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ed egli come tutti gli altri, ad eccezione del Campanella, non confessò, sicchè il metodo vantato dal Nunzio non riuscì. Possiamo affermare che non vi furono altre torture di frati, e però in conclusione l'ebbero solamente il Campanella e fra Dionisio mercè il polledro, il Pizzoni, il Petrolo e il Bitonto mercè la corda forse in tutti aggravata da' funicelli per due ore: questo risulta dal cenno fattone in coda a' rispettivi Riassunti degl'indizii che si conservano in Firenze; e dietro la scorta del medesimo fonte dobbiamo dire che per fra Paolo della Grotteria si procedè al solo interrogatorio, mentre pel Lauriana, per fra Pietro di Stilo e fra Pietro Ponzio non vi furono nemmeno altri interrogatorii, e si ritennero sufficienti quelli fatti da fra Marco e fra Cornelio e dal Vescovo di Gerace. – Immediatamente dopo il Bitonto ebbe la tortura anche Giulio Contestabile, per quasi due ore cum funiculis come dice il Riassunto degl'indizii compilato contro di lui, ed egli nemmeno confessò: naturalmente così a lui come a tutti gli altri, mano mano che si esaurivano gli Atti offensivi, era decretata la consegna della copia del processo, l'assegno del termine per le difese, la deputazione dell'Avvocato ufficioso qualora non avessero un Avvocato particolare; e vedremo tra poco che il Contestabile si provvide di un Avvocato particolare.

      Tutto ciò fu compìto nella 2.a metà di febbraio e 1.a metà di marzo, con molta sollecitudine, poichè intendevasi finir presto ogni cosa, per liberare i parecchi prigioni poco o punto indiziati e quindi passare alla causa dell'eresia, come il Nunzio facea sapere a Roma. Difatti nello stesso periodo or ora indicato furono liberati dapprima otto, poi altri quattro, in tutto dodici incriminati ecclesiastici, come si rileva da due lettere del Nunzio, l'una del 3 e l'altra del 10 marzo, che gioverà riportare testualmente. «La causa della ribellione si tira avanti con ogni diligenza, et di già si è ordinato la liberatione di 8 fra Frati et Clerici che si trovavono presi per diversi sospetti senza fondamento et 4 altri spero ne liberaremo domani, poichè i principali sono tutti essaminati, et di già si vede in che il negotio potrà principalmente parare, et per che la medesima Ecc.za mi hà richiesto che i Calabresi che dovranno come hò detto liberarsi non si lascino così subito ritornare in Calabria, gli hò detto che si farà con un Precetto che non partino di Napoli senza licenza, parendomi cosa che come propone possa esser di qualche consideratione, che tornino là persone avanti che il negotio si finisca che sieno informati come gira, et ne suscitino qualche nuovo bisbiglio; procurerò che si risolva quanto prima per manco incommodo di quei poveri huomini» (3 marzo). «La causa della ribellione si tira avanti con la solita diligenza, et di già se ne sono liberati 12 fra regolari et Clerici, et la prohibitione del partirsi che le scrissi con altra si è ristretta à due frati Domenicani, che non tornino in Calabria senza licenza, et altrove vadino dove vogliono» (10 marzo). Non si potea veramente procedere con maggior sollecitudine: il tribunale teneva sedute quasi ogni giorno, come si rileva da un'altra lettera del Nunzio della stessa data (10 marzo) che dice, «dal Venerdì in poi che l'occupo in dettar lettere, et le feste, gli altri tutti si va in Castello»97. Trattandosi d'individui non trovati delinquenti, ai termini del Breve i Giudici aveano facoltà di pronunciare senz'altro la sentenza; per essi non c'era la limitazione di procedere usque ad sententiam exclusive, ed è poi facile conoscerne i nomi guardando l'Elenco degl'incriminati ecclesiastici98. I primi otto furono: D. Gio. Battista Cortese, D. Gio. Andrea Milano, fra Scipione Politi, fra Francesco di Tiriolo, D. Marco Petrolo, fra Pietro Musso, D. Domenico Pulerà, fra Vittorio d'Aquaro; gli altri quattro furono D. Colafrancesco Santaguida, fra Giuseppe Perrone di Polistina, Giovanni Ursetta e Valentino Samà. Di tutti costoro vennero esaminati solamente il Cortese e il Milano; e i due Domenicani, a' quali si vietò di tornare in Calabria, doverono essere il Tiriolo ed il Musso, mentre contro fra Giuseppe di Polistina, come contro qualche altro, non si potè neanche compilare un Riassunto d'indizii, non essendosi trovata in processo cosa alcuna. Rimasero dunque in carcere nove frati Domenicani compreso il Campanella, e dippiù il clerico Giulio Contestabile; vi pervenne poi molto più tardi, come vedremo a suo tempo, il clerico D. Marco Antonio Pittella, il quale era scappato di mano alle guardie in Calabria, ma fu ripigliato nel 1601. E non è dubbio che gli Atti difensivi ebbero immediatamente corso pel Campanella, per fra Dionisio e per gli altri frati; così pure per Giulio Contestabile, e vi è motivo di ritenere che co' suoi mezzi costui abbia potuto far precedere la difesa della sua causa, essendo stato in grado di presentare in suo favore, senza ritardo, documenti, testimoni ed un Avvocato proprio.

