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Geschichte und Region/Storia e regione 29/2 (2020). Группа авторов
Читать онлайн.Название Geschichte und Region/Storia e regione 29/2 (2020)
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isbn 9783706561181
Автор произведения Группа авторов
Жанр Документальная литература
Серия Geschichte und Region/Storia e regione
Издательство Bookwire
Più ridotta rispetto a Farfa, ma con alcuni casi significativi, è la documentazione di un altro importante monastero quale S. Ambrogio di Milano, fondato in età carolingia a distanza di circa dieci anni dalla conquista di Pavia da parte di Carlo Magno e divenuto in breve tempo uno dei principali enti monastici del regno d’Italia e dell’Impero franco.45 Tra i documenti da cui emerge un qualche uso dello strumento beneficiario vi è il caso di Crescenzio da Delebio che nel dicembre 837 stipulò un contratto con il monastero di S. Ambrogio per ricevere in beneficio la curtis di Dubino in Valtellina.46 Quest’ultima era stata in precedenza tenuta in livello dallo stesso Crescenzio che in quell’occasione si impegnava ad amministrarla per cinque anni in qualità di scarius (un “ufficiale minore” con compiti gestionali), consegnando ogni anno all’abbazia vari prodotti come fatto fino ad allora mentre era livellario; quel giorno, tuttavia, si stabilì che avrebbe potuto tenere per sé il grano e il vino prodotti.47 Se si fosse mostrato negligente nella gestione della curtis recandole danno o diminuendo il censo dovuto avrebbe risarcito il monastero attingendo dalle proprie sostanze per il doppio del valore, e il monastero avrebbe potuto confiscargli i beni alla stregua dei vari masarii finché il danno non sarebbe stato ripagato.48 Si può notare, tuttavia, come di fatto non sia l’intera curtis ad essere concessa a Crescenzio in beneficio, e che pare invece continui ad essere tenuta in livello, ma alcune rendite. In ogni caso l’assegnazione beneficiaria non fa di Crescenzio un vassallo dell’abate, piuttosto, come ha rilevato anche Andrea Castagnetti, pare si tratti di un beneficio di servizio mostrando dunque l’uso di tale strumento per retribuire le mansioni più varie, come quelle offerte da uno scario, e che nulla hanno a che vedere con il mondo militare.49
Un altro caso relativo sempre a S. Ambrogio, e che sembra richiamare il primo documento analizzato in tale sede, risale al 5 dicembre 863 quando il prete Angilberto da Cannobio ricevette in beneficio i beni precedentemente donati.50 Angilberto aveva infatti donato pro anima, quando era ancora chierico, alcuni beni che facevano parte del suo patrimonio privato.51 In quell’occasione gli veniva dunque concesso il vitto al pari dei monaci che vivevano nella cella di Campione, nelle terre che un tempo appartenevano al gruppo parentale di Totone e che erano poi entrate nel patrimonio della basilica ambrosiana con il lascito testamentario del 77752, o quello della curtis di Cannobio, posta sulle rive del Lago Maggiore. In cambio Angilberto avrebbe officiato la liturgia riscuotendo in benefitio nomine per il resto della sua vita le rendite dei beni da lui donati a S. Ambrogio per potersi garantire vestiario e calzature.53 Nel caso avesse mancato ai compiti che gli spettavano in qualità di sacerdote il contratto sarebbe stato annullato e i beni di cui godeva l’usufrutto sarebbero tornati al monastero; se al contrario fossero stati l’abate o i suoi successori a contravvenire all’accordo il prete avrebbe ottenuto come risarcimento una somma di duecento soldi. Da un atto stilato il mese successivo, apprendiamo che la località scelta da Angilberto fu Cannobio. Qui, infatti, l’abate Pietro II venne immesso nel possesso e investito per columna dei beni donati dal prete che sottoscrisse il documento di investitura.54 Il caso, dunque, richiama da vicino quello