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sua semplicità già si teneva per una perversa, e piangeva amaramente. Raddoppiò le premure per Lisa, e le pareva quest’aumento di tenerezza le alleggerisse il cuore, stimandolo quasi un risarcimento del torto che credea averle fatto. Colla speranza che il tempo offerisse poi una qualche occasione favorevole di dare miglior piega alle cose, scelse per partito migliore (dacchè a ogni modo era pur moglie di Troilo) ajutarla a tener quest’unione celata ed agevolarle i modi onde talvolta segretamente potesse trovarsi con suo marito.

      La cosa andò così innanzi più mesi con poca soddisfazione però della povera Lisa che potea vederlo ben rare volte per la soggezione in cui vivea: costretta poi a premere i suoi dispiaceri e vivere in continuo sospetto, s’era dimagrata, avea perduto il fiore giovanile, e non pareva più quella di prima.

      L’appassire della sua bellezza le era di tanto maggior dolore, quanto le era parso avvedersi d’un certo raffreddamento per parte di Troilo, ch’essa amava invece ogni giorno più ciecamente. Prima, quando non gli riusciva accostarsele, si mostrava però a lei in istrada, in chiesa, ovunque potesse: poi le era sembrato che piano piano andasse rimettendo di queste premure. La povera giovane si sentiva, com’ è naturale, pungere da’ sospetti; pensieri di gelosia tanto più tormentosi quanto meno era in grado di saperne il vero, le pullulavano in cuore; tutt’insieme menava vita meschina e malcontenta, e coglieva pur troppo presto gli amari frutti dell’errore commesso.

      Ma l’infelice era appena in principio de’ suoi guai. S’accorse in modo da non poterne dubitare che presto non sarebbe più sola a portar la pena del suo fallire.

      Quel momento aspettato bensì, ma pure pieno di tanto nuova allegrezza, di tanta trepida sollecitudine per le spose novelle, fu per la povera Lisa come l’annunzio d’una sventura. E qui nuovi motivi e nuove difficoltà per celarsi; aumento di patimenti pel presente, aumento di timori per l’avvenire.

      È inutile distendersi nel minuto racconto dei modi tenuti da ambedue le sorelle per celare in quegli ultimi giorni d’angoscia e di dolore prima la madre, poi il bambino. L’esperienza ha più volte mostrato poter passar segreti ed inosservati fatti simili a questo anche in famiglie nelle quali vegli l’occhio materno: in casa i Lapi poi fu cosa agevole celarsi a Niccolò, lontano le mille miglia da cotali sospetti, tutto avvolto ne’ pensieri della città e della mercanzia, spesso fuor di casa, e, quando vi era, sempre racchiuso nelle sue stanze terrene.

      Ma questo segreto custodito con tanto studio, e per tanto tempo, per poco non si venne a scoprire per cagione della Lisa medesima. Per quanto Laudomia e la fante la scongiurassero, non vi fu verso a persuaderla si separasse dal suo bambino per confidarlo ad una balia. In un carattere più docile codesto amore, quantunque bello e virtuoso, si sarebbe però piegato sotto la quasi assoluta necessità, ma essa volle: e trovata opposizione volle con tal impeto, con tali smanie, che facendo dubitare della sua vita in quei momenti di sfinimento, bisognò pure arrendersi e contentarla. Ma allora fu indispensabile aprirsi ad altra donna. Sotto colore che pel governo de’ panni bisognasse una fante di più, fu presa in casa una giovane d’un sesto assai lontano, la quale venutavi col bambino della Lisa ne fu creduta madre e si teneva l’allattasse.

      Per non esser in casa altro che uomini i quali avean il capo a tutt’altro, anche questa andò bene.

      Bensì, Niccolò e taluno de’ figli udendo talvolta su in alto i vagiti del bambino dicevano alle giovani «Che domin siete andate cercando di metterci in casa questa tristizia! Mancan eglino donne in Firenze?» Ma la cosa tosto si quietava.

      Gli uomini la dicevano, e le donne la facevano a modo loro: come accade per lo più nelle famiglie quando tra uomini e donne si discute circa le cose domestiche.

