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colle calze a liste de’ colori medesimi.

      Teneva in ispalla una lunga partigiana, e passeggiava sollecito sotto l’androne dell’entrata battendo i piedi per riscaldarsi.

      Gli uomini di guardia, avvolti ne’ mantelli, russavano in un angolo sdrajati sulla paglia presso un mucchio di cenere e di carboni spenti, avanzo del fuoco che s’era fatto durante la notte.

      Al primo piano tutti parimenti dormivano. Il solo Malatesta era già desto da un pezzo. Stava a sedere su un letto in forma di rettangolo, di legno nero lavorato di tarsia; le facce divise in compartimenti, e su ognuno di questi era rappresentata una storia di mitologia in basso rilievo. Le cornici che chiudevano queste istorie, presentavano un curioso e complicato intreccio di fogliami, di figure d’animali, di mascherine e d’ogni qualità d’arabeschi. Il letto sorgeva su una predella che correva intorno alta un palmo dal pavimento.

      Accanto al letto sopra una tavoletta tonda retta da una figura d’atlante tutta curva e scontorta, ardeva una lucerna d’argento: attorno a quella erano gettati in disordine un bellissimo pugnale co’ suoi cordoni a fiocchi per appiccarlo, anelli e collane, un reliquiario ed un giojello di forma così strana, che riusciva difficile indovinarne l’uso. Era una gemma tonda e schiacciata come una moneta del color del balascio legata in un filetto d’acciajo. Per una punta parimenti d’acciajo innestata nella legatura rimaneva sospesa per virtù d’attrazione ad un ago calamitato, che stava fisso nella parte superiore d’un cerchio entro il quale rimaneva in bilico la gemma. Il cerchio stava fisso su un piccolo piedestallo di legno nero: il tutto poi segnato di lettere e di segni cabalistici.

      La camera era parata di cuojo rosso rabescato in oro: quadri alle pareti, seggioloni a bracciuoli all’intorno pure di cuojo, pieni di borchie e di frangie. Due grossi mastini russavano accovacciati in un angolo.

      L’aspetto di Malatesta era quello d’un morto dissotterrato. Cavi gli occhi e le guance: la pelle d’un livido piombino: la barba e i capelli così folti un tempo, radi adesso e malfermi che per nulla si schiantavano e cadevano. Aveva infilato sulla camicia un giubbone di sciamito rosato, che rimaneva aperto d’avanti, e lasciava vedere un petto scarno, ove si sarebber potute numerare le costole. Eran queste coperte dalla sola pelle, che tra l’una e l’altra s’avvallava in solchi profondi. Umori densi e viziati fermandosi alle giunture vi s’erano rappresi ed induriti in modo che ne imprigionavan i moti, e rendevano le braccia in ispecie pressochè attratte.

      Stava sorbendo lentamente un gran bicchiere di decotto che avea tolto dalla tavola vicina, e guardava con un ghigno sardonico un Frate che gli sedeva dirimpetto a due passi dal letto.

      Questi vestiva l’abito di S. Francesco. Il cappuccio gli nascondeva il viso e gli occhi in modo che non appariva altro se non un po’ di naso, e due guance vermiglie e ben nutrite. La barba che era bianca e grandissima copriva bocca e mento, e veniva terminando diradata al cordiglio.

      Stava a capo basso, tenendosi con una mano il mento, gonfio il petto di sospiri, ed al vedere, tutto assorto in pensieri che lo turbavano fieramente.

      Mormorava sotto voce:

      —Sarebbe troppo una vil cosa! non sarebbe mai possibile... non me la sento...—e seguitava a tener gli occhi a terra, chè se gli avesse alzati in viso a Malatesta, ed avesse veduto quel riso diabolico credo si sarebbe cacciato a fuggire. Buon per lui se così avesse fatto.

      Disse alla fine il Baglioni con un fare di scherno, e tutto pace al tempo stesso:

      —Non se ne parli più.... Non mancherà ai signori Medici chi voglia far loro questo poco di servigio senza tanti lezj e tante fanciullaggini.... Lo sai, eh? che vi son fanciulli di dieci, di venti.... di cinquanta.... insino di settant’anni?—Messer Baccio Valori che fa sì gran capitale di te pare che non lo sappia però.... Va, va, non mancherà chi voglia corre la palla al balzo, se tu non vuoi. E quando sul portone di palagio staranno le palle vi sarà qualcuno che sguazzerà in casa i Medici, ed attenderà a darsi buon tempo, e verrà portato a cielo, e non gli mancheranno nè cavalli (Malatesta parlava adagio pronunciando spiccata ognuna di queste parole) nè cani.... nè cornacchie..... nè vesti.... nè oro.... nè balli.... nè commedie... e se punto punto, alcuno gli darà noja, e’ si potrà cavare di strane voglie: e tu lo vedrai e dirai Ov’è costui potevo esser io.... Ti so dire che ti parrà un bel diletto.—

      Il Frate soffiava, il petto gli s’alzava pe’ sospiri, ma pur taceva.

