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Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie. G. Beltrame
Читать онлайн.Название Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie
Год выпуска 0
isbn 4064066068899
Автор произведения G. Beltrame
Жанр Книги о Путешествиях
Издательство Bookwire
Le esecuzioni, di cui noi fummo parecchie volte testimoni in Europa, offrono uno spettacolo ben differente; la maggior parte dei colpevoli che prima d'essere caduti nella mano inesorabile della giustizia facevano i rodomonti, vinti poi dal terrore furono veduti strascicarsi sul palco più cadaveri che persone vive.
Noi abbiamo veduto l'Arabo fiero e dotato della più squisita suscettibilità; ma invincibile è pure la sua ostinazione; non c'è caso di smuoverlo quando egli si sia fissato con la mente in un'idea, in un capriccio qualunque; le preghiere tornano vane, inutili le minacce, il bastone e la sferza; la morte stessa non l'indurrebbe a mutar consiglio; meglio è allora abbandonarlo a sè stesso finchè da sè stesso rinsavisca.
Un mercante europeo viaggiava in un deserto del Sudàn, e guida della sua carovana era un Arabo, a cui solo era nota la via che si dovea percorrere per giungere a un dato luogo. Dopo due o tre giorni di cammino, l'Arabo non avendo di che cibarsi chiese al cuciniere, che preparava la cena pel mercante, qualche cosa da mangiare. Il cuciniere gli rispose con mal garbo d'aver pazienza un poco. L'Arabo aspettò un quarto d'ora, e poi rinnovò la domanda. Il cuciniere indispettito gli diè sulla voce, e intanto capitò là il mercante che fece all'Arabo un acerbo rimprovero, perchè voleva essere servito prima di lui ch'era il padrone. L'Arabo, che credeva di non meritare tali parole di censura e di biasimo, insistette nella sua domanda, che questa volta espresse con un «voglio mi si dia da mangiare.» Allora il mercante: ebbene, disse, poichè sei così prepotente da volere quel che vuoi tu, e non quello che voglio io, sappi che ti tratterò da qui innanzi come un asino indocile.... e stasera non cenerai per dio! — Così fu — l'Arabo tacque, abbassò il capo e si ritirò in disparte.
All'indomani il mercante si levò di buon'ora, e com'era solito di fare, uscito dalla tenda, risvegliò la sua gente ed ordinò il carico de' cammelli; quindi rientrò a bervi il caffè aspettando che tutto fosse in punto per rimettersi in via. Ma poco dopo un servo veniva ad avvertirlo che la guida si ricusava di sellare la sua cammella e di continuare il cammino. Egli stimò bene di tacere, sperando che l'Arabo non l'avrebbe durata a lungo nel suo proposito; fece un giro intorno all'accampamento; passò vicino alla guida fingendo di non essersi accorto di nulla. Venuto il momento della partenza, l'Arabo colla sua lancia in mano era sempre là immobilmente assiso sopra la sabbia come uno che non dovesse far parte di quella carovana. Ma.... come? — disse il mercante — tu non se' pronto ancora? — No, rispose, poichè non posso partire; tu non ignori che ieri io non assaggiai briciola; il mio ventre è vuoto ed ha bisogno di riposo. E poi tu mi dicesti, n'è vero? ch'io sono un asino; e tu pure devi sapere che non è possibile che un asino possa guidare degli uomini. — Alzati, te lo impongo, gridò allora con voce animata il mercante. — L'Arabo non si mosse di così com'era. — Ed egli lo percosse con un colpo di sferza. — E l'Arabo sempre fermo al suo posto come una statua. — Il mercante cavò quindi dalla sua cintura una pistola, e drizzatane la bocca alla fronte della guida: tu partirai, le disse, o ti farò saltare in aria la dura tua cervice.
Un Italiano, un Francese, un Inglese, un Turco avrebbero ubbidito, o si sarebbero difesi. Ma l'Arabo? l'Arabo armato della sua lancia nè volle ubbidire nè difendersi, e levatosi ben tosto da sedere, gittò via la lancia e cominciò a danzare davanti al mercante dicendo: ammazzami adunque, ammazzami presto: sono io forse un turco da temere la morte?
Il mercante ch'era ben lungi dal credere che la cosa la sarebbe andata a finire così, si trovò in un bell'imbarazzo. Aspettare che di là passasse qualche carovana e unirsi ad essa.... avventurarsi senza guida in un deserto ove non esisteva traccia alcuna di via.... era un esporsi a morir di sete con tutta la sua gente. Egli s'appigliò finalmente al partito, ch'io credo sia stato il migliore, di seguire cioè le tracce già stampate da' cammelli nella sabbia, e rifare così la strada, la quale l'avrebbe condotto ad un pozzo, che aveva abbandonato da circa due giorni; sperava frattanto d'incontrarsi in alcuni Arabi e di provvedersi d'un'altra guida. Montò in sella, e senza lasciare trasparir nulla di ciò che lo inquietava moltissimo comandò alla sua gente di ritornare verso il pozzo, mentre egli contava i passi del suo cammello, risoluto di retrocedere e di uccidere la guida, se prima d'averne contati cento non l'avesse veduta marciare alla testa della carovana.
