Скачать книгу

      L'avvocato di Roberto si alzava e faceva la medesima domanda.

      Enrica si sentì perder d'animo: que' momenti erano per lei troppo crudeli.

      Le sembrava che l'espiazione fosse infinitamente più acerba del delitto, anzi de' delitti, ch'ella aveva commesso per il suo egoismo.

      Sentiva che in quel tribunale essa era, in tal momento, la sola delinquente: e che, se fosse stato saputo tutto il vero, i giudici non l'avrebbero lasciata uscire.

      Enrica, quasi tramortita, teneva gli occhi fissi sul presidente.

      Già, a un cortese cenno di lui, ella si era alzato il velo.

      —La domanda è importante,—insisteva l'avvocato di Roberto.—Ci preme sapere qual era la posizione de' due uomini: chi era fra loro che attaccava con energia: chi offendeva, e chi soltanto si difendeva.

      Ma già si alzava il vecchio avvocato della parte civile, irruentissimo.

      Era inutile per lui domandare chi attaccasse con maggior energia….—Tutti abbiamo conosciuto il conte di Squirace: poteva esser coraggioso, ma era debolissimo: guardiamo l'accusato….

      Nacque un battibecco fra' due avvocati.

      —Si vuol gettare lo scompiglio nella causa—dicea il vecchio avvocato della parte civile,—intimidendo il più importante e autorevole testimone che abbiamo. Si vogliono gettare insinuazioni, dubbii sulla parola di una gentildonna, e di una giovane gentildonna piissima, che ha prestato innanzi ai magistrati il suo giuramento….

      —Perdono, avvocato….—interruppe il collega.

      —Mi lasci parlare…. Si domandano i particolari di un assassinio a una giovinetta, accorsa al rumore di una zuffa, impaurita, commossa, e che ha veduto, come è naturale, nel suo sbigottimento, un solo fatto, che è innegabile per tutti: quello di un uomo gettato nel mare…. dall'alto di un precipizio!

      L'avvocato di Roberto non era molto avveduto, e dovea portargli egli stesso, non volendo, il colpo forse più funesto.

      —Si parla di chi provocò: di chi attaccò con maggior energia,—disse il precipitoso avvocato,—ma non si è tenuto conto abbastanza di un ragguaglio in questo processo…. Il giovane, che si trova dinanzi a voi come accusato, era stato gravemente percosso nella faccia dal signor di Squirace con uno scudiscio…. Lo scudiscio fu ritrovato presso il ponte: e tutti attestarono aver appartenuto al compianto signore…. L'accusato, che io credo innocente, aveva, nel momento in cui fu arrestato, una ferita nell'occhio destro…. Vedete che il conte provocava, attaccava con energia….

      —E allora,—ripigliò l'altro avvocato,—se ammette tanta provocazione, tanta energia nel conte, in che modo il mio avversario può persistere a credere l'assoluta innocenza del suo cliente! Sì, concediamo la più dura provocazione, per parte del conte; è chiaro che l'accusato, volendo reagire, ha assassinato il gentiluomo nel modo che tutti sanno…. È inutile, dunque, cercar di torturare l'unica testimone che abbiamo, di confonderla, di atterrirla per gettar l'equivoco in un processo che, per noi, è sì limpido…. Questa insistenza dimostra che si vuol davvero scusare, cuoprire un delitto….

      L'avvocato di Roberto fece un gesto, come se fosse offeso dalle parole del suo avversario, che continuava con voce tonante:

      —E sottrarre un reo alla sua legittima pena! L'altro avvocato ribattè.

      Il presidente li lasciava fare: il tempo che costoro impiegavano a bisticciarsi, dava a lui agio di riflettere come uscire dalle sue perplessità e por termine all'interrogatorio della duchessa.

      Enrica, che avea ascoltato avidamente ciò ch'avea detto il vecchio avvocato della parte civile, si accorse che egli le porgeva modo di finire il suo interrogatorio, con una dichiarazione, corroborante le prove della reità di Roberto, e atta a toglier lei d'imbarazzo.

      Ella, dunque, a nuove domande del presidente, rispose che, dopo aver udito parlare dello scudiscio, che il conte di Squirace teneva in mano nel giorno in cui fu ucciso, rammentava una circostanza, dimenticata sin allora nella sua profonda agitazione.

