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se non che goffamente magnificò la clemenza e la bontà di Filippo III, per avere ordinata questa Difesa, ed affermò che da parte sua avrebbe voluto dilaniare e fare a brani con Neronica voluttà «simili facinorosi delinquenti», e dichiarò che per obbedienza agli ordini del Vicerè presentava al Nunzio e al De Vera «dottissimi e religiosi Giudici Apostolici» le ragioni che gli parevano favorevoli alla causa. Due questioni egli vide nella causa: la 1a, se il Campanella, dato che fosse reo di tale delitto di lesa Maestà, potesse consegnarsi alla Curia secolare, e siffatta questione egli dovè riconoscere già sciolta col Breve Papale, che ne avea dato larga facoltà a' Giudici Apostolici; la 2a, se il Campanella avesse commesso tale delitto di lesa Maestà, che dovesse consegnarsi alla Curia secolare, ciò che equivaleva a condannarlo alla morte, e sopra tale questione egli stimò aversi a considerare le circostanze del fatto e la qualità della persona. Notò quindi che il Campanella non gli pareva «legittimamente convinto» giusta i termini del Breve, poichè tutti i testimoni erano socii del delitto, i quali bastavano a provare la congiura, ma non bastavano a far condannare alla pena di morte, massime in persona di un Clerico in sacris, contro il quale occorreva sempre una forma più privilegiata che nel Laico; oltracciò tutti i testimoni lo aveano detto capo della congiura, e per esservi congiura avrebbe dovuto esservi concerto di molti a fine di sovvertire lo Stato, ma i testimoni medesimi aveano detto che doveano fatalmente avvenire rumori e rivoluzioni nel Regno, ed allora egli avrebbe sottratta la Provincia alla potestà Regia, ma allora si era già verificata la sovversione dello Stato. Non gli pareva poi nemmeno confesso di congiura e per questo legittimamente convinto, mentre dalla sua confessione non risultava «una così grande ed acerba cospirazione quale era stata asserta da' testimoni», perchè appunto egli voleva far la repubblica quando fatalmente succedessero rumori e rivoluzioni, e non aveva mai approvato l'aiuto de' turchi. Aggiunse inoltre che la congiura non doveva avere una esecuzione prossima ed immediata, e poteva anche non verificarsi o poteva verificarsi in un senso buono, essendo preferibile nel caso di grossi trambusti, che si costituisse la repubblica dall'inquisito con la volontà del Papa e del Re, rimanendo impedita la conquista a' nemici invasori. In somma trattavasi della preparazione ad un mutamento in caso di un futuro evento dubbio, e l'inquisito non era suddito del Re e non avrebbe quindi dovuto mandarsi a morte come se il delitto fosse stato consumato o vi fosse stato disegno di uccidere il Re; non era poi l'inquisito nemmeno tale da poter sovvertire uno Stato, e quindi la pietà e l'equità de' Giudici Apostolici poteva fargli scansare la morte, «salvo sempre il più sano giudizio e l'autorità della Sede Apostolica», in servizio della quale e del Re Filippo egli, l'Avvocato, avrebbe voluto volentieri morire se fosse stato necessario! – Messe da parte le goffe ampollosità del tempo, rimane che il De Leonardis cercò, per quanto potè, di salvare il Campanella dalla morte: tutti i suoi sforzi furono concentrati su questo punto, riuscendo impossibile negare ciò che fra Tommaso avea confessato, e parecchie osservazioni dell'Avvocato, che i lettori vorranno senza dubbio più minutamente conoscere percorrendo la Difesa da lui scritta, offrono tutti gli elementi di una critica di quel Breve Papale che avea tanto largamente concesso di rilasciare alla Curia secolare gli ecclesiastici legittimamente convinti o confessi «di ribellione o prodizione, o altri delitti di lesa Maestà», senza tener conto di alcuna delle circostanze restrittive ammesse dalla giurisprudenza del tempo. Una sola cosa a noi profani in giurisprudenza apparisce imputabile al De Leonardis, la mancanza dell'argomento che i testimoni nella più gran parte non erano stati esaminati o ripetuti nel foro competente, e però non potevano dirsi capaci di legittimamente convincere: ma bisogna pur riconoscere che si era fatta una inestricabile confusione di fori, mentre da' «Giudici Apostolici», e segnatamente dal Nunzio, si era tollerato che figurassero nel processo, e quindi ne' Riassunti, come elementi del giudizio, perfino le deposizioni raccolte da fra Marco e fra Cornelio, ed anche dal Vescovo di Gerace, nel foro di S.to Officio; così la mancanza del detto argomento non potè davvero influire in nulla. Avremo poi a vedere che il Campanella medesimo, nella Difesa sua propria, venuta in luce più tardi ed inserta nel processo di eresia, non trovò argomenti migliori di quelli del De Leonardis, e distinguendo il crimen volitum e il crimen patratum (distinzione che ne' delitti di lesa Maestà non giovava) concluse doverglisi dare piuttosto la pena del carcere perpetuo e non la pena di morte. Assai più tardi poi, nella sua Narrazione, scrisse che il suo Avvocato «più presto avvocò contra per diventar Consigliero»: ma anche questa volta bisogna riconoscere, che le necessità sue l'abbiano spinto a scrivere senza alcun ritegno tutto ciò che potè sembrargli utile a farlo uscire da una tristissima posizione.

