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pei danni ed interessi del non trovarsi al sacco di Firenze.

      Il papa sentendosi offeso perchè la repubblica avea mandati ambasciatori all’Imperatore e non a lui, si mostrava tanto infiammato a volersi vendicare che non v’era chi ardisse tentar di placarlo. Due soli cittadini fiorentini, Jacopo Salviati e Roberto Pucci, gli parlarono a viso aperto, facendogli considerare a quanto rischio mettesse la sua patria, ed a quanta infamia esponesse se stesso.

      Ma Clemente s’era fatto a credere che i Fiorentini fossero per piegarsi, prima d’esser ridotti agli estremi, nè si distolse punto dal suo proposito.

      Per cura del principe d’Orange l’esercito si trovò presto riunito nelle pianure intorno a Fuligno, in numero di trentacinquemila fanti, e circa milledugento cavalli. Tra questi si trovavano i tedeschi condotti in Italia da Giorgio di Frondsberg, o per dir meglio quelli avanzati alla guerra, alla peste di Roma, ed alla fame di Napoli, soldati veterani, valentissimi.

      I primi signori e condottieri d’Italia guidavano queste genti. Tra principali capitani si contavano D. Ferrante Gonzaga fratello del marchese di Mantova, Pier Luigi Farnese, Giovanni Battista Savello Marzio, Piero, Sciarra Colonna, il conte Pier Maria Rossi di S. Secondo di Parma, Alessandro Vitelli da Città di Castello, Braccio e Sforza Baglioni: più tardi sopravvenne il marchese del Vasto monsignor Ascalino Astigiano, e Giovanni da Sassatello, il quale avendo preso soldo da’ Fiorentini pensò bene senza render loro i danari di condurre i suoi tremila soldati al campo d’Orange.

      Fabrizio Maramaldo di nazione sardo senza esser nè condotto, nè chiamato a servir l’Imperatore, predava intanto e taglieggiava sul Sanese, e su quel di Volterra con tremila più malandrini che soldati.

      Questo era il bell’ordine di guerreggiare che s’usava in quel tempo.

      Perugia, Cortona, Arezzo caddero presto in mano degl’Imperiali che per il Val d’Arno di sopra scendevano senza grandi ostacoli verso Firenze.

      I progressi del nemico avevano alquanto commosso gli animi di molti cittadini, e la parte de’ moderati riuscì a persuadere che si mandassero oratori al papa. Si condussero a lui con gran difficoltà essendo rotte le strade, chiusi i passi, e corso il contado da saccomanni.

      La risposta di Clemente fu che «trattandosi dell’onor suo voleva che i Fiorentini si rimettessero in lui liberamente, e poi mostrerebbe a tutto il mondo, ch’egli era fiorentino anch’egli, ed amava la patria sua.»

      Tosto che l’esito di questa legazione fu noto in Firenze, gli animi di tutti, deposto ogni pensiero d’accordo, si volsero a crescer le munizioni ed a rinforzar le difese.

      I lavori delle mura che erano già molto innanzi si proseguirono con maggior alacrità, massimamente quelli intorno al bastione di S. Miniato, ed il gonfaloniere in persona li sollecitava con incredibile diligenza.

      Quando il sole era tramontato si continuava l’opera tutta la notte al lume de’ torchi.

      Agli operai ed a marrajuoli s’univano i soldati, i giovani, le donne, i vecchi, i fanciulli, ingegnandosi ognuno d’ajutare fin dove giungevan le forze trasportando terra, sassi, fascine, mettendosi a gara ai servigi più vili e più faticosi con quella fiera allegrezza che si desta all’avvicinarsi di grandissimi pericoli, in chi sa d’incontrarli per la giustizia.

      In breve le fortificazioni si trovarono condotte a termine d’essere inespugnabili per un esercito di quei tempi.

      A misura che il pericolo s’avvicinava la parte de’ Piagnoni diveniva più rigida contro i Palleschi. Molti di questi delle prime case di Firenze s’erano fuggiti spaventati dai pericoli dell’assedio, o dalle persecuzioni de’ loro avversarj, i quali li accusavano ai magistrati, gli oltraggiavano per le piazze e per le vie, e spesso avean tentato di manometterli.

      Dante da Castiglione, giovane feroce, ardentissimo, il Sorrignone, Cardinale Rucellai, Pietro Poldo dei Pazzi, Domenico Boni ed altri della setta nemica ai Medici, avean piena la città di queste loro insolenze e dicendo pugnare per la libertà, erano i primi a distruggerla.

