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fu deciso, Miss cominciò a fare i bauli. Il nonno le accompagnò sul vapore per raccomandarle al capitano: un uomo lungo e magro con una barba ispida, che scese lui stesso sotto coperta per scegliere la più bella cabina. Quando suonò la campana ed ella ebbe finito di salutare il nonno che se ne tornava a terra, il comandante le disse:

      — Signorina, vuol salire sul ponte con me?

      Diventò tutta rossa; era la prima volta che un uomo le dava del lei. Che festa, quel viaggio! Il capitano lasciava ad ogni tratto il suo da fare per venire a chiedere a Miss se aveva bisogno di nulla, per accarezzare le ragazze, per condurle con lui nel suo camerino, dove offriva loro dei dolci, dei liquori, e mostrava degli strumenti, le fotografie di tanti altri piroscafi, delle scatolette di sandalo intagliato che mandavano un odore così buono. Ogni tanto ella l'udiva dire a Miss, parlando di lei: «Che amore di bimba!... che bellezza!...» Ella fingeva di non udire, gettava indietro i suoi capelli, guardava da un'altra parte e assediava di domande il timoniere, credendo di veder da per tutto Monte Pellegrino. Quando finalmente apparve e i passeggeri si prepararono a sbarcare, il capitano venne a salutare la governante: regalò una scatolina di sandalo a Laura ed un'altra a lei stessa, dicendo:

      — Questa la serberà in memoria del suo viaggio... Mi dà un bacio in ricambio?

      Ella porse la guancia: sentì che quella barba ispida era invece fine come la seta.

      Gli zii facevano segnali da una barca; nella fretta di scendere, ella lasciò cadere il suo ombrellino in mare. Miss sgridava, lo zio rideva, la zia si stringeva al petto le nipotine chiedendo notizie della loro salute, del nonno, di Milazzo. Allo sbarcatoio, c'erano dei curiosi assiepati intorno alla bella carrozza che aspettava, e al palazzo tutta la servitù schierata; le cameriere esclamavano:

       — Che belle signorine!... Come sono grandi!...

      Ella passava impettita, a testa alta, con un'aria di padroncina, guardando intorno per le belle stanze, pei salotti vasti e riccamente addobbati. Nella camera della zia c'era un letto per una sola persona, voleva dire che suo marito non dormiva con lei.

      Dai balconi, si vedeva il corso di Toledo, la sfilata delle carrozze, la folla che ingombrava i marciapiedi e si assiepava dinanzi ai negozii sontuosi. Com'era bella Palermo!

      — Più bella di Milazzo?

      — Oh, zia!... Noi, vedi, ci stiamo per adesso che il nonno vuole così; ma poi, quando saremo grandi, non è vero, Laura? bisognerà vederla!... Tu sei andata mai a Firenze?... Io vo' starci sempre, quando sarò maritata...

      — Thérèse!... — esclamò Miss, lasciando un momento di sistemare le robe.

      — Qu'est-ce qu'il y a, mademoiselle?... — rispose lei, scuotendo il capo e facendo sventolar la sua chioma. — Vous savez, ici il n'y a plus grand-papa pour vous donner toujours raison! Je dis quand je serai mariée... Est-ce que vous croyez que j'aurai toujours douze ans?...

      — Petite folle! — mormorava la zia, abbracciandola. — Tu non avrai sempre dodici anni, ma li hai adesso, non è vero?... e bisogna ascoltare quelli che ne hanno più di te!...

      — Lo so, zia; ma cosa ho detto di male?... Quando sarò maritata! Tu non ti sei maritata? Mi mariterò anch'io!

      — Va bene, però le fanciulle ammodo non parlano di questo.

      — Ti fa dispiacere? Se ti dispiace, non lo dirò più.

      Ma ella restava ancora tutta fremente di ribellione, girava intorno gli occhi ingranditi, luccicanti, si mordeva un labbro, e a un tratto, profittando della diversione prodotta dall'arrivo del cameriere che annunziava il desinare, si buttò al collo della zia e le sussurrò, tra risa represse:

      — Sai perchè non vuole che se ne parli? Perchè lei non l'ha voluta nessuno!...

