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nominato, per nascondere che era là venuto in sua compagnia. – Facendo questa rassegna, l'Auditore ebbe a trovare non 14 ma 21 ecclesiastici, come si rileva dalla Ricognizione originale, ed ebbe a sapere che altri tre di loro erano stati rinchiusi nel Castello dell'uovo, probabilmente per semplice disavvertenza: questi erano infatti fra Pietro Ponzio, Cesare Pisano e Giulio Contestabile, ma nella lista che ne fu redatta lo stesso giorno e che può leggersi tra' Documenti19, fu messo non già il Contestabile, sibbene Gio. Tommaso Caccia che era stato già giustiziato! Chi si permise tale sostituzione evidentemente dolosa? Sarebbe difficile dirlo; ma poichè insieme coll'Auditore non v'era alcuno ufficiale Regio che avrebbe potuto far nascere tale equivoco, bisogna piuttosto dire che l'abbia fatto nascere il Nunzio medesimo, per mostrarsi ignaro di questo grave e d'altronde irrimediabile oltraggio arrecato alla giurisdizione. Il Vescovo di Squillace fin dal giorno 11 avea scritto un'altra volta al Nunzio nominandogli in particolare un clerico, naturalmente della propria diocesi, che con ogni probabilità dovè essere il Caccia; il Nunzio gli rispose che questo clerico era stato condotto in Napoli, e intorno a lui doveva eseguirsi l'ordine che S. S.tà darebbe, come altra volta gli avea scritto20; sicchè il trovarselo nella lista gli potè servire di ottima scusa. Ma se questo non fosse stato un artificio suo, avrebbe dovuto poi venire il giorno delle lagnanze e de' risentimenti presso il Vicerè, allo scoprirsi dell'inganno; ora siffatto giorno non venne mai, e ciò mostra che Mons.r Nunzio non vide perchè non volle vedere, o per lo meno che le sue grandi cure intorno alla giurisdizione non erano dirette a proteggere le persone ecclesiastiche, le quali potevano perfino scomparire senza che egli se ne avvedesse.

      Nel medesimo giorno 23 novembre il Nunzio mandò a Roma la notizia della ricognizione fatta e la lista de' carcerati ecclesiastici, che raggiungevano appunto il numero di 23, con l'osservazione che se n'erano trovati 9 di più ed un solo clerico selvaggio. Nel giorno 26 tornò sull'argomento e ripetè l'istanza che venisse l'ordine circa le persone le quali doveano costituire il tribunale per l'eresia, accertando che in questa materia i Ministri Regii non avevano alcuna pretensione d'intervenire, ma soggiunse: «temo bene che nel capo della congiura e ribellione non sia per bastare à medesimi Ministri l'intervenire, ma che vorranno apparirci principali, et che sotto lor nome si faccino i Processi non ostante che di ragione non convenga, per che ritraggo che dicono altra volta haverlo usato, et che sia solito de Principi in simili casi proceder de facto». Questo gli venne confermato poco dopo dal medesimo Vicerè in una udienza avuta, e mentre egli insisteva sulla necessità «che tutto apparisse fatto coram Judice ecclesiastico», il Vicerè mandò a chiamare il Reggente d'Aponte (che era Gio. Francesco Marchese di Morcone, cugino del Consigliere, figlio di Gio. Antonio e di Costanza Lanaria), e costui disse che «havevano trovato che con altre occasioni era stato dalli Antecessori di S. S.tà commesso ad uno de Ministri Regii che intervenisse come delegato Apostolico in trattar simili cause»; il Vicerè soggiunse che se ne farebbe istanza a Roma. Il Nunzio allora non obiettò altro, ma chiese che i tre ecclesiastici rinchiusi nel Castello dell'ovo si facessero condurre in Castel nuovo, e l'ordine in questo senso fu subito dato; fece in pari tempo notare che i carcerati ecclesiastici si erano trovati in maggior numero, ma un solo veramente era clerico selvaggio, e il Vicerè disse che non pensava che erano tanti! Insomma il Vicerè all'occorrenza rappresentava anche la parte dell'ingenuo, e mostrava sufficiente abilità in questo armeggio.