      La Difesa scritta per Giulio Contestabile ci fa intendere le accuse formolate dal Fiscale contro di lui, e ci dà notizia de' documenti e testimoni da lui presentati99. Secondo il Fiscale, Giulio Contestabile dovea dirsi uno de' capi della congiura dietro la Dichiarazione del Campanella, la cui amicizia con Giulio era confermata da sei testimoni uditi in Calabria, come pure dietro le deposizioni del Caccia, del Vitale e dello stesso Maurizio nell'ultima sua confessione; inoltre dovea dirsi reo di fatti e detti in dispregio di S. M.tà dietro le rivelazioni del Campanella e del Petrolo, e indirettamente anche di fra Pietro di Stilo. I documenti prodotti da Giulio furono: un certificato di buona vita e fama, rilasciato dall'Università, clero e particolari di Stilo; l'istrumento pubblico di pace tra' Contestabili e Carnevali, stipulato mercè l'opera del Campanella e non ratificato; le fedi di tre Confessori che aiutarono a ben morire il Caccìa, attestanti la revoca della sua confessione fatta per forza di tormenti. I testimoni furono quattro: essi affermarono principalmente (con poca verità) che Giulio e il Campanella erano nemici prima del maggio 1599, fin dal gennaio di quell'anno, ma dal maggio «nè si parlavano, nè si cavavano la berretta». E l'Avvocato si appoggiò moltissimo a questa circostanza dell'inimicizia anteriore, e cercò di confermarla anche col fatto, che appena venuto lo Spinelli in Calabria, Giulio avea dato accuse scritte contro il Campanella, e procurata presso D. Carlo Ruffo commissionato dello Spinelli una commissione pel cognato Di Francesco in persecuzione del Campanella e complici, come pure il Campanella avea date egualmente accuse scritte contro Giulio ed avea sedotto il Petrolo a far lo stesso, mentre poi le sue affermazioni non poteano far fede, essendo lui «notato d'infamia per avere abiurato de vehementi»100. Invalidò inoltre le deposizioni del Caccìa, notando che costui non avea determinato il genere di discorsi passati tra Giulio e il Campanella, che era stato esaminato da un tribunale incompetente, e poi in ultimo avea revocato i suoi esami presso i Confessori. Invalidò la deposizione del Vitale, notando che non era stata fatta la ripetizione di lui innanzi a' Commissarii Apostolici, nè egli avea potuto conoscere da Maurizio la partecipazione di Giulio nella congiura, mentre Maurizio medesimo avea rivelato che la cosa gli era stata detta dal Campanella nelle carceri di Napoli, ed allora il Vitale era stato già giustiziato. Invalidò ancora la rivelazione di Maurizio, notando sempre che non era stata fatta la ripetizione di lui innanzi a' Commissarii Apostolici, ed aggiungendo che egli non avea potuto parlare col Campanella trovandosi rinchiusi non solo in carceri separate ma anche in torrioni separati (fatto non vero), nè poteva credersi che Giulio fosse entrato in un concerto nel quale erano capi il Campanella e Maurizio, entrambi notorii nemici suoi. Infine, quanto all'avere Giulio oltraggiato il ritratto del Re, gli bastò mettere in rilievo le contraddizioni tra le rivelazioni del Campanella e quelle del Petrolo, e tra le prime ed ultime rivelazioni del Campanella medesimo. – Con siffatti argomenti l'Avvocato potè far ritenere Giulio Contestabile qual semplice sospetto di complicità, e così poi, allorchè molto più tardi si venne alla sentenza, il Contestabile, aiutato forse anche dalle potenti raccomandazioni delle quali vedremo che disponeva, riuscì a cavarsela con la condanna ad una pena relativamente mite.

