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a quel che l’arnie fanno rombo,

      4 quando tre ombre insieme si partiro,

      correndo, d’una torma che passava

      sotto la pioggia de l’aspro martiro.

      7 Venian ver’ noi, e ciascuna gridava:

      «Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri

      essere alcun di nostra terra prava».

      10 Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,

      ricenti e vecchie, da le fiamme incese!

      Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri.

      13 A le lor grida il mio dottor s’attese;

      volse ’l viso ver’ me, e «Or aspetta»,

      disse, «a costor si vuole esser cortese.

      16 E se non fosse il foco che saetta

      la natura del loco, i’ dicerei

      che meglio stesse a te che a lor la fretta».

      19 Ricominciar, come noi restammo, ei

      l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,

      fenno una rota di sé tutti e trei.

      22 Qual sogliono i campion far nudi e unti,

      avvisando lor presa e lor vantaggio,

      prima che sien tra lor battuti e punti,

      25 così rotando, ciascuno il visaggio

      drizzava a me, sì che ’n contraro il collo

      faceva ai piè continuo viaggio.

      28 E «Se miseria d’esto loco sollo

      rende in dispetto noi e nostri prieghi»,

      cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo,

      31 la fama nostra il tuo animo pieghi

      a dirne chi tu se’, che i vivi piedi

      così sicuro per lo ’nferno freghi.

      34 Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,

      tutto che nudo e dipelato vada,

      fu di grado maggior che tu non credi:

      37 nepote fu de la buona Gualdrada;

      Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita

      fece col senno assai e con la spada.

      40 L’altro, ch’appresso me la rena trita,

      è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce

      nel mondo sù dovria esser gradita.

      43 E io, che posto son con loro in croce,

      Iacopo Rusticucci fui, e certo

      la fiera moglie più ch’altro mi nuoce».

      46 S’i’ fossi stato dal foco coperto,

      gittato mi sarei tra lor di sotto,

      e credo che ’l dottor l’avria sofferto;

      49 ma perch’ io mi sarei brusciato e cotto,

      vinse paura la mia buona voglia

      che di loro abbracciar mi facea ghiotto.

      52 Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia

      la vostra condizion dentro mi fisse,

      tanta che tardi tutta si dispoglia,

      55 tosto che questo mio segnor mi disse

      parole per le quali i’ mi pensai

      che qual voi siete, tal gente venisse.

      58 Di vostra terra sono, e sempre mai

      l’ovra di voi e li onorati nomi

      con affezion ritrassi e ascoltai.

      61 Lascio lo fele e vo per dolci pomi

      promessi a me per lo verace duca;

      ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi».

      64 «Se lungamente l’anima conduca

      le membra tue», rispuose quelli ancora,

      «e se la fama tua dopo te luca,

      67 cortesia e valor dì se dimora

      ne la nostra città sì come suole,

      o se del tutto se n’è gita fora;

      70 ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole

      con noi per poco e va là coi compagni,

      assai ne cruccia con le sue parole».

      73 «La gente nuova e i sùbiti guadagni

      orgoglio e dismisura han generata,

      Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».

      76 Così gridai con la faccia levata;

      e i tre, che ciò inteser per risposta,

      guardar l’un l’altro com’ al ver si guata.

      79 «Se l’altre volte sì poco ti costa»,

      rispuoser tutti, «il satisfare altrui,

      felice te se sì parli a tua posta!

      82 Però, se campi d’esti luoghi bui

      e torni a riveder le belle stelle,

      quando ti gioverà dicere «I’ fui»,

      85 fa che di noi a la gente favelle».

      Indi rupper la rota, e a fuggirsi

      ali sembiar le gambe loro snelle.

      88 Un amen non saria possuto dirsi

      tosto così com’ e’ fuoro spariti;

      per ch’al maestro parve di partirsi.

      91 Io lo seguiva, e poco eravam iti,

      che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,

      che per parlar saremmo a pena uditi.

      94 Come quel fiume c’ha proprio cammino

      prima dal Monte Viso ’nver’ levante,

      da la sinistra costa d’Apennino,

      97 che si chiama Acquacheta suso, avante

      che si divalli giù nel basso letto,

      e a Forlì di quel nome è vacante,

      100 rimbomba là sovra San Benedetto

      de l’Alpe per cadere ad una scesa

      ove dovea per mille esser recetto;

      103 così, giù d’una ripa discoscesa,

      trovammo risonar quell’ acqua tinta,

      sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa.

      106 Io avea una corda intorno cinta,

      e con essa pensai alcuna volta

      prender la lonza a la pelle dipinta.

      109 Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,

      sì come ’l duca m’avea comandato,

      porsila a lui aggroppata e ravvolta.

      112 Ond’ ei si volse inver’ lo destro lato,

      e alquanto di lunge da la sponda

      la gittò giuso in quell’ alto burrato.

      115 «E’ pur convien che novità risponda»,

      dicea fra me medesmo, «al novo cenno

      che ’l maestro con l’occhio sì seconda».

      118

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