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biglietto, col quale gli ordinava di ammettere chiunque fosse stato da lui inviato per eseguire qualunque suo ordine. E scriveva pure al Card.l di S.ta Severina, dicendo che gli ecclesiastici inquisiti erano 14 (ancora non sapeva che erano in maggior numero), e la carcere sua era «una sola et non interamente sicura per simili huomini», e però avea ricercato il Vicerè che si contentasse metterli in Castel nuovo a sua istanza come era seguito: donde risulta sempre più manifesto non esservi stata veramente mai, tra il potere civile e l'ecclesiastico, una quistione intorno al doversi quegl'inquisiti tenere nelle carceri Regie o in quella del Nunzio, il quale, al pari di tutti i suoi predecessori e dello stesso Arcivescovo, continuamente profittava delle carceri Regie per gì'inquisiti ed anche pe' condannati di una certa importanza. Infine scriveva ancora il Nunzio a' Vescovi di Squillace e di Gerace, dicendo che i carcerati erano giunti e si doveano con loro eseguire gli ordini che S. S.ta avrebbe dati. Ci mancano le lettere di questi Vescovi, e così pure quella del Card.l di S.ta Severina, alle quali il Nunzio rispondeva, e però non conosciamo il motivo preciso di queste risposte del Nunzio abbastanza oscure; ma parrebbe che il Card.l di S.ta Severina avesse giudicato poco corretto che gl'inquisiti ecclesiastici fossero tuttora rimasti in mano delle forze Regie, e che i Vescovi di Squillace e di Gerace avessero fatto tardivamente avvertire che si badasse bene alle qualità di clerici nelle persone del Caccia e del Pisano.

      Non si saprebbe dire veramente perchè il Nunzio avesse tardato fino al 23 novembre per mandare a riconoscere gli ecclesiastici carcerati, mentre ne aveva facoltà fin dal 15: comunque sia, a quella data egli mandò il suo Auditore, il Rev.do Antonio Peri fiorentino, che vedremo figurare anche troppo durante il processo di eresia, poichè il Nunzio, occupato in altri affari, si fece sovente sostituire da lui. Lo mandò al Castellano con un suo biglietto che può leggersi tra' Documenti; qui occorre soltanto notare essere stato questa volta il Castellano più che gentile, avendo non solo fatta dare una stanza per gl'interrogatorii, ma anche «offerto ministri et ogni altra cosa per la tortura»! Nell'udire un simile sfoggio di cortesia da parte del Castellano, Mons.r Nunzio, che fino allora non era riuscito a nulla con lui, dovè rimanerne lusingato tanto, che non mancò di riferire anche quell'offerta a Roma16. – È necessario pertanto fare la conoscenza di questo Castellano. Egli era D. Alonso de Mendozza e Alarcon, di nobilissima famiglia, discendente da quel D. Ferdinando di Alarcon, il quale tenne prigione Re Francesco di Francia dopo la rotta di Pavia, fu creato Marchese della Valle Siciliana e poi anche di Rende, e maritando l'unica sua figlia a un Mendozza, volle che tutti i successori prendessero perfino il suo nome, onde si ebbe una serie di Ferdinandi de Mendozza e Alarcon Marchesi della Valle, che ingarbuglia un poco la storia della famiglia. D. Alonso era terzogenito di D. Diego de Mendozza, quarto figlio di D. Ferdinando Pietro Gonzales de Mendozza, 2.o Marchese della Valle, che morì governando lo Stato di Milano; egli avea sposato D. Maria de Mendozza figlia di suo zio D. Alvaro e di D. Anna di Toledo. Secondo il costume del tempo, l'ufficio di Castellano del Castel nuovo era da anni nelle mani dei Mendozza. Dopo la morte di D. Ferdinando Pietro Gonzales, 2.o Marchese della Valle, era passato al figlio D. Alvaro, e in una delle assenze di costui, che guerreggiò in Fiandra con molto valore, fu retto da D. Diego padre di D. Alonso; più tardi, nel 1595, D. Alvaro medesimo con licenza del Re ne fece rinunzia a D. Alonso suo genero, e tale rinunzia fu confermata nel 1596, continuando poi nel medesimo ufficio, dopo la morte di D. Alonso, anche i due figliuoli di costui D. Alvaro e D. Diego iuniori successivamente17. Tutti questi particolari non debbono reputarsi inutili, che anzi dovremo darne ancora altri più in là, essendo stato il Campanella in relazione con qualche persona della famiglia Mendozza e della parentela di essa.

