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va detto per tante altre poesie di questa raccolta: il filosofo dovea sentirsi disposto a tutt'altro che a poetare; d'altronde poesie simili bastavano per que' rozzi ma generosi patriotti. Il 3o Sonetto, intitolato dall'autore «a sè stesso», può ritenersi bene al suo posto, valendo ad ispirare conforto e fiducia a' compagni suoi in un modo generale, e sempre promettendo la vendetta divina:

      «Spesso m'han combattuto, io dico anchora,

      fin dalla giovanezza, ahi troppo spesso,

      ....

      ma la spada del ciel per me lavora».

      Non così l'altro intitolato anche «a sè stesso», con la giunta dovuta a fra Pietro, e certamente errata, cioè «subito fu preso»: esso venne pubblicato dall'Adami senza questa giunta, che forse potè essere suggerita a fra Pietro dalle parole che si leggono nel 2o verso, «il fiero stuol confondo»; ma tutte le circostanze, che accompagnano queste parole, le mostrano riferibili a' Giudici, Fiscale e contradittori intervenuti nelle confronte, sicchè il Sonetto risulta precisamente del tempo degli esami e confronte del Campanella, che aveano dovuto sembrargli tali da poterne menar vanto. Passiamo quindi sopra di esso, e del pari sopra il seguente, che gli apparisce collegato e che dinota un grave sconforto succeduto ad una viva fiducia; ci troviamo così in presenza del Sonetto «in lode di carcerati e tormentati», che ci conduce al periodo in cui si pose mano alle torture cominciando da Maurizio.

      Siamo dunque alle prime settimane del dicembre 1599, al tempo del massimo fervore nel processo della congiura pe' laici. Maurizio avea sostenuto con fermezza terribili e lunghissimi tormenti, e gli altri avrebbero dovuto imitarne l'esempio; il Campanella lo esalta con entusiasmo, e merita di essere notato che attribuisce allo «ardore di libertà e di ragione» il superare que' tormenti, armi del tiranno:

      «Veggio spirti rivolti al Creatore

      schernir tormenti e morte, del tyranno

      armi sovrare, e scherzar con l'affanno

      ....

      Di libertà e ragion tanto è l'ardore

      che dolcezza il dolor, ricchezza il danno,

      seguendo l'orme di color che sanno,

      stimano, armati di gloria et honore.

      Rinaldi il primo sei notti e sei giorni

      vince i tormenti antichi e i nuovi sprezza

      ....

      esempio a gl'altri d'invitta fermezza»114.

      Ma il poeta dovea sentirsi anche personalmente grato a Maurizio, il quale, non avendo confessato, aveva contribuito assaissimo a farne migliorare la causa; ed ecco quel Madrigale:

      «Generoso Rinaldi

      vera stirpe del syr di Monte Albano» etc.

      Nè deve fare impressione qualche concetto come quello di «aver reso il pegno di fedeltà al Re». Bisogna tener presente che stavano entrambi in carcere e sotto un processo capitale; la poesia avrebbe potuto essere sorpresa da' carcerieri e trasmessa al Sances, onde naturalmente non può darsi molto peso a qualche concetto che esprima innocenza, ed invece deve darsene molto a quelli che esprimono sentimenti di libertà. – Ma giunge il 20 dicembre, e Maurizio sotto le forche si decide a confessare per iscrupolo di coscienza: si rivolta allora l'animo del poeta, e scrive quel «Madrigale di Palinodia», che è triste dover ricordare, e che i lettori troveranno dopo il precedente; un passaggio così brusco dalla lode al vituperio stringe veramente il cuore. Conoscendo poi che egli credè, più o meno, all'influenza del Gesuita confessore del Vicerè, il Padre Mendozza, che avrebbe determinato Maurizio alle rivelazioni, ci parrebbe naturale collegare con tale fatto quel Sonetto che potè anche scrivere più tardi, col titolo «contro i G…» ossia «contro i Gesuiti», pubblicato negli anni successivi dall'Adami col titolo più prudente «contro gl'ipocriti»: che esso debba riferirsi a' Gesuiti risulta manifestamente da' primi versi,