      Troilo intanto malgrado la cacciata de’ Medici, e l’abbassamento della parte Pallesca, era rimasto in Firenze con buon numero de’ suoi consorti, e vi s’andava mantenendo per trovarsi a portata, ove gli venisse fatto, di giovare ai suoi signori ed alla parte.

      Quando poi i capitani di Carlo V rupper guerra a’ Fiorentini apertamente, cresciuti i sospetti nel governo pei quali si mostrava ognora più rigido verso i fautori della famiglia sbandita, parve a molti di questi tempo oramai di fuggirsi. Il seduttore della Lisa partito anch’esso segretamente, si condusse al campo degl’imperiali, che facean la massa a Fuligno: non potè, o non volle far motto alla figlia di Niccolò, prima di lasciar Firenze: le scrisse però in modo di consolarla e racquetarla alquanto. Non essere, scriveva, atto di leale, e d’onorato gentiluomo romper fede a’ suoi signori, ed abbandonarli nella mala fortuna; stesse di buon animo, avesse cura di se, del loro piccolo Arriguccio; sperasse tempi migliori; poi proteste di amore, giuramenti di non esser giammai per mancarle ecc....

      Quanto fosser sincere queste espressioni è difficile giudicarlo, poichè non sempre anche gli effetti contrarj, sono sufficiente argomento per asserire sieno state usate con animo di mancarvi.

      Il fatto stà però, che da quella lettera in poi o Troilo non volesse farsi sospetto ai suoi con mostrare di tener pratiche in Firenze, o realmente fosse già spenta del tutto nel suo cuore ogni idea di virtù, d’onore, di compassione per la sua vittima, essa non ebbe più nè lettera nè riscontro veruno che le desse nuova de’ fatti suoi: e se ne vivesse malcontenta e sconsolata vel potete immaginare. Soltanto dopo parecchi mesi, quando già i nemici erano a campo sotto Firenze, venne a sapere pel canale di certi prigioni, che Troilo era in campo, e militava fra i gentiluomini del principe d’Orange.

      Allora cominciò la meschina ad aprire gli occhi ed a tener per certo che Troilo fosse a lei traditore come lo era alla patria. «Esser così vicino, pensava, e non farmi aver una linea di scritto, non farmi dir una parola? Ah fossi io dov’è egli! fossi ne’ suoi panni! saprei ben io trovare i modi!»

      Laudomia che aveva concepiti gli stessi sospetti anche prima della sorella si sforzava però di nasconderli, e di scusare il creduto cognato; e talvolta trasportata dal desiderio non si potea risolvere a crederlo ribaldo e sciagurato a quel segno.

      Quantunque s’ingannasse, poichè è impossibile immaginare più vile ribalderia di quella colla quale avea tradita la Lisa, pure non era forse nato per esser uno scellerato, ed avrebbe per avventura avuti i semi di molte virtù se non gli avesse soffocati un vizio più di tutti pericolosissimo, la vanagloria. Questa passione la più credula ed al tempo stesso la più fallace conduce l’uomo direttamente al fine opposto di quello che gli promette, soprattutto s’appiglia ai cervelli leggieri. Troilo per sua disgrazia se l’era dato vinto fin da fanciullo: e trovandosi presto in compagnia d’uomini tra i quali il vizio fruttava onore, la virtù dispregio, si diede a quello non tanto per propria inclinazione quanto per vanagloria.

      Il tradimento fatto alla Lisa venne da lui ordito e condotto a fine per potersi vantare d’aver vinta una prova. Vero è ch’egli in principio l’amava, o piuttosto (per non profanare una tal parola) gli era piaciuta la sua bellezza: forse lasciato ai propri pensieri, non si sarebbe mai condotto a farle cotale inganno: ma uccellato da compagni, che lo deridevano avesse tanti rispetti ad una popolana, figlia d’un Piagnone sagrificò barbaramente ad una meschina vanità l’onore di quell’infelice, e la pace d’una famiglia onesta e dabbene.

      Ora che il lettore ne conosce le tristi vicende, torniamo ove Niccolò sedeva fra suoi nella forma descritta al principio del capitolo antecedente.

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