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esprimente voluttà, ferocia, provocazione: uno sguardo che diceva:—ti lasci annientare così, mi ti lasci rapire!

      Poi essa si staccò dal conte, corse, con atto finto, a gettarsi al collo di Roberto: si strinse a lui sì forte che sentisse tutto il rigoglio di quelle forme, che egli, nella sua sensualità, adorava; gli si accostò alle labbra, spirandogli un alito di fuoco.

      La trista sirena lo inebriava al delitto.

      Enrica trovò modo di volgere un altro sguardo al conte di Squirace.

       Egli, già imbaldanzito, non avea bisogno di quell'eccitamento.

      Si fece innanzi per togliere Enrica dalle braccia di Roberto: e di nuovo con male parole.

      —Ah!—esclamò Roberto, che era fuori del senno e a cui Enrica avea abilmente eccitato i sensi e la mente.—Tu aggiungi ingiuria ad ingiuria: tu vuoi correre a far uno scandalo: tu vuoi rapirmi questa donna, che è mia… mia: ch'io ho posseduta e possederò: te lo dico col massimo orgoglio: tu non vuoi rispettare il mio uniforme, il mio grado: tu insisti nel chiamarmi villano: e bene abbiti il villano…. Io torno figlio di Ciccillo; poichè tu hai insultato anche mio padre, torno bifolco…. Eccomi a te….

      E, gettato da sè l'uniforme, si slanciò sul conte. Egli si difendeva e, irritato, percosse con lo scudiscio Roberto nella faccia.

      L'onta, il furore inferocirono il giovane sì gagliardo.

      Il conte l'avea ferito in un occhio.

      Si rotolarono per terra: Roberto, forte come un leone, premeva sempre sotto di sè il conte, che pur faceva sforzi grandissimi per liberarsi. Si rialzarono, si riazzuffarono: Roberto era ubriaco di rabbia: tutti e due inveleniti dall'odio; a poco a poco si accostarono al ponte: a un urto di Roberto il conte di Squirace cadeva nell'immenso precipizio, gettando un grido straziante: all'assassino! che risuonò in tutto il parco.

      Enrica era scomparsa.

      Ella avea attirato il conte in quell'insidia: si era servita di lui per eccitare Roberto: la vita di due uomini le sembrava ben poco per sbarazzarsi di un solo fra essi, per assicurare la libertà de' suoi piaceri, il fasto, la pompa del suo avvenire.

      Al grido del conte di Squirace, librato nello spazio, succedette un altro grido, proferito da Enrica, che ebbe pur la forza di urlare contro il suo antico amante, contro l'uomo cui era unita da un vincolo segreto: all'assassino, all'assassino!

      Roberto era rimasto stordito per l'accaduto: egli avrebbe voluto gravemente offendere, castigare il conte: non pensava ad ucciderlo, almeno a quel modo: avrebbe voluto indurlo a un duello leale e lì, poichè era sicuro della vittoria, sbramarsi del suo sangue, di cui, come gli era uscito dal labbro, avea sete.

      La gente incominciò ad accorrere da ogni banda. Un delitto, un delitto nel parco!—ripetevano tutti inorriditi.

      Fu trovato presso il ponte Roberto, che rimetteva indosso il suo uniforme: fu trovato in terra il cappello del conte di Squirace; un cappello verdastro, facilmente riconoscibile, e che avea, nel di dentro, le cifre del frivolo e sfortunato gentiluomo.

      Il duca era a capo della sua gente: e, accanto a lui, Emilio, la guardia del parco.

      Al vedere l'uniforme, che Roberto avea indosso, il duca ed Emilie scambiarono uno sguardo.

      —Che fate voi qui, Roberto?—disse il duca, severamente.

      Roberto si confuse.

      Avea il volto graffiato, le mani lacere in varii punti, i pantaloni tutti cosparsi di polvere, la cravatta stracciata.

      —Roberto!—esclamavano molti e molte,—lui l'assassino!

      —Voi siete entrato qui nel parco anche stanotte… per compiervi qualche azione trista… poichè, alle intimazioni di Emilio, siete fuggito come un ladro e avete lasciato questo bottone, che manca al vostro uniforme…. Perchè stanotte siete entrato nel mio parco?

