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come in Inghilterra, che se talvolta sorgon contese, nessun però vuol mai spinger la cosa al punto di capovolgere del tutto lo stato. Se il paragone è un po’ troppo disuguale per le dimensioni, l’importanza relativa è all’incirca la stessa, perciò preghiamo il lettore ad ammetterlo.

      Finchè era vissuto Piero le cose erano andate così. Dopo la sua morte Niccolò s’era a suo tempo tirato in casa il picciol Lamberto, ed accomodata la Nunziata d’una casetta ch’egli aveva poco lontana dietro S. Lorenzo, ove la buona donna, quando le furori cresciuti gli anni e sopraggiunti gli acciacchi della vecchiaja, potè rallentare un poco il lavorìo dell’aspo, stante gli ajuti di Niccolò, de’ quali si può dire vivea quasi interamente. La sua casa consisteva soltanto in una camera ed una cucinetta: ma siccome sempre la Nunziata s’era dilettata dell’ordine e della pulizia, la teneva rassettata e netta come uno specchio.

      Sul letto, sempre rifatto che non faceva una piega, era sparso qualche fiore come s’usava allora in Firenze: appiccate al muro, sopra il capezzale, molte cosarelle di divozione; il ramo d’ulivo, il palmizio, il cero pasquale, e madonnine e santini. Nell’altro lato della camera uno scaffale con suvvi disposte in ordine stoviglie di terra e di stagno che splendeva come fosse argento, e tra mezzo molte fronde d’alloro: un desco, qualche sedia, l’aspo, compagno indivisibile di tutta la vita, ecco qual era la camera della Nunziata. La sua persona piccola ed asciutta come colei che avea durata troppa fatica alla vita sua per poter ingrassare: i panni ruvidi ma ben composti senza una macchia.

      La buona vecchierella viveva felice in quella casetta senz’altra compagnia che d’un gatto nero, il quale poteva dirsi più compagno che soggetto, a veder quali modi teneva in tempo di pranzo e di cena. Essa si cucinava e si serviva da se, soltanto le vicine, ora l’una ora l’altra, vedendola vecchia ed inferma, attingevano l’acqua che le bisognava, per loro amorevolezza non per mercede: giacchè generalmente i poveri tra loro (aprite gli orecchi, ricchi e signori!) quando non possono ajutarsi coll’avere, s’ajutano colle braccia.

      Nella sua solitudine raramente interrotta, la buona vecchia aveva però un pensiero vivo, incessante, che l’occupava tutta: quello del figlio. Cominciando dall’allevarlo col proprio latte, e su via via per gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e della gioventù, s’era ingegnata con tutti quei modi che le suggeriva il suo amore, di dargli tale avviamento ch’egli avesse per prima cosa a riuscire un uom dabbene, e potesse poi godere di tutta quella felicità che era compatibile colla sua povera fortuna. Al modo che lo vedeva stabilito in casa i Lapi le pareva che tante cure e tanti pensieri avessero pur servito a qualche cosa: ed ora faceva di tutto onde Lamberto coi suoi portamenti venisse ogni dì più avantaggiando i fatti suoi. Quando un bel giorno ecco che egli le confida il suo amore per la Lisa e le speranze che nutriva: la buona donna, che non sapeva immaginare al mondo altro di grande, di ricco, di potente che la casa Lapi: cui pareva già toccar il ciel col dito vedendovi il figlio costituito in ufficio poco più che di servo, conoscendo di giunta che testina avesse la Lisa, si sbigottì tutta tremando che con quest’amore il figlio non venisse a far isdegnar Niccolò, e guastar in tutto i fatti suoi, onde prese a mostrargli quanto pericolo fosse in simil cosa, e molto lo pregò a volersene togliere, e sospirando, diceva: «Se almeno avessi posto in Laudomia l’amor tuo: Cotesta, figliuolo, farebbe per te, ma non è tua pari, neppur essa. Pensaci Lamberto!»

      Nunziata, come tutte le donne avanzate in età, che standosene sole tutto giorno, se hanno cosa alcuna che le tenga in sospetto, a furia di fissarvi sopra il pensiero, si scaldano il cervello, e se la dipingono mille volte più terribile e pericolosa che non è in effetto, viveva in grandissima sollecitudine pel figlio; e quando questi veniva a passar qualche ora con lei, s’ingegnava con quelle ragioni, e quelle carezze che sa trovar una madre amorosa, di fargli entrare quei consigli ch’ella stimava fossero pel suo migliore.

      Le cose erano a questo termine quando il discorso di Niccolò cambiò in certezza la speranza di Lamberto e lo spinse a quelle risoluzioni che abbiamo accennate.

      Ma come annunciarle alla madre? Come separarsi da lei, e forse per sempre? Come dire a lei, vecchia inferma, amorosa sopra tutte le madri «Vi lascio e vado in guerra?» Lamberto, quantunque in molto travaglio per queste idee, non si smarrì.

