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Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni. Massimo d' Azeglio
Читать онлайн.Название Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni
Год выпуска 0
isbn 4064066070090
Автор произведения Massimo d' Azeglio
Жанр Языкознание
Издательство Bookwire
—Anche questa la s’avvia bene—disse Malatesta quando si trovò solo: e si stropicciò insieme le mani come soleva fare quand’era contento. Ma quel moto gli fe’ provare certe trafitture di dolore che lo costrinsero a fermarsi: gli sfuggì un ahi! si morse il labbro inferiore, e bestemmiò i suoi malanni.
Chiamò ad alta voce due volte:
—Barlaam!—
Comparì un vecchietto impresciuttito, col viso pieno di tante grinze che pareva formato di matasse di spago: naso profilato ed adunco, due occhietti come grani di pepe, ed una bocca sempre ridente; ma di quel riso che non essendo accompagnato da alcuna letizia nel resto del volto, pare piuttosto uno stiramento convulso delle labbra.
—Io credo, disse Malatesta, che la metà di tutto il maladetto legno[16] che m’hai fatto ingozzare da un mese in qua, e’ sarebbe bastato a bruciarti vivo.... e sa Iddio s’io ne sarei stato peggio!—
—La V. M., rispose il vecchio senza turbarsi punto, avrebbe ora un buono e fedel servidore di meno.—
—Ma non lo sai, nemico di Dio, che non ho un’ora di bene in tutta la notte? Che mi pare mi buchin cogli aghi le midolle dell’ossa? Ci vuol tanto a trovar un’erba, una polvere, un diavolo che mi faccia dormire un’ora? Alla fediddio, ch’io non darò sempre le spese a chi mi strazia.—
—Io troverò questa state il celidonio, pietra che nasce nel ventre della rondine, e la V. M. legherà questa pietra in un pannolino, e la cucirà alla camicia sotto la poppa manca, che tocchi la pelle..... oppure s’io potessi andare insino in Dalmalzia, v’è un monte....—
—E’ sarebbe meglio andassi insino all’inferno... ho paura che vi sarei prima di te.... Io t’ho inteso... Orsù, levamiti d’innanzi, e chiama messer Benedetto, e fa presto.—
Il vecchio uscì.
Messer Benedetto de’ Nobili, dottor di legge, grande amico de’ Medici, si trovava spesso con Malatesta onde conferire degl’interessi della parte Pallesca. Veniva a lui di notte ponendo ogni cura affinchè quelle visite non si risapessero in palagio ove in quel tempo non si scherzava.
Era messer Benedetto un vecchione di bella e grave presenza, uomo del resto di natura vile e malefica: ingordo, simulatore, ingegnoso in trovar cavilli e grandissimo ipocrita. Egli solo tra Palleschi aveva comunicazione col Baglioni; e questo riguardo era necessario affinchè il capitan generale non venisse in sospetto al popolo, la qual cosa avrebbe rovinato affatto le speranze del partito mediceo.
Mentre il Frate e Malatesta tenevano insieme i discorsi che abbiam riferiti, messer Benedetto stava aspettando in una camera poco lontana. Dirà taluno: Non poteva egli trovarsi presente al trattato ed ajutarlo?
Malatesta avea per costume, le cose che si posson dire a quattr’occhi non dirle a sei. Entrò messer Benedetto: avea indosso il lucco, in capo il cappuccio. S’adagiò sul seggiolone ov’era stato il Frate, e disse:
—E così?—
—E così le cose camminan bene, rispose il Baglioni; ecco qua una lettera di messer Baccio.—
Cavò di sotto il capezzale una letterina che il Frate avea portata cucita in un lembo dell’abito. Era in cifra.
—Una ne fa, cento ne pensa costui,—disse Malatesta ghignando.
Aprì il foglio, e lette le prime linee con quel mormorìo inintelligibile che serve per trapassare le cose inutili e giungere alle importanti, seguì:
«Jer mattina parlando con Troilo degli Ardinghelli, delle belle donne di Firenze, mi venne a raccontare d’una certa fanciulla ch’egli aveva vagheggiata e sposata segretamente (il modo ve lo dirà egli) figlia di Niccolò de’ Lapi. Io tosto feci disegno sopra Troilo, che è il meglio costumato, il più sollazzevole ed ingegnoso giovane di Firenze, e credetti bene di mandarvelo. Se gli vien fatto di mettersi in casa di Niccolò, e farsi accettar per genero, e mostrarsi de’ loro, egli sa così ben fare, che potrà saper ogni cosa, servirci maravigliosamente durante l’assedio, e dopo, far che questi Piagnoni abbiano a pianger daddovero. Io non mi sono voluto aprire interamente al giovane, perocchè avendogli dato qualche cenno così alla lontana, mi parve e’ nicchiasse. Ma egli è povero gentiluomo, ed ama lo spendere e vivere da principe; egli è uso in corte tra signori, e non può patire d’aversi tutto dì a ’nzaccherar gli usatti nel fango di questo campo. Non sarà cosa ch’egli non voglia fare per venire in grado a’ signori Medici, ed essere adoperato da loro. Io ho detto alla V. M. più che non bisogna, ed essendo la medesima di quell’autorità e di quella prudenza ch’ella è, potrà molto facilmente voltarlo ec. ec. ec.»
