Скачать книгу

chi è Guglielmo Valdara? Chi non ha letto i suoi magnifici versi, chi non ha almeno udito ripetere i più famosi, quelli divenuti popolari, entrati ad arricchire il patrimonio della lingua parlata, come i proverbii e i modi di dire? Ma se a nessuno riesce nuovo il suo nome, molti non avranno idea della sua persona e non sapranno che egli possiede quel genere di maschia bellezza destinata a piacere alle donne ed a formare l'invidia degli uomini. È alto, magro ed agile; ha lineamenti nobili e puri, capelli folti e dorati come nella prima gioventù. I suoi amici gli chieggono, scherzando, di quale tintura si serve; ma Valdara è veramente un miracolo di conservazione — poichè, come ella saprà, è più vicino ai cinquanta che non sia lontano dai quaranta. Ma il tempo passa per lui senza offenderlo, e la sua figura è di quelle la felice armonia delle quali muta di carattere, ma non si distrugge. Quando le sue chiome saranno tutte d'argento, sembrerà ch'egli abbia messo, per civetteria, una bella parrucca — e piacerà ancora. Quando non avrà più capelli, la sua testa parrà scolpita nel marmo pario — e non dispiacerà. Ma veniamo all'avventura della quale fu l'eroe.

      Due anni addietro, sul principio dell'estate, egli andò ai bagni d'Aix, dove trovò parecchi connazionali, [pg!22] ma nessuno di sua conoscenza. Qualcuno di quegli Italiani, tuttavia, avendo letto il suo nome sulla lista dei viaggiatori, lo considerava con l'occhio attento ed un poco attonito col quale si guardano i grandi uomini, le bellissime donne e le bestie rare. Certuni gli gironzavano attorno, cercando l'occasione di dirgli che sapevano chi era; ma, naturalmente nemico di questo genere di esposizioni, Valdara evitava costoro, ed era molto contento quando lo scambiavano con uno dei tanti Valdara così numerosi nell'alta Italia, specialmente col proprietario o direttore che sia del celebre lanificio di Biella.

      La corte degli uomini lo seccava; però egli faceva la corte alle signore. Una sopra tutte gli piaceva: la moglie graziosissima ed elegantissima d'un ingegnere piemontese, il cui nome si omette per discrezione. Fin dal primo giorno che costei apparve alla table d'hôte, Valdara le piantò gli occhi addosso, con una persistenza legittimata dalle occhiate rapide e frequenti che anche ella gli rivolgeva. La sera, al Casino, uno di quei curiosi che era finalmente riuscito ad esprimergli la propria ammirazione e che conosceva l'ingegnere e la moglie, lo presentò alla coppia di fresco arrivata. E, credendo di riescirgli particolarmente gradito, si mise a parlare di letteratura. Valdara, lieto della conoscenza fatta, era un po' seccato da quel discorso, temendo da un momento all'altro di sentir citare le proprie opere o di dover rispondere alla solita incresciosa domanda: «E che cosa ci regalerà di nuovo?» Per fortuna il seccatore ebbe il buon gusto di non alludere a lui; nè la signora, la quale del resto era un poco stanca e si ritirò molto presto, gli fece gl'immancabili ed immancabilmente stupidi complimenti.

      Fin dal domani Valdara cominciò l'assedio, e con gran piacere s'accorse che le cose si mettevano bene. Il seccatore se ne partì, l'ingegnere stava poco bene, quindi egli ebbe l'agio di veder spesso sola la dama dei suoi pensieri. Una settimana dopo, ottenne di fare con lei una passeggiata clandestina. Parlarono di tutto, fuorchè di letteratura; anzi, non di tutto, ma d'una [pg!23] cosa sola. Ella indovina quale. Valdara disse alla sua bella connazionale, con tutta l'eloquenza che gli era consentita dall'assoluta solitudine, quanto gli piaceva — e la sua bella connazionale se lo lasciò dire. Dopo un'altra settimana di colloquii, di balli, di strette di mano furtive, di baci un po' rubati e un po' concessi, ella andò a trovarlo in camera sua. E allora, come facilmente comprenderà, non parlarono di niente. Le visite si rinnovarono, e furono tutte poco verbose, perchè necessariamente brevi. Insomma, Valdara assaporava beatamente la dolcezza dell'avventura, e come non chiedeva null'altro all'amica, così non gli faceva senso che neppur ella gli chiedesse null'altro.

