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Roma e toma, e, dopo avere aizzata la Corsica a ricuperare la libertà, la lascia in asso: tale altra viene, vede, butta bombe e granate, piglia Bastia, San Fiorenzo, e pare la voglia sgarare con la Francia finchè le rimanga pezzo in mano; di un tratto caglia, lascia lì sacco e radicchio; ha fatto pace soddisfatta lei, contenti tutti, e a chi si muove guai! Allora proibisce che qualche anima buona ci soccorra, ci condanna a morire come cani arrabbiati: di angioli diventammo demonii; a bandirci uomini dabbene non ci trova più conto, le torna meglio adesso di chiamarci ribaldi. «Accomodatevi,» ella urla nel nuovo furore di pace, «accomodatevi come potete.» «Ahimè!» noi rispondiamo «a noi è dato accommodarci tranne nelle fosse del campo santo.» «Bene,» replica l'Inghilterra forbendosi le labbra, «anche costà si trova pace.»

      — E rispondendo alla terza domanda — disse il Boswell.

      — Quale domanda?

      — Di che vada a fare in Corsica. Siccome mi hanno confidato che voi siete in procinto di spedirvi un bastimento...

      — Chi ve lo ha detto? non è vero nulla. Corrono degli anni più di dieci che io non commercio più con la Corsica: tutte bugie, tutte bugie.

       — Signor Giacomini, vi saluto, e siatemi cortese, prego, del vostro perdono se vi ho arrecato disturbo.

      In così dire il Boswell si alzava tendendo la mano al Côrso iroso in atto di commiato amichevole. L'altro, a cui pareva avere detto troppo e già se lo rimproverava, sbalordito da tanta mansuetudine, riprese:

      — Non ve lo avreste a caso avuto per male? Credete, io l'ho fatto per isfogarmi, non già con intenzione di offendervi.

      — Perchè mi avreste offeso? Primamente voi avete nella massima parte ragione; in seguito, se togliessimo agli infelici il lamento, che cosa altro rimarrebbe a loro?

      — Ma via, qui in confidenza ditemi un po': che cosa ci andate a fare in Corsica?

      — E voi in confidenza ditemi: ci spedite o non ci spedite il bastimento?

      — Io non ci spedisco nulla.

      — E allora a che pro la vostra curiosità per me ed anche per voi?

      — Perchè, essendo io Côrso, potrei vedere.... voi mi capite... m'ingegnerei agevolarvi la faccenda.

      — Ma voi ci mandate la mezza galera sì o no?

      — Che diavolo farneticate di mezza galera? Io non ci mando nulla.

      — Ed io non vi voglio dire dei fatti miei nulla.

      — Signor Inglese, voi siete un testardo.

      — Signor Côrso, io stavo appunto pensando lo stesso di voi. Di una sola cosa mi rincresce, ed è che il generale Paoli riceverà più tardi certe lettere importanti ch'io aveva tolto il carico di portargli.

      — Voi avete lettere pel generale?

      — Sicuro.

      — E chi è che manda coteste lettere?

      — Ma! ce ne ha di sua grazia lord Pembroke, del reverendissimo vescovo Harley, del cappellano Burnaby, del signor Giangiacomo Rousseau cittadino di Ginevra.

      — Sì, signore, io spedisco la mezza galera in Corsica; e quando vi ci vogliate imbarcare, consideratela come cosa vostra.

      — Bene! — rispose il Boswell facendosi girare la scatola fra le dita; — ma perchè vi siete ostinato fino...? — Ed esitava a finire.

       — Fino alla bugiarderia? — domandò il Giacomini, ed abbrancati con infinita passione i fogli deposti sul banco, disse: — Potete ripromettervi che il vostro sangue inglese, il vostro sangue di uomo libero, spingendosi contro il vostro cuore, non lo romperà d'ira e di vergogna? Lo potete? Udite allora. Sua Maestà il re di Francia, l'amatissimo Luigi XV, si degna avvisarci come egli ci abbia comprato, e la repubblica di Genova venduto. Capite bene: noi, anime cristiane, redente del sangue di Gesù Cristo, comprate e vendute! Poi ci promette che si compiacerà governare la nostra isola con vantaggio di coloro i quali si sottometteranno ai suoi diritti sovrani, la preserverà dai tumulti che da tanti anni l'agitano, e spera non trovarsi ridotto dalla necessità a trattarvi come sudditi ribelli, mostrandosi i Côrsi solleciti di evitare i torbidi che distruggerebbero un popolo accolto con tanta benevolenza dal re nel novero de' suoi sudditi.[2] Che ve ne pare? Non è egli magnanimo, liberale, generoso questo prediletto Luigi XV?

