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Ella continuava a piangere tenendosi sulla bocca il fazzoletto e rimanendo sulla soglia senza appoggiarsi allo stipite.

      — Non v’è nulla da ringraziare né da piangere. Saranno felici adesso, ecco tutto!

      Ma Lucia riebbe subito la parola:

      — Felici no! Mai! — Poi, di tempo in tempo ancora interrotta nel suo parlare dalle lagrime, raccontò che quella stessa sera ella aveva scongiurato Gralli di rinunziare alla dote e ch’egli vi si era rifiutato. — Ora non gli voglio più bene affatto, — e si rimise a piangere. Era proprio una bambina e giammai, pensando al tradimento di Gralli, Alfonso non aveva sentito tale ripugnanza. — Bene, veramente bene, — e Alfonso pensò ai sacchi di bene di cui parlavano i bambini, — veramente bene non gli volli mai. Mi dicevano e io stessa comprendevo che bisognava sposarlo, ma non mi sarei mai immaginata ch’egli fosse tanto cattivo.

      Alfonso tentò di convincerla che Gralli era migliore di quanto ella credesse dicendole che se voleva del denaro era per goderne con lei. Non trovò altri argomenti. Non sapeva risolversi a usare astuzie per stornare da sé il dolce affetto ch’era nato per lui nel cuore della fanciulla e donarlo a Gralli.

      Ella voleva baciargli la mano, ciò ch’egli non permise. L’attirò a sé e la baciò sulla fronte mentre fra le sue braccia la fanciulla tremava tutta. Con dignità, lentamente, sempre parlandole e pregandola di non piangere, la ricondusse in tinello e fino alla porta della sua stanza.

      Ripensando al suo contegno con Gralli del quale egli non aveva sdegnato di ricercare l’ammirazione e con Lucia della quale aveva procurato di aumentare la riconoscenza, Alfonso si ripeté la domanda:

      — Era quello il contegno da filosofo?

      E ancora una volta dovette sorridere di sé allorché provò una grande soddisfazione per la riconoscenza del vecchio Lanucci. Costui gli si chinava dinanzi come ad essere superiore, lo stava ad ascoltare con riverente attenzione quando parlava:

      — Io non ho mai visto una cosa simile dacché vivo! — aveva esclamato allorché ebbe assistito alla consegna del denaro al notaio.

      — Sei molto buono! — gli disse Gustavo. — Quanti denari ti restano ora? Udita la risposta di Alfonso non volle ammettere che gli fosse stata detta la verità. E Alfonso ebbe la debolezza di perdere il fiato per farsi credere da lui.

      R

      Il bilancio era stato chiuso da quindici giorni e alla banca non si sapeva ancora nulla delle rimunerazioni che annualmente in tale occasione venivano ripartite fra gl’impiegati:

      — Che avessero l’intenzione di abolirle? — chiedeva Ballina impensierito. La somma ch’egli poteva sperare era mangiata dai debiti e, come egli diceva, sarebbe stato un vero fallimento per lui se fosse mancata. In quest’occasione il suo spirito diveniva anche più mordente: — Se è per sua mancanza, quel pellirossa meriterebbe la forca. — Sotto la denominazione di pellirossa era inteso Maller.

      Quel buffone di Alchieri, quantunque anch’egli soffrisse nell’attesa troppo lunga di ricevere il denaro sul quale aveva calcolato, si divertiva a beffeggiare Ballina e a stimolargli il desiderio. Incaricò Santo di venir a chiamare uno ad uno tutti gl’impiegati all’infuori di Ballina e si mise d’accordo coi singoli, acciocché facessero credere di aver ricevuto chi cento chi due o trecento franchi. Ballina andava sulle furie, diceva di voler lagnarsi con Maller, enumerava i servigi ch’egli aveva prestati alla banca, le ore in cui aveva dovuto lavorare fuori d’orario. Ad Alfonso che s’era lasciato convincere di dargli ad intendere di aver ricevuto trecento franchi: — Già si sa, — disse, — ella è protetto, va in casa e dà lezioni alla signorina! È una banca scandalosa!

      Alfonso si affrettò a svelare la burla, rosso in volto e ben pentito di aver provocato Ballina.

