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nella sua Narrazione, tornò alla prima versione del fatto e con molta larghezza scrisse, che il Sances «con altri di sua fattura» (e questi non potrebbero essere stati che il Nunzio e il De Vera), udendo le ragioni da lui addotte in sua discolpa, «levaro al Campanella la commodità di scrivere, e d'esaminare, e difensarsi, e li libri e il commertio con avvocati, e lo posero dentro al torrione inferrato dicendoli, che dovea morir per ragion di stato e che s'apparecchiasse i sacramenti, non a difensarsi, e li mandaro Gesuini, e frati a conortarlo a morire, e volendo presentar il Campanella li libri da lui fatti sopra la mutatione del mondo e la monarchia di Christo, d'una greggia sotto un pastore, presto apparitura in tutto il mondo, data da lui al Cardinal Sangiorgi dui anni avanti perchè si vedesse che non era invention contra la chiesa, nè contra il Re fatta novamente (sic). E di più volea presentar un volume scritto della Monarchia di Spagna molto utile alla corona, e la tragedia della Regina di Scotia fatta da lui per Spagna contro Inghilterra, e li discorsi alli Principi d'Italia, che per ben comune non devono contradir a detta monarchia, e questi libri fece venir dalla padria subito. Ma il Sances non volse che si presentassero, nè si sapessero, e però lo ristrinse nel torrione con le fenestre serrate, e mise timore a chiunque parlava d'aiutarlo, e li fè tanti stratii al povero Campanella che lo fè impazzire, brugiò il letto, e lo trovaro la mattina mezzo morto, e pazziò cinquanta dì». – Parecchie riserve debbono farsi intorno alle circostanze qui esposte. Vedremo che la sua pazzia durò anche oltre 14 mesi, e scorso questo tempo fu provata col più atroce de' tormenti; saremmo perfino tentati di credere che vi sia stata in tal punto una lezione sbagliata. Vedremo dippiù che i libri i quali volea presentare non vennero dalla patria subito, e nella Difesa scritta da lui medesimo, compiuta dopo la manifestazione della pazzia e venuta in luce 14 mesi più tardi, egli chiedeva a' Giudici che gli si dessero i libri, menzionando i Discorsi politici inviati all'Imperatore, il Dialogo contro gli eretici esistente presso Mario del Tufo, la Monarchia dei Cristiani data al S. Giorgio, la Tragedia e il libro Del Reggimento della Chiesa che diceva trovarsi in Stilo tra le sue piccole masserizie, ed aggiungendovi di seconda mano la Monarchia di Spagna, che diceva trovarsi pure in Stilo tra le sue piccole masserizie, «in meis sarcinulis». Ognuno poi avrà già notato che i tormenti gli erano stati dati il 7 e 8 febbraio, mentre la pazzia cominciò a' primi di aprile, e circa il non essergli state date le comodità di difendersi, bisogna tener presente che nella prima delle sue Lettere del 1606 a Paolo V egli scrisse esplicitamente, «quando mi citaro mi protestai che voleva io difensarmi di propria bocca almen che (sic) non mi lasciaro articolare, e 'l Nuntio passato non mi fè chiamare, che penso non ci l'han detto nè potea» (accennando all'Aldobrandini, che mostrò di scusare poichè scriveva a un Papa): e certamente il Nunzio, che benissimo lo potea, non è scusabile di non averlo fatto chiamare, ma bisogna riconoscere che erano state date le comodità per la difesa, e, come vedremo tra poco, egli non giunse in tempo a presentare la Difesa scritta, e venne poi, il 2 aprile, a manifestarsi pazzo; sicchè riesce del tutto credibile essere sorta la pazzia quando dovè persuadersi che pel momento non dovea più pensare alla difesa, e per giunta mostravasi imminente il processo di eresia tanto più spaventevole per lui. Infine anche la circostanza dell'essere stato trattato con rigore maggiore del solito mentre dovea fare le difese, merita di essere accolta con riserva; poichè, all'opposto, nel detto tempo si soleva trattare gl'inquisiti con larghezza, e vedremo tra poco da una deposizione del carceriere Alonso Martinez confermata la cosa in persona sua. Tutte le altre circostanze poi debbono essere riconosciute esatte, giacchè concordano con quanto emerse in sèguito nel processo dell'eresia, onde siamo in grado di dare la data precisa dell'incidente e tutti i suoi particolari.