      Il domani cominciarono le visite, prima di tutto ai parenti degli zii: la marchesa di Mistretta, il commendatore Guarino, due vecchi noiosi, dai quali solo Laura si lasciava baciare e ribaciare in santa pace, guadagnandosene le preferenze.

      — Hai visto, grulla? — esclamava la zia. — Tutte le carezze sono state per lei!

      — Che m'importa! Se le prenda. Mi secca esser baciata dai vecchi!

      L'invidia, la gelosia ed anche le zuffe scoppiarono fra loro due più tardi, nel contendersi la felicità di passare, appena sveglie, nel letto della zia; tanto che questa fu costretta a stabilire un giorno per ciascuna. Nondimeno, lei pretendeva talvolta che Laura le cedesse il suo turno, le dava all'occorrenza degli spintoni, la lasciava piangente per terra.

      — Come sei prepotente! — rimproverava la zia. — È così che tratti la tua sorellina? Ma tu non sai che devi proteggerla, difenderla, aver cura di lei che è più piccina, malaticcia? Tu sei la maggiore, devi tenerle luogo di mamma!...

      Chinando un poco gli sguardi, ella consentiva, ripetutamente:

      — Sì, zia... hai ragione... hai ragione...

      Allora, pensava di parlarle della povera mamma, del babbo, di tutto quello che aveva confusamente capito dai discorsi di Stefana e del nonno; ma dopo aver cominciato: «E dimmi....»; quando la zia chiedeva:

       — Che cosa!... Di', figlia mia...

      — Nulla, zia, nulla... — rispondeva, e restava un poco senza parlare. Poi, riscuotendosi, cominciava a tempestarla di domande:

      — Ed io com'ero, quand'ero piccina? Ti rammenti quando nacqui?... Eri con la mamma mia? Te lo rammenti proprio bene, come fosse oggi?

      — Sì, che me lo rammento. Eri tanto piccina, così!...

      — E com'ero, buona?

      — Più buona d'ora... Adesso non sei cattiva, non dico questo... ma non ti sai frenare, t'imbizzisci per nulla, ti ostini troppo nelle tue volontà... Nel mondo, bambina mia, non si può fare quel che si vuole; bisogna rassegnarsi, aver pazienza, soffrire...

      — La mamma sofferse molto, non è vero?

      La zia guardava altrove, rispondendo:

      — Soffriamo tutti, al mondo...

      Allora ella scrollava il capo cogli occhi in alto.

      — Io lo so, che la mamma sofferse molto... a causa del babbo... perchè la lasciò... per prendersi un'altra moglie... Ti pare che non lo sappia? A casa non parlano mai di questo con noi; ma io so bene... so bene...

      La zia non aveva tempo d'esprimere il suo stupore, che lei riprendeva:

      — E dimmi una cosa, adesso... ha avuto altri figli, con questa moglie?.. sì o no? rispondi.

      — Sì.

      — Ma quanti?

      — Uno.

      — Questo mi dispiace... — Pensò un poco, poi disse: — Del resto, che cosa importa?... Noi siamo sempre sue figliuole, eh?

      — Ma chi è che ti parla di queste cose?

       — Nessuno, zia... le so io!... Vedi, al nonno di queste domande non ne faccio, perchè so di addolorarlo... Ma tu, senti: questa moglie... è bella?... più bella della mamma?...

      — Non so.

      La zia s'alzava; ella le teneva dietro, e nella stanza di toletta rovistava in mezzo alla batteria delle bottigline, delle caraffe, delle scatolette, delle spazzole e dei pettini, fiutando gli odori, chiedendo il nome di una cosa e l'uso di un'altra, insistendo per profumarsi i capelli e buttandosi addosso mezzo litro di essenza.

      Quando s'andava fuori, prima di vestirsi lei stessa, stava a veder vestire la zia, si cacciava dentro la guardaroba per tastare le stoffe, esaminava una mantiglia o un corpetto, apriva tutte le scatole dei cappelli e dei ventagli, estasiandosi dinanzi alle piume, ai fiori, alle guarnizioni, ai fazzoletti di pizzo, a tutte le cose belle e smaglianti. Poi correva a vestirsi anche lei, e in carrozza, come le signore e i giovanotti salutavano, ella si chinava continuamente a domandare chi erano.

      Le bastava vedere una volta le persone per non

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