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a tener i suoi libri con buona provvisione, pensando giorno e notte qual modo avesse a tenere per fargli uno stato e rimeritar per cotal via il grand’obbligo che aveva col padre. Niccolò era ricco mercatante, perciò avrebbe potuto dire a Lamberto, togli questo tanto in danari e fa i fatti tuoi. Ma gli pareva prima di tutto che obblighi di quella fatta mal si potessero compensare colla sola moneta; poi trovandosi molta famiglia gli pareva fosse anche ingiusto sminuire l’avere de’ suoi figli per una cagione che a lui solo si riferiva.

      Gli era nato il pensiero di dare a Lamberto una delle sue figlie con tal dote che stesse bene, così veniva a salvare tutti i rispetti. Ma quantunque il giovane, che era già oltre i vent’anni, fosse tale da non temere un rifiuto da nessuna fanciulla, Niccolò aveva però troppo senno e troppa giustizia per voler ordinar tal parentado senza conoscer prima ben bene il cuore e la volontà di chi lo doveva contrarre. Muovere i primi passi e proporlo egli stesso non gli pareva ci stesse dell’onor suo, onde dato tempo al tempo aspettava che una qualche occasione favorisse l’adempimento di questo suo disegno.

      Che Niccolò avesse in animo di far Lamberto suo genero, senza curarsi ch’ei venisse di sì povero stato, non poteva recar maraviglia a chi li conosceva ambedue. Il vecchio non era di que’ tali che sono avversi all’aristocrazia de’ nobili perchè l’invidiano, e che la vogliono spenta per occuparne il luogo. Egli teneva ogni uomo figlio delle proprie opere, lo stimava a norma delle sue virtù, e perciò giudicava sempre pericolose ad una città quelle sette o vuoi di grandi, o vuoi di popolani, o mercanti, o di qualunque altra generazione esse siano, che ristringendosi insieme, e separandosi dagli altri cittadini, schifando imparentarsi con chi non sia de’ loro, usando atti violenti e portamenti superbi, cercano ottener autorità, ricchezze ed onori, non per veruna particolar virtù che sia in loro, ma pel solo accidente d’esser nati in codesta loro setta, o d’appartenerle in qualunque modo.

      Ma quanto sono rari gli uomini che, simili a Niccolò, detestino gli abusi per solo amor dell’equo e dell’onesto, e non pel timore di riceverne danno o pel dispetto di non potersene valere ad opprimere altri!

      Lamberto poi dal canto suo avrebbe meritato di esser posto tra le eccezioni anche da un padre che stimasse i natali e le ricchezze più che non facea Niccolò.

      Se il lettore desidera figurarsi il ritratto di Lamberto, immagini un giovane alto di statura, ed atto per l’ottima proporzione delle membra a tutto quanto può imprender l’uomo, che richiegga forza e destrezza. E ciò basti circa il fisico. Nella parte morale, la natura l’aveva favorito con quel dono che riserba a suoi più cari, a quelli che senza distinzione di stato o di fortuna ella destina alle maggiori imprese; dono che può nominarsi l’amore, anzi la smania della perfezione, seme fecondo delle belle azioni e delle grandi virtù, e di tutto quanto è di sublime nell’umano operare. Giudice severo, che dice all’orecchio dell’uomo applaudito Tu potevi far più, sprone che punge sempre chi è nato per sentirlo, perchè in ogni cosa, in ogni atto vede quanto è più lunga la strada da farsi per giungere alla perfezione di quella già fatta; tormento dell’anima ed insieme la sua vita, il fonte di tante dolcezze, Sarebb’egli forse l’impressione rimasta nell’uomo da quel soffio divino col quale Iddio l’ha chiamato dal nulla?

      Questa nobil passione, che in Lamberto andava divenendo più fervida col crescer degli anni, l’aveva eccitato a profittare con ogni studio della ventura di venir allevato in una casa dove eran a sua portata tutti i mezzi di educarsi a quelle discipline che procurano il perfetto sviluppo delle qualità fisiche e morali. Presago forse che la sua vita non avrebbe avuto a consumarsi tutta in un fondaco, s’era ingegnato rendersi pari ad una più splendida fortuna, raffermandosi la sanità e le forze con ogni sorta d’esercizj cavaliereschi, ne’ quali era riuscito mirabile sopra ogni altro; e maturandosi il senno colla lettura degli storici principalmente, ai quali unendo i ragionamenti che udiva farsi in casa da Niccolò e da quelli uomini di stato che vi concorrevano, era venuto a formarsi un capitale di sode e variate cognizioni, per le quali e per l’abito fatto fin dall’infanzia di non far atto, non accettar opinione senz’avervi prima molto pensato, venne a trovarsi uomo in quell’età in cui molti altri sono poco più che fanciulli.