      Non può dubitarsi che fornirono l'occasione o il pretesto per la pazzia le esorbitanze di confessori, che specialmente a motivo della Pasqua frequentavano allora più del solito il Castello. Vi erano assidui il P.e Pepe gesuita, il P.e Muzio, un P.e Pietro Gonzales Domenicano, e quest'ultimo specialmente confessava i frati carcerati, come trovasi attestato nelle loro deposizioni. Notiamo che fra Pietro di Stilo ebbe a dire del Gonzales: «soleva venire spesse volte quà, è ci faceva delle belle esortationi, et andava anco dal Campanella spesse volte per quanto mi è stato detto, è li faceva delle brutte riprensioni». Più esplicitamente il Vescovo di Termoli scrisse a Roma: «dubito che la pazzia sia nata che andando il Padre Maestro Pietro Gonzales à confessar et communicar alcuni di questi carcerati prima che io venisse à Napoli, andava dal Campanella et l'essortava ad haver cura dell'anima perchè il corpo era spedito». Ben si vede che il Gonzales non godeva pienamente le simpatie del Vescovo di Termoli, e possiamo aggiungere che tanto meno godeva quelle del Nunzio, nel cui Carteggio si trovano più lettere contro di esso, dalle quali apparisce molto amico di fra Serafino di Nocera tanto affezionato al Campanella107: inoltre egli conosceva assai da vicino qualcuno de' frati carcerati, p. es. il Petrolo, che era stato con lui in Milano; e per tutti questi motivi rimane dubbio se egli avesse agito a quel modo per leggerezza ed imprudenza, o invece per malizia, vale a dire d'accordo col Campanella medesimo, a fine di rendere spiegabile l'inatteso manifestarsi della pazzia. Ecco ora in che maniera il Campanella si mostrò pazzo, secondo che depose il carceriere Alonso Martines quando ne fu interrogato. «La matina di pasqua del spirito santo prossime passato havendo io la sera precedente lassato una lucerna accesa dentro la priggione di detto frà Thomaso quale poteva durare circa un'hora, è mezza à far lume acciò egli vedesse à mangiare, la matina secondo il mio solito, visitando tutti li carcerati, ritrovai che frà Thomaso havea brusciato la lettèra, le asse, le tavole, un saccone di paglia, et una coperta, et la priggione era tutta piena di fumo, et frà Thomaso era gettato in terra, et io credevo che fusse morto, mà poi io udj che si lamentava, et io lo levai da terra, et lo messi in un'altro loco, et rivenne quanto alle forze del corpo, et ritornato da esso per condurlo alla messa che alhora havea licenza di condurlo, detto frà Thomaso mi venne à dosso è poco ci mancò che non mi levasse il naso dalla faccia, è, da questa hora in quà hà parlato spropositatamente, et anco con altri»108. Da diversi fonti all'uopo ricercati abbiamo potuto trarre che la Pasqua nel 1600 si celebrò il 2 aprile: fu questa dunque la data precisa in cui si manifestò la pazzia del Campanella, ed essa spiega pienamente così l'opportunità e convenienza della pazzia dal lato suo, come l'urgenza estrema della spedizione della causa dal lato del Sances. Reca poi senza dubbio una grande meraviglia il fatto, che il Nunzio non abbia partecipata a Roma tale novità; nel suo Carteggio non se ne trova menzione per lungo tempo, e il primo a parteciparla a Roma apparisce nel processo di eresia il Vescovo di Termoli, in data del 25 maggio109.

      Non appena ebbe notizia dell'incidente, il Sances ordinò che si spiassero gli andamenti del Campanella, per conoscere se la pazzia fosse vera o simulata; e fin dal 4 aprile alcuni scrivani andarono nelle ore della notte ad appiattarsi presso il carcere del Campanella per raccogliere ciò che avrebbero udito. Ebbe così due relazioni, che esponevano due colloquii notturni tra il Campanella e fra Pietro Ponzio rinchiusi in due carceri vicine, in data l'una del 10 e l'altra del 14 aprile: queste relazioni furono più tardi trasmesse in copia a' Giudici dell'eresia, i quali le inserirono nel loro processo, e in tal guisa ci è venuto tra mano non solo un documento importantissimo per intendere le cose del Campanella e la condotta del Governo Vicereale verso di lui, ma anche il racconto di uno de' più drammatici episodii del tempo de' processi110. Una delle relazioni scritta da Marcello de Andreanis, scrivano fiscale ordinario della Banca di Marcello Barrese, dice che essendosi insieme con Francesco Tartaglia, scrivano straordinario della medesima Banca, recato per ordine del Sances nelle carceri del Castello, e propriamente in un corridoio vicino alle carceri del Campanella e di fra Pietro Ponzio, accostatisi pian piano nel detto corridoio, il 10 aprile, a tre ore di notte, udirono il seguente dialogo. Il Campanella dimandava: che n'è di mio fratello e di mio padre? E fra Pietro rispondeva: stanno nelle carceri del civile con Giuseppe Grillo e Francesco Antonio di Oliviero. Ancora il Campanella: e di tuo fratello che n'è? E fra Pietro: Ferrante sta con quella marmaglia delle carceri del civile. Continuava il Campanella: oh che pietà, che ne sa quel poveretto Francesco Antonio di Oliviero! E fra Pietro: tu vedi! Ripigliava fra Pietro in latino: hai scritto abbastanza oggi? E il Campanella: assaissimo, tutto. Ancora fra Pietro: il Martines è rimasto fuori del Castello ed Onofrio (l'altro carceriere) è stato chiamato dal Capitano; noi possiamo parlare? E il Campanella, in latino: tu non conosci la razza degli spagnuoli; e fra Pietro, in latino:

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<p>107</p>

Ved. il Carteggio del Nunzio filz. 231, Lett. del 13 aprile, 25 maggio e 15 giugno.

<p>108</p>

Ved. Doc. 392, pag. 416.

<p>109</p>

Ved. la nostra Copia ms. de' processi eccles. tom. 1.o fol. 362-1/2. Dal brano della lettera del Vescovo risulterebbe che il Nunzio avesse fatto molti giorni prima osservare il Campanella, e gli fosse stato riferito che in segreto egli parlava assennatamente: ma fu questa senza dubbio una piccola vanteria del Nunzio, mentre l'osservazione del Campanella venne ordinata dal Sances, il quale dovè poi discorrerne al Nunzio; difatti le relazioni avute dal Sances si raccolsero in sèguito nel processo di eresia, non le relazioni avute dal Nunzio, il quale si curava ben poco del Campanella e de' frati.

<p>110</p>

Ved. Doc. 350, pag. 327.