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gli Arabi.

      I Baggàra-Selèm si servono dei bovi per trasportar carichi; posseggono poche capre e pochissimi cavalli che si procacciano dagli Arabi nomadi attendati tra i fiumi Dènder e Azzurro, intraprendendo così viaggi assai lunghi e pericolosi. In queste spedizioni essi si uniscono in numero di trenta o quaranta; traversano il fiume Bianco col mezzo di una zattera, o a nuoto, un po' al sud delle montagne dei Dénka (giobàl-ed-Dénka), presso il 12º lat. N., e per una via affatto deserta, dopo tre giorni di cammino verso oriente, arrivano al monte Gùle, ove si riposano presso Arabi della stessa loro tribù; quindi dopo tre giorni ancora passano in barca, o a nuoto, il fiume Azzurro nelle vicinanze di Rosères, e circa al mezzodì del quarto giorno si trovano nel luogo destinato per la compera dei cavalli, il cui prezzo oscilla dalle sessanta alle centoquaranta piastre egiziane (dalle 15 alle 35 lire italiane).

      Questi Arabi nutrono i loro cavalli d'erbe, di latte, e talvolta di burro o di dùrah (mais bianco), e se ne valgono per dar la caccia agli animali e ai Negri, occupazioni predilette ai Baggàra Selèm, i quali sono tanto codardi a piedi quanto sono arditi e temerari a cavallo.

      Durante la stagione secca, essi abitano tutti presso il fiume, e i loro casotti si estendono da machàdat-Abù-Zèt verso il sud per circa sessanta miglia geografiche; ma cominciato il charìf (l'epoca delle piogge), pochi solamente rimangono sulle rive a custodia dei campi di dùrah e di sesàme; la maggior parte se ne allontana e va errando da un luogo all'altro in cerca di buoni pascoli pei loro bestiami, stando però sempre in guardia per non essere sorpresi ed assaliti dagli Hauàsma, i quali muniti di una grossa veste di cotone fatta a maglia, che a guisa di corazza li difende dal collo fino alle anche, incuton loro gravi timori. Perciò i Baggàra-Selèm ricercano con premura aste guarnite di lunghi pezzi di ferro rotondi e puntuti, atti a penetrare le maglie degli Hauàsma.

      Gli arabi Selèm nell'estate sono intesi alla caccia e alla preda. Essi spiano continuamente i Negri dénka che pascono i bestiami sull'altra riva del fiume; e quando possono congetturare che nessuno trovasi alla loro custodia, o non veggono che teneri giovinetti, allora quattro o cinque dei più arditi passano nuotando col cavallo il fiume, e due o tre s'avventano spietatamente addosso ai giovinetti e, afferratili pel collo, se li caricano sul cavallo e via; gli altri inseguono il bestiame che fugge impaurito verso il fiume, ove, non sapendo trovare altro modo allo scampo, si precipita e cerca di toccar l'altra riva.

      Avviene però talvolta che i Dénka, fatti accorti del loro arrivo, s'imboscano per investire i Baggàra all'improvviso, e riescono a farli prigionieri. Allora questi vengono al più presto riscattati dai loro parenti.

      Il riscatto di un Arabo prigioniero, sia ricco o povero, costa ai parenti trenta buoi; mentre i Dénka debbono darne dai quaranta ai cinquanta per liberare un figlio o una figlia di un Capo, e per qualunque altro Negro dai dieci ai venti, secondo la sua condizione. I poveri che non posseggono bestiame non vengono riscattati, e rimangono proprietà degli Arabi.

      Ciò non ostante, i Baggàra-Selèm e i Negri dénka fanno tra loro mercato, o, come lo chiamano gli Arabi, El-Sùk; e sì gli uni che gli altri si servono delle feluche dei Scìluk per tragittare il fiume e per trasportare le loro merci.

      Presso i Selèm è adottata la circoncisione, la quale viene praticata sui figliuoli e sulle figliuole; ma essa è tenuta come opera meritoria, non come obbligazione assoluta.

      Uomini e donne hanno i capelli intrecciati; queste però pongono uno studio maggiore nell'acconciarseli; e pezzetti d'ambra e di corallo, perline di vetro e cordoncini rossi si veggono qua e là pendenti dare miglior risalto al nero dei loro capelli, i quali pel vecchio strato di grasso che li ricopre perdono, osservati da vicino, la grazia ed eleganza che mostrano veduti di lontano.