      —Vero è, proseguiva Malatesta, che queste cose e’ sarà pel tuo migliore il non vederle e metterti Firenze dietro le spalle. Ai signori Medici non dovrebbe andar troppo a sangue che un uomo il quale ne ha saputo tanto de’ fatti loro, e non gli ha voluti servire, abbia a sentire ancora il sapor del pane.—

      In questo punto l’oriuolo della torre di Palagio suonò le dieci ore[15].

      —Tra un’ora è giorno. Vatti con Dio. Ma tieni a mente, se il diavolo ti tentasse, d’impacciarti più di cose di Stato, che e’ conviene esser uomo e non fanciullo a mettersi a codesta bisogna; e ricordati poi sempre che questa (si toccò la lingua colla punta dell’indice) talvolta fa cadere il capo.... e se trapelasse nulla di ciò che è stato detto tra noi... que’ due mastini so che non avran parlato, onde saprò con chi me l’avrò a pigliare....—

      —Un tradimento a quel modo!—diceva il Frate parlando con se stesso.

      —Un tradimento! ripetè due volte Malatesta col suo solito riso, sta a vedere che converrà andar dagli Otto e dir loro Sappiate che vi vogliamo torre lo Stato per darlo a’ Medici, onde fate buona guardia... E’ mi pare che abbi il cervello sopra la berretta!...

      —Ma quello sventurato vecchio.... la figlia, la famiglia!....—

      —Oh? son eglino de’ Bardi, degli Strozzi, dei Frescobaldi?.... E’ pare che sia qualche gran casa, che s’abbiano ad aver tanti rispetti! Pajonti questi, pensieri di gentiluomo par tuo? quando si tratta di sì grandi cose, che principi e signori vi metton la vita, e tu mi stai a mercantare un lavoratore di seta, come se fosse de’ reali di Francia?—

      Il Frate s’alzò ad un tratto come se una molla l’avesse spinto su dal seggiolone. S’accostò al letto, prese la mano a Malatesta, gliela strinse, e disse con voce rabbiosa:

      —Farò tutto... che sia maladetta l’ora in cui nacqui al mondo!—

      Malatesta rise di quella furia: e ritratta a se la mano, con un certo chè di sprezzo soggiunse:

      —Oh! oh! Hai mutato pensiero? Gli scrupoli son passati?... Quanti minuti durerà questa risoluzione?—

      —Durerà anche troppo pel mio malanno. E se romperò il collo in questa impresa, e’ mi starà molto bene.—

      —Ora ascoltami, disse Malatesta mutando voce e modi ad un tratto. Quanto a questo chi non vuol porsi a rischio nessuno, ha a rimanere nel carruccio del babbo. Ma chi vuol uscirne e diventar uomo da qualcosa e non consumar la vita sua vilmente a innaspar lana, o a cimar panni, e’ convien commettersi alla fortuna. Credi tu che i Medici ti vorranno far grande e ricco, perchè quand’era tempo d’operare tu invece stavi a grattarti il corpo? A te sta la scelta. Ben sai che codesta casa ha sempre rimeritato i servigi da quella casa ch’ella è, come ha fatto le vendette a misura di carbone. E se i suoi vecchi non avessero avuto altr’animo di quello che tu hai, l’impresa delle Palle starebbe ora appiccata sulla porta d’un fondaco, e non su pei palagi e per le fortezze... Il mondo è di chi se lo piglia e non di chi si ravvolge tra tanti scrupoli e tante paure.—

      —Orsù, sarà fatto... Se pure si presenterà l’occasione... chè così alla prima non vedo strada.—

      —Oh pensa se Niccolò non avrà caro di veder la Lisa maritata ad un par tuo.—

      —Niccolò? Ma lo sapete voi chi è Niccolò? La scannerebbe colle sue mani proprie prima di darla ad altri che a un Popolano... A me poi?... a uno di parte Pallesca? Si vede bene che la Vostra Magnificenza non lo conosce.... Se Niccolò sapesse come sta la cosa.... chi sa.... ma chi sarebbe tanto ardito di dirgliene?—

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