      «Gli affetti di Pluton portano in core

      il nome di Giesù segnano in fronte»;

      ben doveva il poeta trovarsi in grande eccitamento contro costoro, allorchè accennava alle loro malizie, e non soltanto per aggiustare la rima egli scriveva

      «questo veggendo fà ch'io mi dischiome»115

      Nè scorgiamo altre poesie da doversi con qualche probabilità riferire a' fatti concernenti i laici, fra' quali pel solo Maurizio si vede che il Campanella poetò, mentre da una cancellatura fatta da fra Pietro nella sua raccolta rilevasi che perfino il Sonetto «in lode di carcerati e tormentati» aveva dapprima il titolo di Sonetto «in lode di Mauritio Rinaldo».

      Ma nelle prime settimane del gennaio 1600 già si conosceva non lontano il cominciamento del processo della congiura per gli ecclesiastici, e le poesie furono più frequenti. Non è arrischiato l'ammettere che siano stati composti in tale data que' due Sonetti profetali, l'uno ancora inedito che comincia col verso

      «Toglie i dì sacri il Tebro e calca Roma»,

      e l'altro già pubblicato dall'Adami che comincia col verso

      «Veggio in candida roba il Padre Santo».

      Questi Sonetti con qualche altro analogo, che trovasi disperso nel 2o gruppo e che vedremo altrove, sarebbero appunto i Ritmi profetali menzionati nel Syntagma; e non debbono sfuggire que' versi del primo rimasto inedito, forse rimasto inedito per essi,

      «La giustizia si compra, el verbo santo

      sotto favole e scisme ogn'hor si vende»116.

      Egualmente è verosimile che siano stati composti in tale data quei tre Sonetti concernenti lo Sciarava, i due primi di maledizione, il terzo, diremmo, d'insinuazione117. Il primo che comincia co' versi

      «Campanella d'heretici e rubelli

      Capo in Calavria mai non s'è trovato»

      offre anche una discolpa, oltre la maledizione nella quale son compresi tutti i persecutori di alto grado

      «Ruffi, Garraffi, Morani, e Spinelli».

      Il secondo, che ci sembra abbastanza bello, e che comincia co' versi

      «Mentre l'albergo mio non vede esangue

      e gli spirti poggiar tremanti al cielo»,

      offre una maledizione ed anche una preghiera, la quale mostra che l'autore riteneva del tutto imminente la chiamata agli esami,

      «Deh Sig.^r forte, in me volgi tua faccia,

      dà authorità più espressa al mio sermone

      ond'i ministri di Sathan disfaccia».

      Il terzo, che porta veramente il titolo «in lode di spagnuoli», offre una insinuazione contro lo Sciarava e una protesta di devozione a Spagna, la quale certamente nessuno vorrà prendere sul serio: bisognava pure che il poeta si preparasse qualche argomento in suo favore pel caso di una scoperta delle poesie, massime quando avea mostrato tanto poco rispetto verso un funzionario importante del Governo spagnuolo e tuttora deputato ad assistere il Sances durante il processo. Poniamo inoltre qui il «Sonetto di rinfacciamento a Musuraca», senza dubbio mal situato tra le poesie del 2o gruppo, e sempre capace di eccitare gli amici a rimaner tali anche «a tempo d'infelice stato»118. Con tanto maggior ragione poniamo qui anche il «Sonetto fatto a tutti carcerati», che del rimanente potrebbe esser posto anche tra le poche poesie del tempo del processo de' laici119: in esso si dice che era negata, oltre la favella e il commercio, benanco la difesa, ciò che si spiega col fatto dell'amministrazione delle torture

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<p>114</p>

Ved. Doc. 441, pag. 551, e i seguenti.

<p>115</p>

Ved. Doc. 459, pag. 558.

<p>116</p>

Le favole da una parte, gli scismi dall'altra. Vedi Doc. 456, pag. 556.

<p>117</p>

Ved. Doc. 452, 453 e 457, pag. 555 e 557.

<p>118</p>

Ved. Doc. 489, pag. 569.

<p>119</p>

Ved. Doc. 447, pag. 553.