      — Così ho letto nell'Addison che sant'Antonio predicava ai pesci esultassero perchè il Salvatore gli aveva eletti per sua particolare pietanza.[3] In verità le sono cose da ridere coteste.

      — Certo sì, farebbero ridere, se la fortuna matta non avesse ricucito insieme ventisei milioni di cotesti matti; ma ohimè! ventisei milioni di matti fanno piangere sempre i savii. Adesso mo' sentite quest'altro: Monsieur Claudio Francesco marchese di Chauvelin, gran croce dell'ordine reale e militare di san Luigi, maestro della guardaroba del re, governatore dei castelli e della città di Uguina, tenente generale degli eserciti del re, comandante in capo delle milizie di Sua Maestà Cristianissima in Corsica, ordina e comanda che tutti i naviganti côrsi prendano bandiera francese sotto pena di essere trattati come pirati e furfanti, e qualunque bastimento fosse trovato sprovveduto delle patenti regie si confischi senza altro. Ora come signore discreto, andrete capace come io non mi tenessi obbligato di confidare al primo venuto che io sto in procinto di spedire un legno in Corsica; per ultimo molto più che, innanzi d'inalberarci quella cosa sciapita della bandiera bianca, io torrei a farlo passare per occhio. Dopo quanto vi ho esposto, io dubito che vi sia uscita la voglia di andare in Corsica.

      — All'opposto, mi è cresciuta due volte. Io andrò senz'altro.

      — Ma allora abbiate fiducia in me, come io l'ho avuta in voi. Ditemi se per avventura vi manda il governo di S. M. Britannica. Ha egli conosciuto finalmente il solenne sproposito commesso nello abbandonarci? Su via, purchè si faccia presto, ci è sempre tempo a ripararlo. Parlate... parlate, chè questa notizia mi riavrebbe da morte a vita. — E il vecchio moribondo agitavasi con la persona troppo più che non facesse il Boswell, giovane e gagliardo.

      — Nessuno mi manda, io vengo da me; però molti amici si appassionano meco per la libertà della Corsica e la sovverranno, mossi dai miei conforti, per quanto valgono le loro facoltà. Ancora, noi non siamo bastanti a costringere la corona, a mutare governo, ovvero a imporle modo di politica esterna diverso da quello praticato fin qui, tuttavolta siamo forti quanto bisogna per moverle potente opposizione e persuaderla per lo suo meglio a mutare. Questa è la verità.

      — Ebbene andate, nel nome santo di Dio! andate, e vi prenda pietà delle piaghe di un popolo doloroso. Io vi raccomando con tutta l'anima mia la patria, la libertà e il generale Paoli. Se io possedessi un regno, gliel'offrirei; e se giovasse, io gli darei anco l'anima, perchè so che la spenderebbe in benefizio della libertà. Altobello, Giocante e voi capitano, tenete questo uomo dabbene come uno dei nostri, anzi più dei nostri; perchè in noi amare la patria e nei bisogni sovvenirla è di natura, in lui lezione e larghezza di cuore.

      A sentire rammentare cotesti nomi, il signor Boswell, voltato il capo, vide dietro a sè tre uomini giovani, robusti a meraviglia e belli, i quali tutti gli porsero le mani ch'egli strinse con affezione. Uno di loro, che alla faccia riarsa dal sole si palesava per uomo di mare, gli disse:

      — Signore, i Francesi costumano tenere le spie a Livorno e non poche: veramente ventisei milioni di guerrieri, che pigliano a sgararla con duecento e pochi più mila montanari, dovrebbero vergognarsi di ricorrere a questi ripieghi; ma ciò spetta a loro, a noi preservarcene. Stanotte o piuttosto nella notte di domani tra le dieci e le undici manderò pei vostri bauli all'albergo che vi compiacerete indicarmi.

       — Al consolato inglese.

      — Inoltre, cominciando da domani sera, procurerete trovarvi poco prima della calata del sole sopra la via del Molo, e precisamente colà dove sopra un muro di cortina osserverete dipinta a olio una grandissima àncora bianca: quanto al resto non vi pigliate travaglio di nulla, io penso a tutto.

      — Bene, così farò, — disse il signor Boswell; poi tacque

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