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côrsi davvero?» «Io sono venuto espresso per saperlo da voi.» «E la signoria desidera proprio di saperli tutti?» «Ma sì, ma sì» gridò il segretario stizzito. «Non v'inquietate; riponete i vostri scartabelli, chè in due parole mi spiccio: congiurati in Corsica io ne lasciai 220 mila (chè a tanto montava allora la popolazione); adesso levateci quelli che sono morti, aggiungetevi gli altri che sono nati, ed avrete il numero giusto dei congiurati; il capo della congiura sta in Genova.» «In Genova?» «Nè più nè meno, anzi nel palazzo ducale, ed è il doge in persona, il quale col mal governo ha condotto i Côrsi al partito di volere mettere allo sbaraglio la roba e la vita piuttosto che piegare il collo a voi altri.» — Da quel giorno in poi se mi scemassero il pane non si dice nè manco; mi lasciarono inciprignire le piaghe delle gambe cagionate dalle catene... insomma patii spasimi atrocissimi; non importa, chi ha paura non vada alla guerra. Voi, Signore, che leggevate nell'anima mia, sapete, se in quel punto il re Luigi di Francia fosse entrato in carcere e mi avesse detto: «Padre Bernardino, vuoi barattare le tue catene con la mia corona?» io gli avrei risposto: «Tirate di lungo, Maestà.» Con quel filo di voce che mi era rimasto io mi raccomandava così: «Vergine benedetta, se la mia dolcissima patria tanto provocò l'ira del tuo divino Figliuolo, che i patimenti sofferti da lei fino a tutt'oggi non bastino a placarlo, e a me pare che, se laggiù s'intende discrezione che sia, ce ne dovrebbe essere d'avanzo, allora pregalo per amore mio, che a te, misericordiosa, volli sempre tanto bene, a scassarli dal conto della Corsica ed impostarli a debito mio, ch'io mi protesto di pagare per tutti. Se vedi che ci sia verso di scampare dallo inferno, tu fammelo risparmiare; ma se, per salvare la patria, dovessi perdere l'anima, vada la salute eterna, purchè rimanga stritolato l'abborrito straniero.» Confesso che simile proposta non veniva da mente sana; ed anco fatta con sensi più convenevoli, grande presunzione sarebbe stata la mia esibirmi in iscambio della nobile patria. Così non venni accettato. Papa Clemente XII, cui non garbavano i frati tormentati, a meno che li tormentasse egli medesimo, mi chiese alla repubblica con un breve: e la repubblica, immaginando che il papa le risparmiasse la spesa della sepoltura, volle farsi l'onore del sole di luglio e mi consegnò. Uscito di prigione, con una scrollatina buttai giù apprensioni e malanni: pensa se voleva acquietarmi nel convento di Monticelli, dove il papa mi aveva rilegato. Mi calai dai muri e, mentre i Francesi e i Genovesi mi credevano terra da ceci, eccomi da capo in paese di Comune a predicare e a tirare archibugiate per la maggior gloria di Dio e per la salute della patria. Ora poi che Genova ci ha venduti, e Francia comprati, a dirtela schietta, figliuolo mio, mi pare essermisi sgravato il cuore di un grossissimo peso, perchè quel sentirmi minacciare la morte e chiedere la vita nella mia stessa favella mi faceva proprio cascare le braccia. Non più pietà, non ritegno: fratellacci i Genovesi ci erano, tuttavolta fratelli; adesso forestieri tutti. Per la quale cosa, persuaso che per questo quarto di ora i Côrsi maggiore merito si acquistino presso a Dio menando di mani che a recitare il breviario, mi sono aggirato pei conventi italiani a reclutare questi buoni religiosi côrsi, ai quali su le prime parve duretto, ma io li convinsi dicendo: «E' non ci ha dubbio; all'obbedienza del vostro padre guardiano sopra questa terra voi trasgredite, ma lo fate per osservare la voce del padre guardiano di tutti che sta nei cieli, ed io vi assicuro che l'angiolo custode non vorrà farsi scorgere a pigliarne l'appuntatura: ad ogni modo io rispondo per tutti.» Allora essi hanno detto: «Ecce ancilla Domini; faremo quello che potremo;» e si sono provvisti di carabine che valgono un Perù. Ecco che io ti ho contato la mia, ora contami la tua.

       Indice

      — Babbo è morto...

      — Oh povero uomo! E di che male? e dove?

      — Di puntura a Venezia.

      — Vedete di che male è andato a morire un galantuomo che poteva finirla con una brava archibugiata in Corsica e per la Corsica!.... E lo zio?

      — Lucantonio è rimasto a Venezia.

      — E perchè non venne teco?

      — Ma se mi tagliate le parole dalla bocca, io non vi potrò dire niente, e voi non potrete intendere niente.