      Aveva veduto,—soggiunse,—a una certa distanza, il conte di Squirace che alzava lo scudiscio sulla persona che aveva di fronte (non nominò Roberto) e la percoteva.

      L'avvocato della parte civile, il presidente sospirarono.

      Uno dei giudici era indifferentissimo a tutto: pensava sempre alle sue ristrettezze domestiche: alla moglie troppo spendereccia e ambiziosa, a' figliuoli che logoravano troppo i vestiti, e il cui appetito non era proporzionato al suo gramo stipendio.

      Egli condannava, condannava sempre: gli pareva che l'ergastolo fosse una prigione assai più dolce di quella in cui egli viveva, fra i garriti, le esigenze domestiche, le privazioni e nell'ufficio le tirannie dei superiori.

      Avrebbe assoluto Roberto, se avesse avuto la certezza di far dispetto al presidente, che, secondo lui, col dar cattive informazioni sul suo conto, gli aveva impedito d'esser promosso.

      Il più giovane e il più dotto magistrato, di cui già abbiamo discorso al lettore, il conte Guicciardi, non era ancor convinto della reità di Roberto: vedeva sempre in questo processo molti e molti punti dubbiosi.

      La prudenza, o, diremo meglio, la pusillanimità, gli impediva di studiarsi a chiarirli con una certa franchezza, durante il giudizio.

      Prima di licenziare Enrica, il presidente chiese a Roberto se nulla avesse a domandare alla testimone.

      Enrica aveva il batticuore.

      —Nulla!—rispose Roberto con un tuono di voce, che Enrica non doveva più dimenticare, e che forse doveva riudire in un momento per lei terribile.

      Enrica fu licenziata.

      Non avea mai rivolto lo sguardo a Roberto: nè si volse punto a lui, nell'istante in cui essa usciva dalla sala, singhiozzando altamente col fazzoletto in sugli occhi, attrice perfetta, come tutte le donne viziose, cui l'inganno è potenza, ragione di vita.

      Non ebbe un pensiero della magnanimità del giovane: non uno slancio d'ammirazione pel suo contegno nobilissimo: al contrario: ella titubava sempre ch'egli aggiungesse qualche parola compromettente: aspettava ansiosa la condanna.

      Fin che questa non fosse venuta, ella temeva nuovi richiami, temeva nascessero viluppi insidiosi per lei. Non si curava d'altro. La falsa accusa, la calunnia contro Roberto?

      Per lei non era nè calunnia, nè falsa accusa.

      Che il conte di Squirace fosse caduto nel precipizio, per un movimento da lui fatto nella mischia, poco significava: Roberto l'avea sospinto a quel movimento; dunque Roberto era l'assassino del conte di Squirace. E poi egli non avea minacciato di morte anche lei?

      Se il conte non fosse sopraggiunto, o ella avrebbe dovuto fuggir con Roberto, o sarebbe stata inabissata, com'egli le avea proposto, fra i gorghi del mare, ov'era stato gettato il conte.

      Ella doveva la vita, l'onore alla cautela (la chiamava così) spiegata nell'invitar il conte a trarre in suo aiuto.

      Di tal guisa, acquietava la triste sua coscienza; poichè anche i perversi hanno una coscienza, foggiata a lor modo.

      E non le bastavano tutte le scuse, che già abbiamo addotte; un'altra ne allegava a sè stessa.

      Roberto avea indegnamente abusato di lei: avea mancato al suo dovere di soggezione verso il duca: a forza l'avea voluta a sè, probabilmente, anzi sicuramente, ella arrivava a persuadersi, con lo scopo di rendersi padrone delle sue ricchezze: diventar l'erede del duca. Ardito e scellerato pensiero!

      Quindi, si diceva, egli avea commesso, non uno ma più delitti, e il suo contegno assegnava non a nobiltà d'animo, ma a un tardo rimorso.

      Costui dovea aver compreso che il sacrificio della vita era poco alla espiazione che gli spettava.

      Nell'animo di Enrica, Roberto era ormai un gran delinquente, ed essa avea reso a tutti un segnalato servizio, sbarazzandoli

Скачать книгу