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la sua per non dar sospetto; ma doveva fare uno sforzo, perchè egli non voleva lasciarla. Quando non erano seduti accanto, la guardava a lungo, intensamente, cogli sguardi umidi, come se volesse penetrarla tutta; ella lo guardava di sfuggita, rapidamente, e il seno le si dilatava dalla felicità, gli occhi le ridevano, non poteva star ferma, andava vicino a Laura tutta avvolta in uno scialletto, le stampava dei baci sonori sulla fronte e sulle guancie.

      Nelle buone giornate, usciva con lei in carrozza, ed era lieta di farsi vedere con la sorellina, chinandosi a tirarle il plaid sulle ginocchia, a chiederle come si sentisse. Luigi aveva un attacco nuovo, un phaeton dalle ruote sottili straluccicanti. Egli passava e ripassava vicino alla carrozza delle signorine, salutando, facendo schioccar la sua frusta, e il cuore di lei si gonfiava d'orgoglio, ma quando Laura diceva di sentir freddo e la loro carrozza rientrava, ella non sapeva reprimere un moto di malumore.

      In carnevale, il barone Accardi invitò la gente a ballare da lui: la casa era stata rimessa apposta a nuovo, e gli oggetti del cotillon venivano da Napoli. Tutta la società di Milazzo non parlava d'altro; ella smaniava per esservi condotta.

      Vi andò, finalmente, sola con Miss. Le parve di entrare in un mondo nuovo; i suoni, le luci, il moto della danza la stordivano, l'inebbriavano; Luigi, ballando con lei, la stringeva alla vita, le mormorava: «Teresa!... Teresa!...» soffocato dall'emozione, incapace di dire altro. Tutti, del resto, la guardavano ammirandola; ella capiva che gli uomini parlavano di lei, che le sue amiche l'invidiavano un poco.

      In quaresima, la gente riprese a venire da loro. Si facevano delle sciarade in azione, si scioglievano dei doppi-sensi, degli enimmi: ella non sbagliava mai, non subiva mai penitenze. Una volta, toccò a Luigi quella di contentare all'orecchio; quando le si avvicinò per mormorarle che cosa le dava, disse piano:

       — Un bacio.

      Il cuore le si mise a tempestare, non vide più chiaro, ma s'irrigidì per non tradirsi.

      A un tratto, quelle belle serate cessarono: Laura, non ancora guarita del tutto dalla prima malattia, fu costretta a rimettersi a letto, con un forte raffreddore. Sembrava che il suo petto si spezzasse, sotto gli sforzi che lo scuotevano negli accessi della tosse. Il dottore veniva mattina e sera, quantunque avesse tanti ammalati, fra gli altri la moglie del Ricevitore, con la stessa malattia. Accanto al letto della sorellina, lei lavorava, senza dir nulla; una tristezza infinita le piegava il capo sul ricamo: le pareva che mai più avrebbe rivisto Luigi. Quel male che le impediva di andar fuori, di fare la solita vita, era una cosa da nulla, una infreddatura più forte delle altre. E udendo tossir la sorella, a lungo, una specie d'impazienza smaniosa la faceva sgarbata con lei. Un giorno vennero a dire, sotto voce, che la moglie del Ricevitore era morta.

      Lauretta riposava, col respiro breve, le guancie pallide, i pomelli rossi. Ella buttò il suo ricamo, congiunse le mani, alzò gli occhi al cielo e si mise a pregare.

      Che rimorso la straziava, pensando com'era stata senza cuore, come aveva potuto divertirsi mentre la poveretta pativa! Aveva paura di volgere gli occhi verso di lei, le pareva di vederla morta — e piangeva di tenerezza, ritrovandola meglio. L'acuto della malattia passava; a poco per volta Laura si rimise; ma la tosse non l'abbandonò più.

      Ella aveva fatto alla sorellina il sacrificio di ogni svago, restando a curarla, a tenerle compagnia. Ne era orgogliosa, però di tanto in tanto il seno le si gonfiava di rimpianti, di aspirazioni alla luce, all'azzurro, alla gioia. Non potendo ancora esporsi all'aria aperta, Lauretta insisteva perchè la sorella andasse fuori sola; lei rifiutava ostinatamente; ma quando l'altra non insisteva più, sentiva gli occhi gonfiarlesi di lacrime. Imaginava che Luigi, alla lunga, si fosse dimenticato di lei, che avesse preso a voler bene ad un'altra; e, dalla contrarietà, si scarnava i polpastrelli intorno all'attaccatura delle unghie fino a sformarsi la punta delle dita.