      Non si tardò a commettere le trattative all'Ambasciatore di Spagna ed all'Agente Vicereale in Roma. Una lettera del Vicerè, in data del 30 novembre, ci pone in grado di conoscere lo stato delle cose dalla parte del Governo di Napoli: sarà bene riportarla qui tutta intera in italiano21. «Già tengo dato conto a V. M.tà dell'aver tradotto qua i prigioni di Calabria, e della giustizia che si fece di sei di loro all'entrata del porto. Contro i laici si va procedendo, avendo delegato per Giudice il Consigliere Marco Antonio de Aponte, e per Fiscale D. Giovanni Sanchez, con ordine che ci vadano sempre dando conto in Collaterale di quanto si farà. I frati e clerici tengo posti tutti in Castel nuovo, con ordine che stiano lì in nome di S. S.tà e del Nunzio che risiede qui per lui, ma segretamente ho ordinato al Castellano che non lasci trarre di là nessuno. S. S.tà inviò ordine al Nunzio che risiede qui, perchè con lui, o col Giudice che egli deputerebbe pel compimento di questa causa, entrasse sempre un'altra persona di parte mia. Io non mi sono contentato con questo, e però faccio istanza per mezzo del Duca di Sessa e di D. Alonso Manrrique che mi rimetta la causa, e quando non potessi ottener questo, che S. S.tà nomini i Giudici che io le presenterò, o mi mandi un Breve perchè io possa presto nominarli in suo nome. Perciò ho trovato un decreto emanato al tempo delle rivolte del Principe di Salerno da due Reggenti di questo Collaterale, nel quale si nominano Giudici creati da S. S.tà e S. M.tà, e così con questo ed altre ragioni convenienti faccio l'istanza suddetta, e in tale stato tengo il negozio. L'Inquisizione ancora, da parte sua, tratta di volere coloro che sono inquisiti di eresia; io vado rispondendo a tutto con buone ragioni e parole, e almeno procurerò che i capi principali, per una via o per l'altra, non escano di qui senza aver giustizia di loro» etc. Quest'ultima proposizione si vedrà affermata ancora più energicamente nelle lettere Vicereali consecutive, ed essa fa intendere il deciso proponimento del Governo contro il Campanella e socii, malgrado che da parte di Roma non apparisse alcuna premura di secondarlo.

      Naturalmente a Roma tutta questa insistenza per farle sacrificare i dritti giurisdizionali non piaceva punto, e già, mettendo in un sol fascio i negozii comuni e quello de' carcerati per la congiura (26 novembre), il Card.l S. Giorgio dolevasi col Nunzio, perchè i Ministri Regii non sapevano lasciare i loro abusi e il Vicerè non riusciva quale si era mostrato da principio: allorchè poi comparve D. Alonso Manrrique (2 dicembre) con quella specie di dimande sopra menzionate, si affrettava a partecipare al Nunzio la maraviglia destata dal vedere che i Ministri Regii pretendevano «di fare la causa soli». Ma non tardò nemmeno a fargli sapere (4 e 5 dicembre) la risoluzione di S. S.tà, che la causa della congiura dovesse farsi da lui «et da un Ministro Regio non coniugato in sua compagnia, che non essendo Chierico pigli la prima Tonsura per questa occasione, non essendosi lasciato persuadere S. B.ne di delegare persona meramente Laica»; ed aggiunse pure l'altra risoluzione di S. S.tà «di far venire a Roma… finita la causa della congiura» coloro tra gli ecclesiastici che erano inquisiti o sospetti di eresia, onde non solo non accadeva di deputare alcuno in luogo del Vescovo di Caserta, ma neanche si doveano agitare in Napoli siffatte materie. Evidentemente con quest'ultima risoluzione la Curia Pontificia rinfocolava i sospetti e si preparava un'altra difficoltà, imperocchè non poteva presumersi con qualche fondamento l'assoluzione di tutti gli ecclesiastici, in una causa di congiura in cui vi erario già state dieci condanne di morte con otto esecuzioni, nè doveva attendersi agevolmente il rinvio a Roma di coloro i quali sarebbero riusciti condannati, senza far loro espiare la pena nel Regno. Intanto, poco dopo, il Card.l S. Giorgio fece anche sapere che sì spedirebbe un Breve particolare sopra il tribunale della congiura, ma desiderando il Vicerè che la causa non si differisse ulteriormente, S. S.tà voleva che il Nunzio vi mettesse subito mano, senza nemmeno aspettare il Breve, contentandosi inoltre «che il Fiscale e il Notaro sieno quali il Vicerè gli vorrà». – Come si vede, pretendendo sempre di più e con gran fretta, quasi non lasciando tempo alle repliche, il Governo guadagnò molto e sollecitamente. Il Papa non si riserbò nemmeno la conoscenza personale del Ministro Regio che doveva intitolarsi Delegato Apostolico e procedere in nome della S.ta Sede: bastava che, essendo celibe, avesse la tonsura, e non avendola se la procurasse, senza contare che avrebbe poi dovuto sempre il Nunzio trovarsi d'accordo con questo Ministro Regio, poichè in caso di disparità chi mai avrebbe sciolta la differenza? Ben di rado la sostanza fu tanto barbaramente sacrificata alla forma. Una relazione di D. Alonso Manrrique in data di Roma 4 dicembre, la quale fu poi mandata in copia a Madrid, ci fa conoscere i particolari delle trattative da lui fatte, e le notizie e i consigli che dava22. Ci basterà notare che nelle trattative egli svolse l'argomento, che il Vicerè non si fermava in puntigli di giurisdizione, ma solo desiderava riuscire ad accertare il delitto e gastigarlo per soddisfazione del suo Re, e a tal fine era un mezzo più a proposito quello de' Ministri di S. M.tà che quello del Nunzio: quanto poi alle notizie ed a' consigli che dava, gioverà riportare le sue stesse parole. «In tal negozio mi rimane solo a dire che desidero infinitamente che si riesca a mettere in luce la verità, essendo molti di avviso che non vi sia nulla

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<p>19</p>

Ved. Doc. 64, pag. 54.

<p>20</p>

Ved. Doc. 67, pag. 56.

<p>21</p>

Ved. Doc. 37, pag. 42.

<p>22</p>

Ved. Doc. 39, pag. 13.