      — È giusta; tira innanzi.

      — Voi vi avete a figurare che le notizie del trattato di Compiègne e dell'altro di Versaglia, vergogna nuova su la faccia di Francia, se su cotesta faccia potesse capire vergogna, arrivarono a Venezia prima assai che in Corsica, e lo zio, leggendo le gazzette, mutava di colore in viso; poi brontolava: «Che importa a me di Corsica? Non me ne hanno cacciato fuori? Chi l'ha a mangiare la lavi.»

      — Bò! Tentazionacce! Ma che, ci si pensa nemmeno quando si vuol bene davvero?,

      — E presa la gazzetta se ne accendeva la pipa.

      — Tutta superbia.

      — Se non vi chetate, smetto.

      — No, per lo amore di Dio!

      — Alla domane, quando io stava per uscire di casa, dicevami: «Altobello! guarda un po' se ci ha notizie di Corsica; e se le raccapezzi, portamele subito, sai.» Certo di la posta di Ancona recò un piego maiuscolo, immaginate come un mattone; nella sopraccarta si leggeva: Al nobile uomo l'illustrissimo Lucantonio Alando, colonnello della guardia côrsa al servizio della serenissima repubblica di Venezia. Il sigillo, largo quanto uno scudo, rappresentava l'arme di Corsica riformata, vo' dire colla fascia intorno alla testa. Capii che si doveva trattare di cosa seria; però difilato al quartiere, dove di fondo alle scale cominciai a urlare: «Zio! zio!» «Che ci è egli di nuovo?» rispondeva il colonnello di sul letto dove lo teneva conficcato la più parte del giorno la sua malattia. «Pieghi di Corsica.» «A me?» «Proprio a voi.» «Fa presto.» «Più di quattro scalini per volta io non posso montare.» Arrivai in camera con un palmo di lingua fuori e dalla soglia gittai il plico allo zio: egli lo prese con ambedue le mani, se lo accostò devotamente al petto, poi si pose a considerare il sigillo e, levatosi in atto di riverenza il berretto di capo, lo baciò; voleva aprirlo, e non gli riusciva, tanto gli tremavano le dita. Allora disse: «Altobello, leggi un po' tu, chè io ho dimenticato dove abbia messo gli occhiali.» Buono zio! gli occhiali avevali davanti sul guanciale, ma le lacrime gli velavano la vista ed anco a me un certo batticuore mi teneva sospeso ad aprire il piego; tuttavolta lo apersi e lessi una lettera, ma vi so dire una lettera da schiantare l'anima, comunque si fosse di granito dell'Algaiola.

      — Sì eh?

      — In verità, padre Bernardino, ella mi fece tanta impressione, che la lessi e rilessi, la copiai più volte, finchè mi rimase stampata nella memoria. Incominciava col dare in succinto il ragguaglio della origine e dei successi della guerra, gli accomodi insidiosi, le concessioni fallaci, le frodi sfrontate, le turpi offerte e gli empî contratti: aggiungeva, come per consenso di teologhi solenni fosse stato dichiarato potersi impugnare legittimamente l'arme contro Genova; tanto più poterlo adesso contro la Francia, sfacciatissima ed immanissima compratrice di umano e libero sangue; gli ufficî buoni, le mediazioni dei potenti, le suppliche stesse essere riuscite invano; la tremenda vanità francese smaniare nella libidine di possedere la Corsica, perchè Inghilterra acquistò Gibilterra e Porto Maone, e correre voce voglia in un modo o in un altro recarsi nelle mani Orano in Africa e Buenos-Ayres nell'America; tutto concederci la Francia, tranne la libertà; tutto sopportare la Corsica, tranne la servitù; guerra a qualunque costo volersi, e guerra fosse, chè i Côrsi non contano i nemici, ma ricordano quello che Giulio Cesare scrisse dei loro antichi: seu vincendum belligerando, seu moriendum. «Nessun principe, proseguiva il mirabile scritto, ha compassione di noi; l'avrà Dio. Assicurati fino da principio di combattere questa guerra per sottrarre alla perdizione anima, sangue, onore, libertà e sostanze, ricorremmo e ricorriamo sempre a Dio con pubbliche penitenze, frequenza di sacramenti, esposizione del Venerabile ed altre siffatte cautele.» Toccati poi parecchi particolari di minore importanza, ripigliava con pietosissime parole: «Ora, o carissimi fratelli, invitiamo anche voi acciò veniate ad unirvi con noi nell'ultimo cimento della patria. La causa è comune, nè voi sapreste sopravvivere alla caduta nostra: venite pertanto ad esserci compagni, a mietere palme sopra i nemici vinti, o ad unire il vostro col nostro sangue, acciò ingrossandosi il torrente faccia più clamoroso lo spirito

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