      Roberto taceva. Così i sospetti, anzi le ragioni di accusa si accumulavano su lui: così si chiudea da sè in una rete, dalla quale non avrebbe potuto uscire.

      —Dov'è il conte di Squirace?—domandò il duca, guardando con orrore il vicino precipizio, il mare gorgogliante nell'imo di esso e gettando poi gli occhi sul cappello, che teneva in mano.

      Anche a questa domanda Roberto non fiatò.

      La gente gli si stringeva attorno, un po' minacciosa, un po' incredula ch'egli fosse stato capace di commettere tale delitto.

      —Vi ripeto: perchè vi trovato qui, perchè anch'oggi siete entrato nel parco di nascosto?

      Roberto ebbe un'idea: invocare la testimonianza di Enrica, sicuro che essa l'avrebbe salvato.

      Enrica si era fatta trovare presso al ponte, allorchè era giunto suo padre insieme con gli altri: come per chiarir tutti ch'ella era stata testimone dell'accaduto. Ora s'era posta accanto al duca e s'appoggiava al braccio di lui.

      —Signor duca,—disse Roberto, rompendo ogni esitanza,—c'è una persona che può esser testimone autorevole, raccontare ciò che qui avvenne, e perchè io sono entrato nel parco stanotte, e perchè mi ci trovo adesso….

      —E chi è questa persona?

      —Vostra figlia!

      —Enrica—esclamò il duca.—Tu hai veduto tutto, e puoi parlare?…

      —Non avrei voluto parlare: non so perchè s'invochi la mia testimonianza….

      —Enrica!…—interruppe Roberto con una familiarità, che urtò il duca, e spiacque a tutti gli astanti.

      —E bene: già che debbo parlare, io parlerò,—disse Enrica, che si teneva immobile e rigida, mentre due lacrime artatamente provocate le rigavan le guancie.—Roberto Jannacone ha assassinato il conte di Squirace….

      Si alzò un grido d'indignazione e di orrore.

      Roberto, accasciato da quel tradimento infame, rimase come un uomo senza volontà, senza sentimenti, senza più che un sembiante di vita. Avrebbe tutto creduto possibile, fuorchè una tale scelleratezza.

      I servi del duca lo arrestarono.

      Egli lasciò fare: non oppose resistenza di sorta. Enrica lo vide allontanarsi, e un'espressione di trionfo illuminava la sua ammaliante fisonomia.

      Un dubbio la crucciava.

      Se Roberto parlasse del loro matrimonio, durante il processo? Se ella dovesse comparire in pubblico a giustificarsi?

      Ma Roberto era generosissimo; e poi egli era annientato, sbigottito dall'atto di lei, dal sangue freddo con cui ella lo avea compiuto.

      Il suo amore, la sua passione eran rimasti troncati in un attimo: essa non gl'ispirava più nè affetto, nè odio, nè disgusto, nè desiderio di rappresaglie: gli sembrava fosse morta la giovane da lui amata e che fosse sorto un mostro dalla sua spoglia. Sulle prime, non si rese conto della condizione in cui egli era piombato. Poi, a poco a poco, si svegliò in lui la coscienza della miseria, dell'abiezione, dell'immenso cordoglio a cui l'aveano spinto.

      Gli era stato tolto il suo grado. Chi e che era egli nel mondo e pel mondo? Un assassino, un omicida, che aspettava la sua condanna—e quale condanna?—dovea esser certo di morte.

      Non v'era caso che trionfasse la sua innocenza: gli pareva ben arduo.

      E il suo vecchio padre?

      Vi pensava, smaniando. Avea saputo che s'era presentato alle carceri, ma non gli era stato concesso di vederlo.

      Roberto entrava nella convinzione che la morte del conto di Squirace sarebbe stata vendicata col supplizio di due uomini: quello a cui i giudici l'avrebbero condannato e quello, tutto morale, che suo padre avrebbe risentito e che lo avrebbe, in breve, trascinato alla tomba.

      E tale mutamento di eventi si compieva un giorno dopo che Roberto era tornato dal suo viaggio, ben fornito di

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