      Ora, un giorno, mentre l'aspettava, la posta gli portò due pacchi contenenti sedici copie del suo nuovo volume Le Memorande, che l'editore proprio in quei giorni doveva diffondere per tutta la penisola. Siccome mancava più d'un'ora al convegno, egli si mise a scrivere le dediche su quei volumi che s'era fatti mandare appunto per spedirli agli amici. Non aveva ancora finito che l'uscio si schiuse e l'amica sua gli venne incontro. Egli lasciò a mezzo le dediche e tese le braccia alla dama, esclamando, a bassa voce, ma con l'accento della più lieta meraviglia:

      — Che piacere!... Tanto più presto!... Non vi speravo ancora!...

      Ella spiegò che una felice circostanza l'aveva lasciata libera prima dell'ora consueta e che perciò avrebbero potuto restare insieme più a lungo del solito.

      — Ma io non disturbo?... — domandò con un discreto sorriso, per farsi assicurare del contrario; e Valdara:

      — Voi?... Se non mi par vero?... Se m'avete risparmiato la febbre dell'attesa!...

      Accennando alla scrivania, ella soggiunse:

      — Facevate però qualche cosa... — e andò a vedere.

      Le copie delle Memorande erano distribuite in due pile: da una parte quelle dove la dedica era già fatta, dall'altra quelle dov'era ancora da fare; nel mezzo, [pg!24] aperto alla prima pagina bianca, l'esemplare dove Valdara stava scrivendo; «A Giuseppe Giacosa, fraternam...» Ella guardò curiosamente quei libri, prese l'esemplare aperto e considerò un poco la dedica.

      — Questo libro è dunque vostro? — domandò, senza nessuna espressione di compiacimento o di stupore; e Valdara, stupito invece un poco per proprio conto, rispose:

      — Si, è mio... Ne gradite una copia?...

      Allora, con l'espressione di chi si sovviene a un tratto di qualche cosa, la dama insistè:

      — Dunque voi siete Valdara, il poeta?... L'autore delle Elegie d'autunno?... — E naturalmente, tranquillamente, come se il sapere che l'amico suo era uno dei più grandi poeti della patria non gli aggiungesse nè gli togliesse nulla, ella continuò: — Io avevo creduto che foste quell'altro, quello del lanificio...

      Per la verità debbo aggiungere che Valdara, quella volta, restò un po' male.

      [pg!25]

       Indice

       Cara Contessa,

      Pare che l'avventura di Guglielmo Valdara, se non l'ha proprio convinta, l'abbia scossa, almeno, e indotta a dubitare di ciò che prima asseriva con troppa fermezza. Infatti, concedendomi che le donne stiano attente alla bellezza degli uomini da amare più che non alla morale altitudine di essi, ella mi domanda: «E gli uomini, allora? Che altro cercano, se non le qualità fisiche? Che prezzo dànno alla bontà, all'intelligenza, alla virtù? E allora oserete fare una colpa a noi donne se la bellezza ci seduce? Ma se noi le diamo tanta importanza, se la cerchiamo con tanto impegno, se non amiamo senza trovarla vuol dire, mi pare, che siamo ad essa sensibili; voialtri, invece, non ne fate anche a meno, tantissime volte? Non avete riconosciuto che una donna qualunque, una femmina purchessia, è dai maschi desiderata e cercata? Dite benissimo; ma la conseguenza che traete da queste premesse è storta, stravagante e tutta opposta a quella che dovrebbe essere; perchè mentre la logica dovrebbe farvi riconoscere che gli uomini amano meno bene, la presunzione vi fa dire che essi soli sanno amare!...»

      [pg!26] Io direi, contessa, di non ingolfarci in questo dibattito. Tanto, è fuori di dubbio che, dopo avere versato fiumi d'inchiostro, ciascuno s'affermerà nella propria opinione. Sarà anche inutile tirare in ballo i grandi scrittori passati e presenti; perchè, se Shakespeare ha detto che «l'impronta dell'amore nel cuore delle donne è come la figura disegnata sulla neve, che un raggio di sole cancella,» ella mi rovescerà addosso una quantità di moralisti, di pensatori, di poeti che dànno ragione a lei. Dunque, lasciamola lì. Soltanto, perchè ella non mi scambii le carte in mano — tutte le signore sono felici quando riescono a barare al giuoco — la pregherò di notare che noi parlavamo d'uomini e di donne, non già di maschi e di femmine. Nella bruta ed infima umanità, come in tutto il regno animato, l'ardenza dei bisogni mascolini è tale, che fa passar sopra ad ogni qualità nelle femmine da amare, mentre la freddezza femminile ha bisogno dello stimolo e dell'eccitazione prodotti da maschi appetibili per bellezza o per forza. Ma questi amori meccanici sono amori nell'umano senso della parola? Amori sono

Скачать книгу