      Le donne, e specialmente le ragazze, fanno a gara di spalmarsi il corpo con unguenti odorosi, e tengono in molto pregio gli anelli d'oro che si pongono per ornamento alle pinne del naso.

      Le donne, in generale, sono piccine, ma belle assai; esse amano oltremodo la danza, che viene regolata da battute di mano e dal suono di un tamburone.

      Questi Arabi sono gelosissimi di tutto ciò che succede nell'interno delle loro famiglie, delle quali essi non parlano mai. Per la qual cosa è ignota del tutto al viaggiatore l'intima loro vita.

      Il latrocinio è il loro mestiere principale; essi fanno scorrerie nelle terre vicine dei Negri, raccolti in bande, a cavallo, armati, rubando quanto possono portare o trascinare, e ammazzando, per precauzione, quanti incontrano. Ci sono ladri speciali di biade, ladri di bestie bovine, ladri di fanciulli negri, ladri di mercato. Assaltano a cavallo per le strade, particolarmente le carovane; e in ciò sono artisti insuperabili. La loro bravura consiste più nella rapidità che nell'accortezza, più nel non lasciarsi raggiungere che nel non lasciarsi vedere. Passano, afferrano e dispaiono senza dar tempo alla gente di riconoscerli. Sono furti a volo, fulminei, giochi di prestidigitazione equestre. E in ciò sono maestri persino i giovinetti di otto anni. Bisogna dire adunque che l'istruzione, che questi ricevono in argomento nelle loro famiglie, sia incessante, premurosa, e che incominci assai per tempo. — Povere creature!!

      Pare che i Selèm sieno venuti dal sud-ovest del Dar-Fùr da circa sessant'anni. La maggior parte di essi s'estese lungo la riva sinistra del fiume Bianco, e gli altri errarono per qualche tempo nella penisola del Sènnaar, e s'accamparono finalmente presso il monte Gùle.

      La fisionomia dei Selèm, come quella di tutti gli Arabi, è di una mobilità sorprendente; «essi manifestano i loro pensieri coi più rapidi movimenti degli occhi e della bocca, e traducono le loro parole in gesti così caratteristici, per dar aiuto, chiarezza e forza ai loro discorsi, che difficilmente se ne riscontra un simile esempio presso altre nazioni.»

      Di questi loro gesti esprimenti un'azione qualunque, anche senza il concorso della parola, si potrebbe comporre un dizionario abbastanza lungo; ma io qui m'accontento di esporre un brevissimo saggio, che basti a dare un'idea generale del linguaggio mimico da essi praticato.

      Dirò adunque che presso gli Arabi del Sudàn:

      1. L'azione del mangiare si esprime accostando al ventre la mano diritta aperta e avvicinandola poi subito alla bocca, raccogliendo le dita della mano stessa intorno al pollice nell'atto che si compie quest'ultimo movimento.

      2. L'azione del bere, chiudendo le tre dita indice, medio e anulare della mano destra, e tenendo quindi levati il mignolo e il pollice, coll'unghia del quale si toccano e si ritoccano gl'incisivi della mascella inferiore.

      3. L'azione del dormire, portando la palma ben distesa della mano diritta contro l'orecchio destro, e piegando un po' la testa da quella parte.

      4. L'azione di montare a cavallo, mettendo la mano destra a cavalcioni sulla mano sinistra.

      5. L'azione di mozzare il capo, strisciando rapidamente il dosso della mano diritta su pel collo dal di dietro in avanti.

      6. L'azione dello sferzare, scotendo dinanzi a sè la mano destra bene aperta.

      7. L'azione del colpire con lancia o spada, imitando i movimenti che si fanno impugnando queste armi nell'atto che si cerca d'offendere il nemico.

      8. L'azione del pagare in piastre d'argento, stropicciando coll'indice il pollice della mano diritta, percotendo nello stesso tempo leggermente coll'unghia di questo la palma della mano sinistra.

      9. L'atto di vedere e quello di udire, mettendo l'indice dell'una o dell'altra mano immediatamente sotto dell'occhio, o verso il meato uditorio.

      10. L'azione di prendere qualche cosa, allontanando un poco la mano destra aperta e chiudendola nel mentre la si riavvicina al proprio corpo.

      11. L'atto di comprendere, portando l'indice sulla fronte o sulla tempia.

      12. L'atto di consentire, toccando con la mano diritta la fronte, e inchinando nello stesso tempo un po' il capo.

      13. L'atto di rifiutare, scotendo la testa e la mano destra lestamente.

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