Ma non appena questa si mosse, ecco l'Arabo che si rizzò lestamente, si diresse verso la sua cammella, la sellò in un batter d'occhio, le si slanciò sopra, e raggiunta la carovana la rimise sul sentiero che dovea condurla là dove il mercante era diretto. Or questi in tutto quel giorno non fece parola alla guida come non l'avesse veduta, e come niente fosse accaduto. Venuta la sera, e posto l'accampamento, l'Arabo si prostrò ai piedi del mercante piangendo come un bambino; ma il mercante due volte lo respinse; e due volte l'Arabo, pentito, gli s'inginocchiò davanti dicendo: ah! perdonami, o Signore; non è il gastigo da me giustamente meritato ch'io temo; conosco il male che feci e l'angustia che ti recai colla mia condotta, e son pronto a scontarne la pena; ma ti supplico, per ciò che hai di più caro al mondo, a non conservar rancore contro di me, a volere dimenticar tutto; e ti giuro che non avrai più di che lagnarti del mio servizio. — Il mercante ordinò al cuciniere gli si portasse da mangiare; l'assicurò del suo perdono, ed imparò ancora una volta come gli Arabi debbano essere trattati.
Vogliamo notare però che, quando l'Arabo non sia giunto a un certo grado di ostinazione, se v'ha mezzo d'indurlo a far qualche cosa è quello delle minacce e della forza, non mai quello delle promesse e della preghiera.
Il suicidio è rarissimo fra gli Arabi, e non v'ha, si può dire, caso in cui lo si approvi o lo si scusi; tutti, senza eccezione, lo condannano e gli si dichiarano contro più o meno severamente secondo i motivi dai quali esso è determinato. E faccio qui osservare che gli Arabi, quelli almeno coi quali io parlai, non vogliono nè manco supporre che l'attentato contro la propria esistenza possa avvenire con volontà pienamente libera, e quindi con perfetta coscienza dell'atto che viene commesso. L'istinto naturale della propria conservazione è così sentito, che non permette loro di fare una tale supposizione.
L'uomo, dice il Beduino, deve colla sua savia condotta saper evitare la passione, il dolore, il rimorso, l'infortunio che lo inducono a tanta viltà; o se pure è colto da qualche sciagura improvvisamente, deve trovarsi apparecchiato ad affrontarla e a vincerla. L'Arabo insomma non la intende di scusare in nessun modo il suicida da lui sempre considerato qual vile insofferente del dolore; e però sommamente spregievole.
E chi crederebbe esservi fra noi, che pur non siamo beduini, chi loda ed esalta il suicidio? — Si volesse almeno riflettere che mentre fra gli Arabi il sentimento di alta riprovazione dei suicidi ne diminuisce grandemente il numero, presso noi invece la lode e la scusa tanto spaventosamente l'accrescono.
La riva destra del fiume, da Chartùm al 12º grado, non presenta al viaggiatore quell'interesse che gli desta nell'animo la riva sinistra.
Passato il confine della dominazione egiziana, e dopo le secolari foreste vergini e impenetrabili che a sinistra la dividono dalla potente e brutale razza dei Negri Scìluk, s'ergono a destra del Bàhr-el-Àbiad le montagne dei Dénka. — Ed ora mi tornano alla mente con affettuoso e profondo sospiro i bei momenti quando io e la buon'anima del missionario Angelo Melotto, mio collega, nel 17 marzo del 1859, salimmo la cima di una delle più alte di quelle montagne, per adocchiare in un istante tutta la parte da noi con tanta fatica esplorata nella penisola del Sènnaar ove abitano alcune tribù dénka, fra le quali speravasi di fondare la Missione Italiana. — Le montagne dei Dénka, poste tra il 12º e il 13º grado di latitudine, diconsi Niemàti dalla tribù più vicina degli Abialàñġ; e sulla carta del Werne trovansi del pari fra questi due gradi e son chiamate da lui G. Njemàti; le vedo pure segnate sulla confusa carta di Brun-Rollet sotto il nome di Dj. Hemàja, e su quella del Zimmerman di Jeb.-jemàti. Dagli Arabi poi sono dette Giobàl-ed-Dénka, perchè un tempo i Dénka della penisola s'estendevano a nord fino a quelle montagne; ma, fatti scopo alle continue incursioni degli Arabi Abù-Ròf, si ritirarono poi alquante miglia geografiche verso sud. Tuttavia gli Abù-Ròf fanno a cavallo frequenti scorrerie tra i Dénka per derubare il dùrah, di cui abbondano, e, potendo, anche i loro figliuoli[3].
Questi Negri, abitanti tra il 12º e il 9º