      Gli uomini savii che pur conoscevano quanto simili modi fosser contrarj al viver libero, ciò non ostante li comportavano per non parer freddi, e venivan così strascinati da questi più furibondi, a prender partiti violenti ed estremi.

      A questo punto, per impedire che altri fuggisse dalla città, e far sì che i fuggiti ritornassero, tutti coloro che si trovavan fuori vennero citati per pubblico editto a doversi presentare al magistrato entro un tempo determinato. Quelli che non ubbidirono ebbero bando di ribelli, e vennero loro confiscati i beni. Alcuni però tornarono.

      A Baccio Valori, commissario pel papa al campo d’Orange, come a traditore della patria, venne inoltre posta una taglia di mille fiorini a chi lo desse vivo, a chi lo desse morto di cinquecento. Di più, secondo un’antica legge contro i traditori della patria, venne sfregiata e sdrucita una lista della sua casa da capo a piede.

      Al papa intanto venivano giungendo le nuove del campo d’ora in ora: udendo guastarsi tutto il contado con arsioni, ruberie e mille mali, forse glien increbbe, e fisso nella sua opinione che i Fiorentini fossero per diventar più manosi, ora che l’esercito si trovava nel cuore del loro stato, risolse innanzi che fosse diserto del tutto, mandare in Toscana l’arcivescovo di Capua. Gl’impose passasse per Firenze, che ancora si trovava aperta, sotto colore di portarsi presso il principe d’Orange, e vedesse così di suo se vi fosse modo che senza spinger le cose più oltre i Fiorentini si volessero piegare.

      Venne l’arcivescovo, alloggiò presso Agnolo della Casa, ma tosto si levò un rumore tra il popolo, ch’egli venisse per corrompere i capi della città.

      Furon mandati dalla Signoria quattro cittadini per intendere il motivo della sua venuta: rispose che andando al campo era passato di Firenze per sua comodità. S’offeriva nell’istesso tempo d’intromettersi tra i cittadini e Sua Santità.

      Quest’offerta non venne accettata, come s’era immaginato Clemente, e l’arcivescovo fu fatto accompagnare fuori della Porta S. Niccolò, sino alle prime scolte del campo.

      S’accrebbero i sospetti contro i Palleschi nel governo e nell’universale per la venuta di costui, onde furono creati sei uomini i quali insieme col gonfaloniere dovessero dichiarare quelli tra i cittadini che tenessero per fautori de’ Medici, o per sospetti alla libertà dello stato.

      Per questa legge molti vennero presi e sostenuti in palazzo, ove rimasero serrati a buona guardia quasi fino alla fine dell’assedio.

      Tutti gli Spagnuoli che per cagione di mercanzia si trovavano in Firenze furono rinchiusi in una casa, ordinando chi li guardasse, e che provvedendo amorevolmente ai loro bisogni non li lasciasse però favellare con alcuno, nè scrivere se non quello che s’appartenesse alle loro faccende private.

      A queste severità, cui servivan di scusa i casi della città, se ne aggiunsero altre più crudeli e fuori d’ogni ragione.

      Carlo Cocchi ebbe mozzo il capo per non altro che per essergli sfuggito di bocca «Firenze essere de’ Medici, e perciò essere dovere l’accettarli per signori senza aspettar la guerra.»

      Altri sul dubbio che ordissero trame col papa furon posti al tormento; e pur troppo è assai verosimile che in questi casi restassero vittime molti od innocenti, od almeno meritevoli di minori pene; chè pur troppo un’ingiustizia suol generarne cento: ma questi modi ingiusti e violenti usati dai due partiti ogni volta che si trovavan giunti al potere, modi ch’essi pazzamente credevan mezzo sicuro onde mantenervisi, furono invece la vera cagione per la quale nessuno di essi non potè fermarvisi mai stabilmente, finchè la sorte di Firenze non venne irrevocabilmente fissata dall’armi straniere.

      Comparve finalmente l’esercito, ed ai quattordici d’ottobre alloggiò nel piano di Ripoli intorno al monastero del Paradiso. Si narra, che i soldati spagnuoli quando giunsero all’Apparita, scoprendosi loro ad un tratto tutta la città di Firenze, gridarono con indicibile allegrezza brandendo le picche: «Senora Florencia apareja los brocados, que’ venimos a comprarlos a medida de picas!»[14].

      Ai diciassette

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