      Venendo all'Allegazione del Sances in risposta a quella del De Leonardis, abbiamo poco da dire102. Egli, rivolgendosi allo Ill.mo Presidente e al dottissimo Magistrato, stimò del tutto naturale che il Campanella, «legittimamente convinto e confesso» del delitto di lesa Maestà, dovesse «essere attualmente degradato e consegnato alla Curia secolare, tanto per disposizione del dritto, quanto in forza del rescritto di commissione del SS.mo Padre». E confutando le ragioni dell'Avvocato, fece notare che, circa la qualità della persona, trattavasi di un frate di mancata vita monastica, assiduo co' malfattori, già condannato ad abiurare, cospiratore contro gli Stati del Re Cattolico per menare vita lussuriosa e seminare eresie, autore e capo di tutto, convinto da testimoni come il Franza, il Cordova e due altri già carcerati col Pisano (sicuramente il Gagliardo e il Conia), i quali, sebbene socii nel delitto, in questo di lesa Maestà per una speciale disposizione del dritto provavano; che inoltre era confesso, come essi medesimi i «Padri» lo avevano udito, di avere eccitato a prendere le armi e procurare amici, confesso di formata macchinazione, soggetto ad essere degradato e consegnato alla Curia secolare anche per un rescritto espresso del Papa, il quale volle mostrare quanto difendesse e proteggesse gli Stati di S. M.tà. Nè egli faceva istanza che fosse condannato perchè avea già cacciato il Re e fatta la Repubblica, ma per avere macchinato e sedotto a farla le persone che si erano mostrate pronte, dovendosi nel delitto di lesa Maestà, per dritto, punire con la stessa pena così la volontà come l'effetto; la macchinazione era seguìta, e i Giudici poteano degradare questo clerico ribelle alla Maestà Divina ed umana, causa della perdita della vita, de' beni e dell'onore, per tanti infelici, e de' beni e della patria per molti contumaci, costituiti anche in pericolo di vita, essendo stato lui di ogni cosa duce, autore e capo.

      Una Difesa scritta, analoga a quella pel Campanella, parrebbe che avesse dovuto esservi anche per conto di fra Dionisio; giacchè il Sances chiese di poi a' Giudici che spedissero la causa tanto del Campanella quanto di fra Dionisio. Forse, essendo in sèguito costui scappato senza rimedio, il Nunzio credè inutile conservare tale Difesa e così essa non sarebbe a noi pervenuta; ma forse anche, con maggior probabilità, avendo lui dichiarato di volersi servire di un Avvocato proprio, e non essendo poi riuscito a trovarlo, rimase senza Difesa scritta, giacchè, nel decretare il termine per le difese, i Giudici solevano dichiarare che badasse l'inquisito a provvedersi di un Avvocato o a chiedere quello di ufficio, mentre in difetto, scorso il termine, il tribunale avrebbe spedita la causa anche senza l'Avvocato. Ciò per altro non vuol dire che fra Dionisio non si sia difeso da sè, oralmente e presentando documenti; che anzi dobbiamo ritenerlo, trovandosi in coda al Riassunto degl'indizii contro di lui l'annotazione «habuit defensiones quas fecit». Non potremmo dire lo stesso pel Campanella, mentre in coda del relativo Riassunto degl'indizii troviamo scritto solamente «habuit defensiones»: la qual cosa riesce difficile a spiegarsi, e bisognerebbe ammettere che veramente non sia stato chiamato a parlare, come di poi si dolse; ma forse egli avea dichiarato che intendeva presentare una propria Difesa scritta ed anche difendersi oralmente, e non giunse in tempo a presentare la Difesa scritta, come vedremo più in là, e i Giudici poco giustamente passarono oltre ritenendo decaduta la sua dichiarazione. Ad ogni modo la sorte del Campanella, e così pure di fra Dionisio, non poteva esser dubbia, e stiamo per vedere che il Nunzio non ne fece un mistero.

      Di certo durante il marzo vi fu un poco di rilasciamento nell'attività del tribunale; le feste di Pasqua poi, negli ultimi giorni di marzo e primi di aprile, vennero a sospenderne affatto le sedute. Durante il marzo la causa del Contestabile, con l'esame de' quattro testimoni, non potè occupare molte sedute, tanto meno la Difesa orale di fra Dionisio, ancor meno la Difesa scritta dell'Avvocato del Campanella, e d'altronde conosciamo che i termini per le difese solevano essere brevissimi. Bisogna dunque ammettere qualche ragione estrinseca, e questa potrebbe ravvisarsi nell'assenza del Vicerè da Napoli in tale periodo: poichè egli dovè finalmente adempiere la missione

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<p>102</p>

Ved. Doc. 246, pag. 149. Le parole, dalle quali risulta che questa Allegazione sia stata scritta in risposta a quella dell'Avvocato, si leggono a pag. 151: – «nos non instamus puniri eum, quod iam ejecerit Regem a Regno, Rempublicam fecerit, quod dicit se facturum procurasse, et hoc sub conditione et spe futuri eventus, ut advocatus partis fatetur» etc.