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povero Lamberto!—

      Stesa poi la mano ad un vaso di rose tutto in fiore, ne colse una, la diede a Lamberto, e fuggì nelle sue camere.

      Lamberto in un momento fu in istrada: il moto del salire a cavallo sfrondò la rosa, ed un po’ di vento che soffiava ne disperse le foglie.

      Lamberto tutto sbigottito le guardava volare tremolanti e spandersi all’intorno.

      Si pose in seno, sospirando, il gambo e le fronde verdi che rimanevano, e spronò al suo viaggio col cuore stretto ed il pensiero a quella rosa che tanto poco era potuta durare intera.

      Non lo deridiamo, povero giovane! quando il cuore si trova a questi passi, un’inezia basta ad affliggerlo come a consolarlo.

      La Lisa intanto aveva narrato il successo alla sorella, e presto Niccolò ed i fratelli seppero anch’essi la partita di Lamberto. Saliti nella sua camera trovaron, lasciata sulla tavola, una lettera per Niccolò: in essa il giovane dopo avergli rese le grazie ch’eran dovute al tanto bene che avea avuto da lui, dopo avergli chiesto perdono s’egli partiva senza toglier commiato, e senza aver da Niccolò, come da padre, la benedizione, gli si apriva interamente, dichiarandogli che nonostante il grande amore nutriva per la Lisa, non ostante le benigne parole del padre, egli non era però tanto cieco da non conoscere quanto la persona sua fosse inferiore alla ventura che gli si voleva far sperare: che gli sarebbe parsa gran villania, e troppa indegna riconoscenza dei tanti beneficj, il valersi sul momento della generosa profferta che Niccolò gli faceva per effetto di sua buona natura: che andava a porre in opera tutte le virtù dell’animo e le forze del corpo per mostrare almeno al mondo che s’egli era persona umile e povera avea però spiriti e pensieri meritevoli di miglior fortuna. Pregava poi la Lisa ad aver qualche memoria di chi tanto fedelmente l’amava, e ad aspettarlo un pajo d’anni, sperando potere, prima che fosser trascorsi, farle udir tali novelle che avesse a dire: Lamberto è divenuto un uomo.

      E ciò lo scrisse con un frego di sotto, volendo riferirsi alle parole della Lisa.

      Niccolò per la sua fiera natura amante de’ caratteri forti, rimase ammirato del partito preso da Lamberto; e quantunque molto glien’increscesse non si sapeva saziare di lodarne l’alta cortesia. E la Lisa considerando che il giovane soltanto per amor suo andava incontro a tante fatiche e a tanti pericoli, colta nel lato debole del cuore, crebbe agli occhi suoi proprj, e sentì che potea andar superba d’un tale amante.

      Per ogni donna che sia del carattere della Lisa, è ben raro che l’amor proprio appagato non ischiuda la porta all’amore: ed in quei primi momenti udendolo desiderare e lodare da tutti le parve amarlo e forse l’amava realmente. Interrogata da Niccolò in quel primo calore, rispose ch’era contenta aspettarlo, e nella sua inesperta semplicità, già le pareva vederlo tornare signore d’un reame.

      Ora vuoi sapere, o lettore, chi aveva posto in animo a Niccolò il dire ciò che disse a Lamberto? Era stata la buona Laudomia, che accortasi del suo amore, e stimandolo gran ventura per la sorella, avea con quella sua celeste bontà, cancellato tosto, o rinserrato almeno nel più profondo del cuore, ogni pensiero di se stessa, per occuparsi soltanto del bene della Lisa e di Lamberto, che da quel punto amò sempre come gli fosse stato fratello.

      Tanto è vero che a questo mondo, vivon talvolta nascoste in qualche angolo ignoto, anime di eroi, a petto alle quali Alessandro, Cesare, e tanti altri simili a questi, son pure la povera e la meschina razza! e la differenza è presto capita. I secondi tormentaron gli altri per giovare a sè. I primi tormentan se stessi per giovare agli altri.

      Faceva l’anno dacchè Lamberto era partito, nè, da una prima lettera in poi ove diceva essere agli stipendj del sig. Filippino D’Oria e militare sulle sue galee, s’era potuto saper altro sul fatto suo. Si cominciava a dubitare non fosse capitato male, e nel cuor della Lisa la sua immagine s’andava cancellando per la lontananza, per l’incertezza dell’evento, e più di tutto perchè l’immagine di Troilo veniva occupandone il luogo. Si può pensare se alla buona Laudomia, recasse dolore veder quel Lamberto che il suo cuore avea saputo così bene conoscere e pregare, cui avea però rinunciato con tanta virtù per farne felice la sorella; quel Lamberto che avea lasciato patria, parenti, agi ed amici, ed avea mostrata tanta altezza di pensieri per amor di essa, vederlo, dico, posto in obblìo così presto per un pazzarello, per un cortigiano scannapane, per uno di quella parte dalla quale erano venute addosso a Firenze, e sulla sua casa cotante sventure. Laudomia era gelosa dell’onor di Lamberto, e non potea patire di vedergli fare un così gran torto; questa era la più potente cagione per la quale tanto l’offendevano i portamenti della sorella.