      Ecco ora un saggio della ricognizione fatta dall'Auditore del Nunzio il 23 novembre; ne prendiamo alcuni brani dal 1.o volume del processo di eresia, dove essa trovasi inserta. Precisamente come scrisse il Nunzio a Roma nella stessa data, si volle rilevare quali e quanti fossero gli ecclesiastici inquisiti, i loro nomi ed il luogo in cui si trovavano carcerati: così per la prima volta s'incontra un breve interrogatorio del Campanella e di tutti gli altri ecclesiastici, con la descrizione degli abiti di coloro che furono presi travestiti da secolari; non di rado vi s'incontra pure la notizia della patria, parenti, età e circostanze in cui ciascuno fu preso18. Il Campanella venne interrogato prima di ogni altro, e diamo qui la descrizione che se ne fece, e le due risposte che si ebbero alle due interrogazioni fattegli. «Fu esaminato un certo giovane, con barba nera, vestito di abiti laicali, con cappello nero, casacca nera, calzoni di pelle, ferraiolo di lana come volgarmente si dice panno di Morano arbaso, e deferitogli il giuramento» etc. rispose: «Signore, Io mi chiamo Fra Thomasi Campanella dell'ordine di San Domenico, sono di una terra chiamata Stilo in Calabria ultra, mio patre si domanda Geronimo Campanella et mia matre Catherina basile. L'essercitio mio è di Religioso, dire l'offitio, messa, predicare et confessare, et l'habitatione mia è in Stilo nel convento detto Santa Maria di Gesù di detto ordine di S. Domenico, et si ben mi ritrovo vestito di questa maniera, è perchè fuggiva l'ira di miei inimici che mi persequitavano, cioè l'Avocato fiscale Don luisi Sciarava et Gio. Geronimo Morano che mi veniva appresso»… «Nell'anno 1581 mi pare ch'io entrassi nella Religione, et per prima era chierico». Due cose si fanno qui notare: l'una è che sua madre vien detta Caterina Basile, mentre è stato assicurato che ne' libri parrocchiali leggevasi Caterina Martello, e su questo ci siamo già spiegati fin dal principio della nostra narrazione (ved. vol. 1.o pag. 2); l'altra è che il Campanella scusa qui la sua fuga dicendo che gli «veniva appresso» Gio. Geronimo Morano, non Maurizio de Rinaldis. – Seguì l'interrogatorio fatto a fra Pietro di Stilo, nel quale si parlò ancora del Campanella, e ne diamo semplicemente le risposte. «Havrà da dudeci anni ch'io sono entrato nella Religione, et havrà da undici anni che hò fatto la professione, et di presente quando fui preso carcerato steva à Stilo nel monisterio di S.ta Maria del Gesù dove io era vicario»… «In detto convento vi erano quattro sacerdoti di messa et uno laico assistenti computati con me, et fra Dionisio Pontio ci soleva venire come una furia, et andava et veniva; li quattro sacerdoti sono prima io, il secondo fra Thomasi Campanella, il terzo fra Domenico di Riaci, il quarto fra Simone della Motta (si noti che il Petrolo non c'era), et non fu di altri che fugissero di detti frati solo il Campanella avertito da fra Dionisio pontio che venne à dire che era stato avisato che veniva il s.r Carlo Spinello contro di loro, et così si ne partirno, et questo è quello ch'io so della fuga loro». – Lasciando poi tutti gli altri interrogatorii, riporteremo soltanto quelli di fra Domenico Petrolo, di fra Giuseppe Bitonto e di fra Dionisio, con la descrizione de' loro travestimenti. Quanto a fra Domenico si scrisse: «Fu esaminato un certo giovane con piccola barba, vestito di abiti laicali, con casacca nera di panno d'arbascio, calzoni di panno color lionato, con ferraiolo egualmente di panno nero d'arbascio, dietro giuramento» etc. rispose, «Io mi chiamo fra Domenico de Stignano dell'ordine di S.to Domenico, et son figlio ad Augustino petrone (sic) et a lucretia pelegia, et l'essercitio mio è di studente sacerdote di Messa, et ha dui anni ch'hò predicato et sono stato assignato al convento di Cosensa et deputato al convento di S.ta Maria di Gesù di Stilo»; nè gli fu dimandato altro. Quanto a fra Giuseppe Bitonto, troviamo: «Fu esaminato un certo giovane con barba castagnaccia, vestito di abiti laicali, con giubba bianca, cappello nero e calzoni di arbascio nero e ferraiolo di panno nero, con giuramento interrogato» etc. rispose, «Io mi chiamo fra Gioseppe Bitonto di san Giorgio et sono sacerdote di Messa et lettore» etc. «Quando fui preso carcerato fui preso in casa fuori alla vigna d'un mio zio, che mi ni era ritirato là per pagura di non essere preso, già che si diceva che tutti l'amici del Campanella dovevano essere presi et però mi ritrovo in questo habito che mi presero che steva dormendo, et li sbirri mi levorno la tunica et l'habito, et in questo carcere di notte e giorno stò solo». Infine quanto a fra Dionisio si scrisse: «Fu esaminato un certo giovane con barba nera vestito di abiti laicali, con casacca di ciambellotto, calzoni di scottano nero e ferraiolo nero, con giuramento interrogato» etc. rispose, «Io mi chiamo fra Dionisio Pontio da Nicastro et son frate dell'ordine di S.to Domenico et l'essercitio mio è di sacerdote lettore et predicatore et mio padre si chiamò Jacovo pontio et mia madre si chiamò lisabetta monizza»… «Io fui preso carcerato à Monopoli dove io era fugito et scappato da molti soldati nel convento di piczoni, perche mi fu detto da claudio crispo che erano venuti detti homini per carcerare li frati in detto monisterio». Si può qui notare che egli dicevasi avvertito dal Crispo, il quale era stato solito di dimorare in quel convento e

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<p>16</p>

Ved. Doc. 62 e 65, pag. 54 e 55.

<p>17</p>

Ved. Registri Sigillorum vol. 31 (an. 1595) 1o 10bre; vol. 32 (an. 1596) 9 7bre e 16 7bre. Inoltre De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili etc. Nap. 1654 vol. 1o, pag. 399.

<p>18</p>

Cons. Doc. 304, pag. 246.