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1545 in aggiunta al Furioso, senza però seguirne regolarmente la materia[135]: dettò alcune Memorie da servire di buona traccia ad una vita che doveva farsi del grande poeta, e condusse a termine la commedia I Studenti che fu dall'autore lasciata imperfetta. Di questa fatica di Virginio non giunse a noi che il solo prologo: fu però completata anche dal fratello Gabriele, ed è la commedia che abbiamo col titolo La Scolastica. — Ignoriamo a chi debbasi la prima e cattiva stampa fattasi nel 1534 delle Satire, che, dopo il poema, sono il lavoro più importante e lodato dell'Ariosto; e senza estenderci a parlare delle altre opere minori di quest'ingegno privilegiato, rimettendoci al giudizio autorevole di Filippo-Luigi Polidori che le illustrò (Firenze, 1857), rigettandone alcune di non sincera derivazione, e movendo dubbii sopra la schietta legittimità di altre; aggiungeremo alla volta nostra che dove l'Erbolato, venuto in luce nel 1545 a cura di un Jacopo Modanese, ci sembra una prosa troppo fiorita ed elegante, così il frammento del poema il Rinaldo ardito si mostra al contrario di locuzione troppo rozza ed impropria per essere l'uno e l'altro attribuiti con certezza all'Ariosto. E tornerebbe un po' strano che mentre adoperava in confidenza e correntemente le parole raccomando, berretta, camera, gagliardo, figlio, reliquia, ecc., come rilevammo dagli autografi indubitabili delle lettere di lui esistenti nell'Archivio di Stato in Modena, venisse poi nel comporre studiosamente in versi ad alterare siffatte parole con arricomando, bretta, ciambra, fio, galgiardo, relliqua che si veggono nel Rinaldo ardito: il quale avendo allusioni storiche relative al 1525, è per lo meno posteriore di cinque anni alla dichiarazione che l'Ariosto fece nel Prologo della commedia il Negromante, di attendere il più che poteva a nascondere nelle sue scritture la pronunzia lombarda. Aggiungasi inoltre che il ms. originale del frammento di poema, chiamato dal Baruffaldi un primo abbozzo, è sparso di corretture e varianti che mostrano esservisi tornato sopra più volte. Ciò non ostante occorrono spesso, fra gli altri difetti, certi troncamenti di voci che l'Ariosto non usò mai, compresa la prima edizione del Furioso uscita nel 1516, con sì riprovevole licenza; tali essendo: car per carro, col per collo, don per donna, fer per ferro ecc.; troncamenti che potendo anche volgersi a diverso significato, è un'ingiuria il ritenere che siano caduti dalla penna del nostro poeta[136]. A malgrado dunque dell'asserzione, però unica e non abbastanza apprezzabile, del Doni che assegna il Rinaldo ardito a Lodovico Ariosto, e a malgrado di qualche somiglianza col carattere e talora pure coi concetti del nostro autore, amiamo credere che il frammento medesimo sia opera del figlio Virginio, il quale vivendo col padre e avendo tutto per la mente il Furioso, potrebbe essersi ancora approfittato di alcune abbandonate lezioni di stanze o versi del poeta, trovate fra le carte di lui, con introdurle qui e là e alla fine dei canti. Del resto se i frammenti del Rinaldo ardito fossero stati composti da Lodovico, non avrebbe dovuto mancare Virginio di accennarlo nelle Memorie lasciateci intorno a suo padre.

      Ritornando ora al duca Alfonso di Ferrara, sempre avversato dal governo di Roma, l'imperatore per favorirlo persuase il papa della necessità di chiamarlo a far parte di una nuova lega per la pace d'Italia, accordandogli una tregua di diciotto mesi. Clemente VII per tal concessione ebbe il vantaggio di veder cacciare dagli stati del duca i rifugiati della breve sì, ma nobile e nazionale repubblica di Firenze, che avevano abbandonata la patria per non soffrire il giogo dei Medici. — Avvicinavasi il tempo che la tregua doveva scadere e tornavano a ridestarsi nel duca le antiche sospettose inquietudini, quando il 25 settembre 1534 la morte del papa gli mostrò anche una volta il favore della fortuna. La successione seguìta poco dopo (28 ottobre) di Alessandro Farnese, padre di Pier Luigi, creatura di casa Borgia, che prese il nome di Paolo III, mise il colmo alla contentezza del duca. Ma doveva per pochi giorni goderne. L'uomo forte che tanti papi non aveano potuto non che abbattere piegare, che aveva saputo sciogliersi da tante insidie, affrontare e vincere tanti pericoli, era costretto morire il 31 ottobre per la più frivola causa, come il fratello cardinale; per aver mangiati troppi poponi[137].