      Nè potendo più reggere alla passione e tacere, una sera sull’imbrunire, in quell’ora che più di tutte può dirsi l’ora della confidenza, trovandosi sola con essa in camera, le prese le mani e le disse quasi piangendo—Oh Lisa! ed il povero Lamberto!.... la sua fede!.... il suo amore!.... l’hai proprio dimenticato del tutto?.... Alle quali parole Lisa ne rispose poche e brevi, ma amare e superbe. Laudomia tacque, uscì di camera, e trovatasi sola pianse dirottamente, come si piange quando, sulla virtù, sui pregi di persona che s’ami si è costretti a dire: «Io m’era ingannato!»

      Ma venne ben presto il tempo in cui quella freddezza che sentiva per essa scomparve e si cangiò in compassione, in premura più calda, più tenera che mai. Verso il finir di maggio Niccolò si condusse colla famiglia ad un podere ch’egli aveva presso il Poggio a Cajano, villa de’ signori Medici. Egli ed i figli venivano di continuo a Firenze per loro faccende, onde spesso le due sorelle rimanevan sole con una vecchia fante detta Mona Fede, buona, ma credula e di corto ingegno che non si potea trovar peggio.

      Una mattina Laudomia che soleva dormire colla sorella, svegliatasi a levata di sole, non se la trovò più allato. Pensando fosse scesa in giardino per goder l’ore fresche, v’andò; ma non v’era, e neppure la fante, tantochè non sapea che pensare. Dopo un pezzo comparvero ambedue, ma come sbigottite e scompigliate, e pareva parlassero e rispondessero a sproposito. Laudomia cominciò a tremare, e condottasi in camera la sorella, le domandò affannata che cosa l’avesse così per tempo condotta fuor di casa, e che volesse dir quel suo sbigottimento.

      Diede, l’incauta giovane, in uno scoppio di pianto, e buttandosele al collo disse: «Sono sua moglie!».... Laudomia all’udir quelle terribili parole che suonarono al suo orecchio come la profezia d’interminabili sventure, rimase senza respiro: e coprendosi il viso colle mani potè dir solo «Ah sciagurata, che cosa hai fatto!» Visto poi che in quel momento non avrebbe potuto ricavar altro dalla sorella, corse, per chiarirsi, alla fante, e con parole affannose ora pregando, ora sgridandola, pur alfine fece parlare quella povera vecchia, che maravigliandosi molto di veder tanto turbata la Laudomia per questo fatto, non restava di dire che Troilo era un gran gentiluomo, e molto onorato partito per la Lisa, e che se avea voluto far le cose così in segreto, co’ signori non bisognava guardarla tanto pel sottile, avendo anch’essi le loro fantasie, e che Niccolò alla fine si sarebbe poi trovato contento, ed altre simili sciocchezze.

      Insemina, per dirla in una parola, la cosa era fatta, ed il turpe modo, il lettore lo conosce: ma nessuna di quelle povere donne lo conosceva, anzi la fante per vieppiù rassicurare la Laudomia, narrava particolarmente la cerimonia esaltando la cortesia dello sposo ed affermando essersi eseguito il tutto colle debite regole in chiesa col prete, i testimonj ec., tantochè l’animosa giovane conosciuta niuna cosa esser più vana ed inutile, che disperarsi quando il male non ha rimedio, prese il savio partito di volger tutte le cure a prevenirne le tristi conseguenze. Il suo primo pensiero, ed il consiglio che diede alla Lisa fu gettarsi tosto a’ piedi di Niccolò e confessargli il tutto, ma non le bastò l’animo di seguirlo. Rade volte chi ha bisogno di un tal consiglio è capace di mandarlo ad effetto. Si spera coprire colla simulazione un primo fallo, ma quel male che conosciuto tosto amine Merebbe rimedj, ignoto si fa incurabile. Se Lisa avesse dato retta alla sorella, avrebbe avuta ad incontrare senza dubbio la prima furia di Niccolò, ma poi volendo questi aver in mano le prove della validità del matrimonio si sarebbe scoperta la vile ribalderia che v’era sotto; diveniva facile, ed in tempo il rimedio, e la misera Lisa non sarebbe finita.... Ma narriamo le cose per ordine.

      Il cuore umano è talmente impastato

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