      Sapea che la madre, come tutte le donne del secolo XVI, era assuefatta all’idea che è cosa virtuosa e virile talvolta il prender l’armi, e che lo sconsigliarne i mariti ed i figli, ove abbiano onesta cagione d’impugnarle, è atto vile e dappoco. Di fatto la Nunziata cresciuta in tempi torbidi e travagliati, aveva, e per le cose vedute e pei discorsi uditi continuamente, avvezzato l’animo alla lunga a pensieri forti ed arditi; onde quando Lamberto, dopo averle replicate le parole di Niccolò, le aprì il cuore interamente dicendole quanto avea fermato d’eseguire, con tutte le ragioni ed i rispetti, che aveva lungamente pesati in cuor suo, bensì sulle prime parea non sapesse risolversi a tanto sagrificio, ma poi a poco a poco si diede se non contenta almeno rassegnata alle ragioni del figlio. Essa era povera, non avea lettere, ma era capace di que’ pensieri generosi che germogliano in una bell’anima anche senza l’ajuto de’ libri. Passato quel primo sgomento, e considerando più pacatamente la cosa, le piacque l’idea di Lamberto di non accettare una tanta ventura prima d’essersene reso degno.

      Sentì un nobile orgoglio pensando che il figlio diverrebbe genero d’uno de’ primi cittadini di Firenze, senz’esserne obbligato soltanto alla sua umanità: che a quell’uomo dal quale s’eran ricevuti continui beneficj senza mai poterli menomamente ricambiare, si potrebbe pur alla fine render merito in qualche modo, o mostrare almeno d’avervi posto ogni studio, onde se v’era difetto s’attribuisse alla fortuna e non a viltà di pensieri. Insomma la partenza di Lamberto venne risoluta d’accordo.

      Mentre segretamente si metteva in ordine di panni, d’arme e dell’altre cose che gli bisognavano, parte spendendo de’ suoi danari, parte di quelli della madre, che in questo suo bisogno gli volle donare tutt’i risparmi fatti in tanti anni; una parola uscita di bocca alla Lisa lo confermò sempre più nelle sue risoluzioni, e ne affrettò l’esecuzione. L’udì un giorno, parlando co’ fratelli d’un giovane loro parente che attendeva allo studio delle leggi, dire: «Quanto a me non mi pare uomo chi non vedo a cavallo colla corazza sul petto.» Queste parole suonarono all’orecchio di Lamberto come gli avesse detto «Ora se vuoi avermi tu sai quel che hai a fare».

      Due giorni dopo sulla prim’alba il giovane coperto di tutte arme picchiava all’uscio della Nunziata, per abbracciarla e domandarle la benedizione. Il lettore potrà facilmente immaginare gli atti e le parole d’ambedue senza che prendiamo a descriverli minutamente. Al momento di dividersi, la povera vecchia preso tra le mani scarne e tremanti il capo del figlio, che avea posto in terra le ginocchia, lo baciò in fronte, lo benedisse, e ponendogli al collo un crocifisso d’ottone gli disse «Questo non lo lasciar mai, figlio mio, ti porterà ventura» e Lamberto partì.

      Ma prima d’avviarsi alla porta S. Gallo ov’era il suo cammino, volse il cavallo e lo fermò al portone di casa i Lapi. Mai gli era bastato l’animo di parlar proprio schietto ed aperto alla Lisa; ma ora il momento del distacco, la risoluzione presa, lo facevano animoso; quell’arme stesse che lo coprivano, già gli pareva sentire l’avessero mutato in tutt’altro uomo, e forse (era così giovane!) godeva mostrarsi alla Lisa tutto lucente di ferro, e pensava: quando sarò lontano e si ricorderà di me, mi vedrà colla spada e la rotella, e non con quel maladetto braccio e quei maladetti broccati.

      Smontò da cavallo, e su per le scale risolutamente giunse alla loggia dell’ultimo piano. Lisa alzatasi pur allora era uscita con un infrescatojo ad annaffiare i suoi fiori prima che levasse il sole.

      Le parole furon pronte e brevi.

      —S’io ritorno, disse Lamberto tenendosi a due passi dalla giovane, e colle mani giunte in atto di preghiera, s’io ritorno sarò degno di voi, s’io non ritorno... vorrà dire che Lamberto vostro avrà perduta la vita per meritarvi. Ove ciò sia, avrete memoria di me? Se Iddio mi serba a miglior fortuna, sarete contenta aspettarmi?—

      Lisa s’era appoggiata al muricciuolo della loggia, chè quella comparsa improvvisa, quell’arme, le parole del giovane gravi e tenere al tempo stesso, le aveano messo in cuore siffatto turbamento, che le ginocchia

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