      Un giorno che erano sole, Laura fu più premurosa del consueto:

      — Va' fuori sola... fammi questo piacere! Se no, mi par d'essere più ammalata... Va'... — e sorridendo aggiunse: — Va', t'aspetta Luigi Accardi...

      Ella sentì tutto il sangue affluirle al volto. Con un sorriso d'indulgenza quasi materna. Laura riprese:

      — Non ti far rossa.... che c'è di male?... credevi che non me ne fossi accorta?

      Allora ella l'abbracciò fitta, nascondendole la testa sul seno.

      — È vero, sì o no, che gli vuoi bene?

      — È vero...

      E le confidò tutto. Era la prima volta che parlava di queste cose. Guardava l'uscio, per paura che sopravvenisse qualcuno: guardava la sorella con un altro occhio; le pareva che vi fosse qualcosa di mutato d'intorno.

      Dopo quella confessione, non le nascose più nulla. Lauretta stava ad ascoltarla, tra seria e indulgente, col capo avvolto in un fazzoletto, come una vecchina, quasi quelle felicità e quelle disperazioni non fossero per lei. E si faceva forza per accompagnarla, usciva in carrozza chiusa, sepolta sotto le coperte, tossicolando.

      Ella la divorava di baci, dalla gratitudine; non pensava che potesse soffrire, e quando la sentiva tossire, si diceva: «È la stagione; quando verrà l'estate non avrà più nulla.»

      In maggio, andarono ogni giorno insieme alle funzioni del Mese di Maria: la chiesa era tutta odorante di rose e d'incenso, le fanciulle cantavano, accompagnate dall'organo, le laudi della Vergine; padre Raffaele, il rettore, distribuiva imagini sante su carta ricamata come un merletto, che ella serbava nel libriccino di devozioni della povera mamma. Ma, in estate, Lauretta peggiorò: la tosse cresceva, con delle esasperazioni vespertine, con una piccola febbre serale. La poveretta dimagrava sempre più, il petto le si affondava, certi giorni un sudor freddo le appiccicava i capelli sulla fronte. Vedendole le guancie pallide colorirsi di un vago rossore, ella diceva talvolta al nonno, che era cupo e triste:

      — Ma non è poi tanto ammalata, nonno!... Oggi è colorita in viso...

      Il nonno non rispondeva, più cupo, intrattabile con tutti gli altri, una feminuccia dinanzi all'ammalata, che adesso avea ripreso il letto e non l'abbandonava più.

      Dal lungo starvi, delle piaghe le si formavano sul corpo. Quando la medicavano, ella fuggiva, non fidandosi di vederle, rabbrividendo da capo a piedi al solo imaginarle. Ma lei era sicura che sarebbe guarita presto. Adesso, col caldo, venivano delle visite, la sera, a sentir la musica. Come tutte le altre estati, il palchetto pei suonatori era rizzato in mezzo al passeggio della Marina, e si riudivano sempre gli stessi pezzi: una polka del Flik-Flok, il second'atto dell'Ernani, il quartetto e la tempesta del Rigoletto. Delle persone che venivano in casa loro, alcune restavano intorno al letto dell'ammalata, altre passavano nella terrazza. Ella ve li accompagnava, facendo gli onori di casa. Luigi, che veniva coi suoi, le stava sempre intorno.

       Una sera che si trovarono soli un momento, egli l'afferrò alla vita, la baciò in bocca, mormorando:

      — Mi vuoi bene?... Teresa, Teresa mia?...

      Ella disse di sì, sommessamente, tremando da capo a piedi; egli soggiunse;

      — Mi dai i tuoi capelli?

      Venne gente, dovettero separarsi. Ella preparò a lungo la ciocca dei suoi capelli, intrecciata con delle pensées, legata da un piccolo laccetto rosso e avvolta in un pezzetto di carta trasparente.

      Quando Luigi tornò e le prese la mano al buio, ella gli diede l'involtino. A un tratto vi fu un rimescolìo nella camera dell'ammalata, sedie urtate, un lume sollevato, delle voci che chiamavano. Accorsero tutti; Laura aveva una sincope: il respiro quasi spento, gli occhi rovesciati.

      — Non è nulla! — dicevano tutt'intorno. — La debolezza, la prostrazione, tanti mesi di letto...

      Però il nonno fece venire un dottore da Messina. Fu ordinato il mutamento d'aria, e subito tutti partirono per il Capo. La mattina, prima che l'aria s'infuocasse, l'inferma scendeva in giardino a braccio della sorella; faceva un po' di moto, a piccoli passi, fermandosi spesso. Poi si metteva a sedere, sotto l'ombrello, ed ella le coglieva dei fiori, glie li faceva piovere in grembo. Le parlava dell'avvenire, l'assicurava della guarigione, faceva dei

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