      Poco dopo, o tutt'al più contemporaneamente, venne fuori la Difesa del Campanella scritta dal De Leonardis: e in sèguito di essa una Replica di D. Gio. Sances. Ad entrambi questi Atti possiamo facilmente assegnare la data delle prime settimane di marzo, poichè certamente durante il marzo le difese doverono essere discusse: vedremo infatti esservi state negli ultimi giorni di marzo e primi di aprile le feste di Pasqua, e poco dopo, il 12 aprile, la richiesta del Sances a' Giudici di venire alla spedizione della causa. La Difesa scritta dal De Leonardis mostra che pel Campanella non ci furono nè documenti nè testimoni a discarico: nulla di simile vi si trova citato, e chiaramente vi si scorge che l'Avvocato sentiva di scrivere per una causa persa, giacchè il Campanella non poteva non dirsi convinto e confesso qual capo della congiura o tentata ribellione101. Fin dall'esordio

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<p>97</p>

Ved. Doc. 93, pag. 65.

<p>98</p>

Ved. Doc. 241, pag. 127.

<p>99</p>

Ved. Doc. 264, pag. 175.

<p>100</p>

Si avverta questa osservazione fatta dall'Avvocato, che si accorda con quanto avea già detto il Nunzio (ved. pag. 66) e che vedremo poi accordarsi anche con le affermazioni del Fiscale e infine con le affermazioni del Campanella medesimo nella sua Difesa; quattro affermazioni parallele emerse co' processi di Napoli. Nè si creda un'esagerazione curialesca il notatus infamia con le sue conseguenze. Era massima del S.to Officio che la sola carcerazione per delitto di eresia apportasse «notabile infamia» al carcerato, e i confessori, i medici, i maestri di scuola, i quali avessero abiurato come veementemente sospetti d'eresia, non solevano restituirsi o abilitarsi a' loro primitivi ufficii se non di espresso ordine e grazia del sommo Pontefice (Ved. Masini, Sacro Arsenale overo Pratica della S.ta Inquisitione, Roma 1639, pag. 309). La condanna poi in eresia formale colpiva d'infamia, di privazione di ufficio ed anche di successione i discendenti, e il potere civile in Napoli lo riconosceva. Ecco un breve documento in proposito, molto significativo e appunto del tempo del quale trattiamo: esso leggesi ne' Registri Sigillorum vol. 34, an. 1598, sotto la data 26 settembre: «Lettera per la quale se reintegra hercole miglionico a la dignità del dottorato et altri honori e officii publici e successione per lo delitto del eresia de suo avo»!

<p>101</p>

Ved. Doc. 245, pag. 144.