      Dice il Pistofilo che il duca Alfonso «più tosto maninconico e severo, che lieto e giocondo.... fu poco amico della frequenza.... ed ebbe e volse che si avesse rispetto grandissimo all'onor delle donne, di qual grado fossero, da tutti i suoi sudditi; dalle quali continentissimamente si astenne»[138]. Non troviamo che ciò sia confermato da altre memorie, sapendosi inoltre che fu spesso travagliato dal mal francese. Ne' diari veneti scritti dal Sanuto leggesi sotto il 1497: «Pochi zorni fa don Alfonso fece in Ferrara cosa assai lizera, che andoe nudo per Ferrara, con alcuni zoveni in compagnia, di mezo zorno»[139]. Anche nelle cronache di Francesco de' Mantovani troviamo che al prete Gianni suo cantore «il duca voleva molto bene, che lui in persona l'andava a torre di casa tre e quattro volte il giorno, e lo toglieva in groppa e andavano per la terra a bordello»; e così nel processo che fu poi fatto a Gianni prima di metterlo nella gabbia di ferro e strozzarlo, «il traditore confessò avergli una volta legato in casa di una sua femina le mani, mostrando di scherzare con lui, e poi disse a uno famiglio: va, ammazza colui ch'è suso in letto. Il famiglio vi andò, e il signore disse: sligami col malanno!»[140].

      Quando il duca rimase vedovo la seconda volta, tenne presso di sè una giovane di rara bellezza chiamata Laura Dianti figlia di un berrettaio di Ferrara, e le diede il cognome di Eustochia per indicare i suoi pregi. N'ebbe due figli, Alfonso ed Alfonsino che cercò legittimare. Il Muratori nelle sue Antichità Estensi ritenne aver provato che Laura fu sposata dal duca Alfonso negli ultimi periodi della sua vita: però un documento pubblicato in Firenze nel 1845[141], contenente una donazione e codicillo d'esso duca alla donna, mostra ch'egli cinque giorni prima di morire non pensava ancora di farla sua moglie. — Clemente VIII non volle mai riconoscere i discendenti di Laura per legittimi successori del ducato di Ferrara, il quale nel 1598 tornò finalmente ad essere aggregato al governo della Chiesa.

      Succeduto al duca Alfonso il figlio primogenito Ercole II, ed essendo anche morto il fattore generale Alfonso Trotti, non tardarono i fratelli Gabriele, Galasso e Alessandro Ariosti ed il loro nipote Virginio di sottoporre una prece al novello duca per ottenere che fosse terminata con giustizia la causa delle terre livellarie ereditate da Rinaldo Ariosto, essendo da «quindici anni straziati e menati in lungo dalle cavillazioni e calunnie sì del fattore passato, come d'altri procuratori, notari ed agenti della sua ducal Camera» (Documento XVII). Il 23 dicembre 1534 Ercole II decretò che i fattori generali spedissero la causa con giustizia e rigettassero tutte le calunnie e cavillazioni: ma non pare che il rescritto sortisse l'esito bramato, conoscendo in vece che le terre in contesa, che formavano la bella tenuta in Bagnolo, detta delle Arioste dal nome degli antichi possessori, furono assegnate in dote ad una Estense maritata in Bevilacqua, per indi passare in proprietà dei Gesuiti.

      Il Municipio di Ferrara deliberò nell'anno 1872 di promovere e ordinare feste nazionali ad onore di Lodovico Ariosto in occasione che nell'8 settembre 1874 veniva a compiersi il quarto centenario dalla sua nascita, nominando a tale effetto un Comitato. Ma i disastri apportati poco dopo dal Po al territorio ferrarese, cui fu d'uopo riparare, le deliberate onoranze vennero rimandate al 1875.

      La città di Reggio, ove nacque l'Ariosto, amò anch'essa celebrare quel centenario e l'8 settembre 1874 una lunga schiera di persone autorevoli seguita da molto popolo si recò alla vicina villa di S. Maurizio a visitarvi il casino ove l'immortale poeta passò i più bei giorni della sua giovinezza. Dopo lettura di applauditi componimenti in versi ed in prosa allusivi alla circostanza, il signor Giuseppe Turri principal promotore della festa offerse in dono al Municipio come preziosa reliquia sotto cristallo una falange d'un dito dell'Ariosto che fu sottratta nel trasporto delle sue ossa seguito nel 1801, regalando pure i tre atti autentici che si riferiscono al detto trasporto e che erano rimasti ignoti, facendoli poi anche stampare in appendice alla Relazione di questo centenario (Reggio, Calderini, 1875-76).

      Le feste splendidissime di Ferrara ebbero luogo dal 24 al 30 maggio 1875 in mezzo ad una popolazione esultante, ed essendovi accorsi molti illustri personaggi e rappresentanti d'ogni parte d'Italia, le accoglienze oneste e liete furo iterate in tutti que' sette giorni.

      Dal centenario Ariosteo derivarono pubblicazioni, tanto per invito speciale del Comitato quanto per impulso spontaneo, le quali tornarono a vantaggio delle lettere e ad onore dell'insigne poeta, come sono in particolar modo: 1º l'Orlando furioso secondo la prima stampa del 1516 (Ferrara, Taddei, 1875, in 2 volumi), con prefazione del prof.

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