—E’ non l’ha pensata male il ribaldone. Eh?—
—Anzi ottimamente. Tutto sta che riesca... Oh lo conosco bene questo giovane, di veduta però, e sono di S. Gimignano gli antichi suoi... Me lo ricordo quando giocavano alla Chintana, innanzi il portone del palazzo Medici... (avea un cavallo turco che andava come un razzo)... e poneva nel saracino con tanta bella grazia che mai più. Bello come un sole poi. Oh! suo padre era tutto cosa del Magn: Giuliano, onde il figlio se non traligna ha ad esser Pallesco insino al cuore...... Ma come domin gli è venuto fatto cacciarsi in casa di quel serpentaccio di Niccolò?—
—Ora ve lo dico, messer Benedetto, e non l’andiamo allungando tanto che si faccia dì chiaro, e v’abbiano a veder uscir di qua.... Troilo dunque vide questa figliuola di Niccolò, che ha nome Lisa, ad una festa delle potenze, prima che i Medici se n’andassero—Scoprì chi ell’era, rintracciò la casa, e tanto seppe fare e dire, che la fanciulla s’innamorò di lui. Ma in Firenze non ci fu mai conclusione di trovarsi insieme—Niccolò andò colla famiglia ad un podere ch’egli ha presso il Poggio a Cajano. Troilo, che era al Poggio coi signori Alessandro ed Ippolito, non potendo per nulla voltar la Lisa alla sua volontà—chè la fanciulla avea messo il piede al muro di voler essere sposata—Troilo, dico, fece motto a’ sig. Medici, dolendosi d’esser uccellato, e, come accade tra giovani, posta la cosa in riso, e venuti in gara di vincer questa prova, si disposero di far alla figlia ed a Niccolò insieme la più nuova, la più piacevol beffa che voi udissi mai. Troilo diede a credere alla Lisa com’era contento torla per donna, ma, sotto colore di temer che Niccolò non fosse mai per acconsentire ad un tal parentado, se non isforzato dalla necessità, disse conveniva far la cosa segretamente. La Lisa benchè a malincuore pur vi si piegò.—Ordinarono ch’ella dovesse trovarsi una mattina per tempo ad una pieve discosta un miglio dal Poggio,—fecero in modo che il pievano non fosse in casa—Colà un tal Michele, palafreniere di Troilo, si vestì coll’abito del prete, in rocchetto e stola....
A Malatesta crescevan le risa a mano a mano che veniva narrando questo vituperoso fatto, parendogli la più gentil burla del mondo....
—E fece lo sposalizio, con tutte le cerimonie che gli erano state insegnate... He’, he’, he’,... che pazzi! che pazzi!... E’ sarà stato un bel fare.... chi sapeva la cosa... non iscoppiare! he’, he’, he’.... La Lisa fu contenta e gabbata... ed i signori Medici ne fecero maravigliosa festa, e n’ebbero a ridere per più dì... He’, he’, he’....—
Messer Benedetto, malvagio per natura, nemico poi di Niccolò per motivi che vedremo in appresso, rideva anch’esso d’un riso a scosse che gli faceva saltellare il ventre, come fosse andato a cavallo di trotto. Però quando udì che in quest’inganno entravano cose di chiesa, s’andava scontorcendo, diceva di no colla testa, ma pur veniva facendo qualche sogghigno sotto i baffi.
Qui non avrebbe avuto bisogno di far l’ipocrita, ma chi n’ha contratto l’abito finisce col farlo senza accorgersene.
—Oh.... oh... disse finalmente con un certo suo viso malinconico, questa poi... è un po’ grossa!... Una profanazione!... In taverna co’ furfanti, dice il proverbio, ma lascia stare i santi.—
Malatesta volse l’occhio in giro per la camera com’avesse cercato scoprire se v’era nessuno: poi volto al dottore disse:
Messer Benedetto,