      Una domenica Santo venne a chiamare Bravicci a nome di Maller. Prima di andarci, Bravicci avvisò Ballina, ma costui continuò calmo a scrivere:

      — Caro mio, una volta si può darmela ad intendere ma non due! — Quando Bravicci ritornato gli fece vedere due note da cento franchi, Ballina cominciò a dubitare e quando venne chiamato anche lui, andò da Maller col suo passo più franco: — Se m’ingannate, tanto peggio per voi. — Ne uscì quasi contento: — È abbastanza e non posso lagnarmi. È destino che del tutto libero di debiti io non possa essere giammai.

      Starringer e Alchieri furono i più lieti; avevano ricevuto più di quanto avessero sperato.

      Miceni venne a congratularsi con gli altri e a raccontare della sua sorte. Non era malcontento; lo si era lodato avvertendolo però che dacché era alla contabilità poco da lui si domandava e che perciò egli non molto sperasse dai suoi superiori.

      — Io sto ancora cercando un impiego e uno di questi giorni spero di potermela battere.

      L’unico che ancora non fosse stato chiamato era Alfonso, e Santo, che quel giorno faceva la parte d’araldo, invece di gridare il suo nome ad alta voce gli si avvicinò e gli disse all’orecchio qualche parola ch’egli neppure bene comprese, ma che suppose fosse l’invito di recarsi da Maller.

      Dal momento in cui venne chiamato Bravicci, Alfonso era stato colto da una grande commozione. Dopo tanto tempo doveva parlare di nuovo con Maller e lo agitava l’idea che Maller avrebbe dovuto contenersi per trattarlo col calmo tono d’ufficio. Era ora ridotto a sperare aumenti di paga e una grande rimunerazione mentre pochi giorni prima aveva temuto di venir retribuito troppo abbondantemente, perché non avrebbe voluto avere l’aria di lasciarsi pagare il silenzio. Ma ora che ne aveva bisogno avrebbe cercato di godere di quanto gli avrebbero dato tenendosi sempre presente che aveva lavorato abbastanza per meritare qualunque rimunerazione.

      Stava per entrare in stanza di Maller già malcontento in anticipazione, allorché Santo con un sorriso ironico lo fermò:

      — Non qui! E il signor Cellani che la chiama!

      Santo credeva che Alfonso non fosse stato chiamato per la rimunerazione. Ad Alfonso s’imporporò il volto, era anche peggio di quanto egli si fosse atteso. Neppure in quell’occasione Maller non voleva vederlo.

      Entrò da Cellani il quale come al solito curvo sul tavolo non lo vide subito.

      — Il signor Maller essendo stato chiamato improvvisamente dall’ufficio ha incaricato me di darle questo! — e pose con abbastanza mala grazia due banconote sul tavolo. Alfonso depresso le prese, mormorò un grazie appena intelligibile e uscì.

      Sul corridoio ebbe un’altra prova dello sprezzo che gli veniva usato. Maller era in ufficio! Con la testa rossa fuori della sua stanza, gridando, chiamava Santo. Sembrava adiratissimo tanto che non vide Alfonso. Nella prima ira, Alfonso non seppe trattenersi; volle farsi vedere. Senza inchino e senza saluto gli chiese:

      — Se vuole Santo lo chiamerò io!

      Maller lo guardò un po’ sorpreso:

      — Va bene! — disse brevemente e gli chiuse la porta in faccia.

      Alfonso ritornò nella sua stanza senza curarsi di cercare Santo. Gli venne chiesto quanto denaro avesse ricevuto e le parole che Maller gli aveva dirette. Alfonso rispose che le parole erano state le solite e fece vedere le due banconote ricevute. Tutti trovarono ch’era poco e Alfonso rammentò a Ballina le sue parole di pochi giorni prima:

      — Sono un protetto io?

      Uscì con passo risoluto dopo aver esitato un istante dinanzi alla porta di Sanneo. Secondo la consuetudine avrebbe dovuto recarsi anche dal capo per ringraziare della rimunerazione ricevuta. Ma no! Sanneo non lo meritava! Doveva averlo raccomandato ben debolmente se la raccomandazione non aveva avuto altro risultato.

      Uscendo all’aperto si rammentò che quando frequentava il liceo, alla chiusura dell’anno, i suoi genitori venivano in città e lo accompagnavano alla scuola a prendere il certificato. Lo attendevano poi nel giardino di faccia al liceo e quando egli sapeva di meritarlo, accorreva trionfante

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