so anche troppo, interruppe Fanfulla riprendendo la faccia modesta e compunta, non me ne parlare. Io, pazzo da catena, fui allora causa di tutto il male.... io indussi in errore quella povera donna....—

      —Come? come?—domandò con premura Boscherino.

      —Oh quanto poi al come, rispose l’altro,

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