di Lucca risalente a più di un secolo prima nel quale, come si è visto, veniva consentito a un altro prete e a sua moglie di vivere per il resto della loro vita presso un monastero dell’episcopio lucchese: in cambio, dopo aver donato i suoi beni al cenobio, il presbitero era tenuto a prestare il servizio sacerdotale. La situazione, d’altro canto, è in parte simile anche a quella di Crescenzio, che avrebbe dovuto gestire i beni monastici come bonus actor et scarius. Anche Angilberto, infatti, era tenuto ad agire come bonus sacerdos per fruire delle rendite prodotte dai beni assegnatigli in usufrutto vitalizio e che rimanevano sotto il controllo del detentore originario, il monastero di S. Ambrogio. Di nuovo è dunque possibile osservare le dinamiche paradossali del keeping-while-giving veicolate dalla concessione in beneficio, ma declinate in una modalità particolare pari a quella emersa dal caso lucchese e molto simile ai due esempi farfensi. Angilberto, primitivo detentore dei beni oggetto della concessione beneficiaria, aveva infatti rinunciato ai suoi diritti di proprietà e li aveva trasferiti a un nuovo detentore. Quest’ultimo poteva dunque assegnare quei beni, divenuti inalienabili, come una sorta di stipendio per i servizi svolti dal prete.
Altre aree del regno invece, pur dominate da importanti enti monastici come S. Silvestro di Nonantola, non restituiscono un quadro così significativo come quello emerso dalla documentazione di S. Maria di Farfa o di S. Ambrogio.55 Così per il caso nonantolano è possibile osservare l’uso del beneficio unicamente grazie a una fonte esterna all’abbazia: una lettera di papa Giovanni VIII in cui si annunciava la scomunica del vescovo di Verona.56 Si tratta di una fonte particolarmente interessante dal momento che ci pone di fronte non all’assegnazione in beneficio di alcuni beni monastici ma del monastero stesso e del relativo patrimonio. La lettera venne redatta in un contesto particolare assieme a due altre missive indirizzate nella primavera dell’877 a vari destinatari per rendere nota l’avvenuta scomunica del vescovo Adalardo di Verona.57 Dal documento in questione, indirizzato all’imperatore Carlo il Calvo, apprendiamo che il monastero di Nonantola era stato concesso in beneficium al presule veronese58, un fatto senza precedenti e per il quale il pontefice riteneva offesa non solo la sua autorità ma la stessa dignità imperiale.59 Adalardo, tuttavia, si era insediato sulla cattedra veronese probabilmente tra la fine dell’875 e l’inizio dell’anno successivo e aveva sostenuto l’incoronazione imperiale di Carlo il Calvo assieme al conte Walfredo di Verona nel febbraio 876, quando compare tra i vescovi presenti alla sinodo pavese durante la quale il sovrano venne elevato al soglio imperiale.60 È altamente probabile, quindi, che l’assegnazione in beneficio di uno dei principali monasteri del regno fosse avvenuta per volontà del sovrano in segno di gratitudine per il supporto che Adalardo aveva mostrato. Non pare un caso, infatti, che il riferimento alla concessione beneficiaria sia contenuto unicamente nella lettera indirizzata all’imperatore, l’unico che aveva l’autorità per agire in quel modo. Tale concessione aveva tuttavia suscitato uno scandalo che aveva portato alla scomunica del presule affinché potesse ravvedersi e correggere la propria condotta, ed è in tale frangente che venne inviata, tra le altre, la lettera in questione.61 Dell’abate Teodorico di Nonantola non è dato sapere alcunché in questa fase ma è probabile che rimase nel monastero sebbene delegittimato nelle sue attività politiche e patrimoniali. Era Adalardo che svolgeva ora le funzioni di abate di Nonantola ma tale situazione aveva alimentato il malcontento dei monaci che avevano visto violato il loro diritto alla libera elezione dell’abate e probabilmente furono