      È vero altresì, per non tacere de’ suoi difetti, che appunto per quel suo amore del bello e del perfetto, egli facilmente e con incredibil veemenza s’infiammava di quelle cose e di quelle persone, ch’egli si immaginava avessero alcun che di grande, e colla calda fantasia se le dipingeva d’una perfezione molto maggiore che non era in effetto: conoscendo poi (come suole accadere sempre) d’essersi o in parte o totalmente ingannato, passava dall’immoderata ammirazione ad un immoderato dispregio.

      Nè sarà forse fuor di proposito l’osservare, che se i giovani di mente fervida e di cuor generoso come Lamberto si potessero premunire contro questa smania di giudizj avventati ed eccessivi, eviterebbero molti errori, non avrebbero a rimproverarsi molte ingiustizie, ed i mali che ne sono la conseguenza; ed il disappunto delle illusioni svanite non farebbe loro concepire contro l’umanità quell’odio cieco ed orgoglioso, che ha forse prodotte molte belle declamazioni poetiche, ma non ha mai reso gli uomini nè più virtuosi nè più felici.

      Si potrebbe anzi dimostrare che invece li ha fatti più duri per gli altri e più amanti di sè, togliendo loro il conoscere una verità trivialissima e palese ad ogni cervello riposato, che se al mondo sono molti bricconi, son pure molti galantuomini, e gli uni e gli altri, compresivi anche questi feroci odiatori della nostra specie, fanno promiscuamente delle cose buone e delle corbellerie, onde alla fine tutto poi si riduce ad aver la santa flemma di segregare le une dalle altre, lodar il bene, biasimare il male; compianger gli uomini che per loro natura debbono ondeggiar sempre in tra due; e finalmente ammonirli ed ajutarli se si può, invece di strapazzarli e di maledirli inutilmente.

      Queste riflessioni sarebbero però state affatto inutili per Lamberto. Egli aveva incontrato pochi guai, e trovato invece nella famiglia del suo protettore infinite carezze, il suo carattere non avea perciò avuto motivi d’inasprirsi, e non ostante il difetto che gli abbiamo apposto, la sua aggiustatezza, i suoi modi affettuosi ed onesti, e la tenera gratitudine che mostrava a Niccolò, gli avevan compro l’amore del vecchio, de’ figli e di tutti quanti lo conoscevano. V’era però in casa tal persona che l’amava senza esserne forse neppure avveduta, in modo diverso dall’altre, ed era Laudomia.

      Per verità, se mai due cuori dovevano incontrarsi, i loro erano quelli. Ma Lamberto quantunque si sentisse portato verso di lei dalla simpatia che nasce dalla somiglianza de’ caratteri, era però rattenuto da quello splendore puro e verginale che appariva in essa, pel quale veniva a giudicarsi troppo inferiore a cosa tanto alta e divina.

      Rade volte la vedeva, e più rado le parlava, e gli parea persino Laudomia l’avesse in poco conto, e lo sfuggisse. Il timido ed onesto giovane pensava «merito forse un suo sguardo?» Ma la figlia di Niccolò era lungi dall’averlo in dispregio, e lo sfuggiva per quell’intimo senso di pudore che era sua guida.

      Lisa invece teneva con Lamberto altri modi. Lo trattava con quella sicurtà confidente, di chi è certo non gli si trovi a ridire. L’anima amorosa e candida di Lamberto era in quella stagione ove tanto facilmente s’apre all’amore, come all’aura d’una nuova vita: ove il potere di questo si fa sentire prima d’aver trovato l’oggetto su cui fermarsi. Tempo pieno di perigli, d’angosce, di dolcezze e di trepidazioni, ove l’uomo è quasi sempre colto al primo laccio ed allettato dalla più agevol’esca. Tutto sta a non capitar male!...

      Il cuor del giovane che non avea osato innalzar i suoi voti sino a Laudomia, si volse a Lisa appoco appoco senza quasi avvedersene e volerlo, e finalmente se le diede vinto, ponendo in essa sola ogni suo bene ed ogni suo pensiero.

      Quel senso avveduto e sottile che la natura ha posto in ogni donna, e che precede l’esperienza, mostrava a Lisa benchè giovanetta qual fosse per lei il cuor di Lamberto. Essa godeva di sapersi amata. E qual cuore umano non ne gode, sia pure illibato ed innocente? Ma questa compiacenza era forse per essa più di amor proprio che di cuore. Sentendo molto altamente di se, aveva caro codesto amore come una prova di più di quanto valesse: se si vuole avea caro anche Lamberto; l’avrebbe fors’anco amato perdutamente, ma non poteva capirle in mente l’idea di divenir moglie di chi passava la vita sua col braccio in mano a misurar broccato.

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