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segreto. Poi volle elevarsi anche più; si lagnò che Alfonso non si facesse più vedere in casa Maller. Era stato offeso forse da qualcuno? Pareva che se Alfonso fosse stato offeso egli lo avrebbe vendicato.

      Alfonso rispose arditamente:

      — Se ci sono stato alla fine dell’altro mese!

      Santo, che nulla ne sapeva, fece un gesto di sorpresa:

      — Ah! così! ma pure non viene più tanto di spesso come prima.

      Il biglietto era inviato. A mezzodì Alfonso, con gioia, osservò come Santo si allontanava dalla banca. Ogni minuto che lo avvicinava all’ora del colloquio con Annetta gli dava gioia. Unico suo timore era che Maller facesse qualche passo prima che questo colloquio avesse avuto luogo. No! Se aveva da accettare dei miglioramenti nella sua posizione non voleva che gli fossero proposti per paura. Anche respingendo i sogni sciocchi fatti la sera innanzi, egli credeva che questo colloquio avrebbe distrutto ogni malinteso. Alla peggio gli doveva riuscire di convincere Annetta che, se si erano amati e non si amavano più, non c’era nessuna ragione di odiarsi.

      Non seppe fare una sola cifra nel suo libro, né lavorare alla ricerca dell’errore che il giorno innanzi gli aveva dato tanto da fare. Alla sera l’impazienza divenne tale che ne venne cacciato dalla sua stanza e andò per la banca in cerca di persone con cui parlare e passare quell’ora che bisognava ancora attendere.

      Andò da Ballina a chiedergli notizie della corrispondenza; pareva ch’egli ne fosse uscito da anni. Ballina, come al solito, cenava alla banca e quella sera stava cuocendo delle uova a una fiamma di spirito; le mangiava poi con pane e burro, inaffiandole con un bicchiere di vino. Spiegò ad Alfonso quanto poco gli costasse quella cena succulenta; circa settanta centesimi.

      Alfonso dovette invidiarlo. Lo vedeva tutto occupato intorno alla sua salute e alla sua forza e con esito magnifico per quanto nelle circostanze più sfavorevoli. Dopo cenato faceva la sua passeggiatina allo scopo di agevolare la digestione e si coricava. Dormiva, a quanto raccontava, quieto come un bambino, stanco di aver copiato quell’infinità di nomi; non l’inquietava che il ricordo di qualche nome con troppe consonanti, ungherese o slavo.

      Quando Ballina se ne andò, per perdere ancora una mezz’ora, Alfonso si recò da Starringer in speditura ove allora ferveva il massimo lavoro. S’imbatté nel vecchio Antonio cui era stato affidato anche l’incarico di portare le lettere alla posta. Il povero vecchio s’incamminava bestemmiando contro la direzione che aveva firmato tardi le lettere. Era la solita canzone che si udiva in speditura. Anche Starringer la intonò ed Alfonso finse di starlo ad udire ma nella febbre della sua impazienza non percepiva una sola parola.

      Non uscì ancora dalla banca. Si pulì con accuratezza i calzoni e le scarpe con le spazzole di Miceni; anche quella era un’occupazione.

      Quando uscì dalla banca, mancava poco più di un quarto d’ora alle otto ed egli si mise a correre, per poco temendo di arrivare in ritardo al convegno. Che cosa avrebbe fatto in questo caso? Forse sarebbe stato un ritardo senza rimedio.

      Il tempo sciroccale persisteva ancora ma non era caduta pioggia durante tutta la giornata. Fino a sera la città era stata coperta da un po’ di nebbia anche quella svanita e il cielo era chiaro, seminato di stelle, senza luna. Una fanghiglia rada ma continua copriva il selciato.

      Passati dieci minuti oltre le otto per la prima volta Alfonso ebbe il dubbio che Annetta non venisse. Era molto probabile! Fino allora, senza confessarlo, egli aveva agito come se fosse stato sicuro ch’ella ancora lo amasse perché altrimenti non poteva sperare che una fidanzata si lasciasse trascinare a tal passo. Comprese di aver composto malamente il suo biglietto. Avrebbe dovuto limitarsi ad esprimere a Annetta il suo desiderio di parlare e attendere da essa l’indicazione del quando e dove. Ma ora non era più in tempo di correggersi. Avrebbe atteso là fino alle nove e si appoggiò ad un paracarro, paziente e rassegnato.

      S’avvide che per la seconda volta gli passava dinanzi un giovanotto fissandolo con curiosità; aveva già visto altrove quel volto oblungo con baffi biondi e sguardo penetrante e quella figura magra e lunga. Gli guardò dietro: Era Federico Maller. Lo aveva riconosciuto ai calzoni attillati. Era una combinazione o Annetta aveva confidato al fratello una missione per lui? Il Maller non gli era stato mai simpatico e gli dispiaceva di aver a trattare con lui, ma bisognava ora facilitargli il compito che s’era assunto per affetto alla sorella .

      Si volse per salutarlo sentendo che s’avvicinava di nuovo ma nello stesso tempo ricevette un urto che quasi lo gettò a terra.

      — Si chiede scusa, mascalzone! — gli urlò nell’orecchio il giovine Maller e alzò la mano che nell’oscurità Alfonso credette armata.

      Lo volevano ammazzare? Si gettò sulla figurina mingherlina, trattenne la mano levata in atto di minaccia e afferrò Maller per il collo. L’altro per svincolarsi retrocedeva verso il mare. Alfonso ansava dalla fatica impiegando molto più forza di quanto occorresse.

      — Vi getto in mare! — minacciò e gli diede una spinta ma non forte abbastanza.

      — Quanta cavalleria in questa città, — disse il Maller con disprezzo mettendosi le mani al collo per raddrizzare il solino.

      — Credevo che mi volesse svaligiare, — rispose Alfonso indignato.

      Ricevette il biglietto di Maller e consegnò il proprio. Promise che i proprî secondi a mezzodì del giorno appresso si sarebbero trovati da Maller. Era sorpreso di essersi contenuto subito tanto correttamente.

      Questo dunque era stato l’appuntamento che Annetta aveva accordato. Ella aveva rapide le decisioni e facili i mezzi. Mandava il fratello con l’incarico di ucciderlo. Anche Annetta lo odiava, questo gli doleva; e lo disprezzava, perché non credeva d’essere sicura di lui. Credeva di dover sopprimerlo per non averne a temere. Non lo conosceva; in tanto tempo in cui egli l’aveva amata, ella non aveva saputo comprendere quanto schietto e onesto fosse il suo carattere. Questo era il doloroso, non che Federico probabilmente lo avrebbe ammazzato!

      Camminava con passo sempre più celere verso casa sua. Sul Corso si fermò un istante; gli era parso che passasse Macario. Non era lui, ma Alfonso andava indagando se forse gli avrebbe dato qualche soddisfazione il vendicarsi andando da Macario a raccontargli tutta la sua avventura con Annetta. No! Unica soddisfazione che potesse avere era di convincere Annetta ch’ella sul suo conto s’ingannava. Le avrebbe scritto una lettera, un addio da moribondo.

      Si trovava con la penna in mano dinanzi al suo tavolo, ma non gli riusciva di vergare una sola parola. Nella sua vita da sognatore il sogno non lo aveva posseduto giammai così interamente. Depose la penna e mise la testa fra le mani. Avrebbe voluto riflettere ma sognava irresistibilmente. Annetta lo voleva morto! Desiderò che le riuscisse e che poi lo rimpiangesse. Sognava che l’amore per lui, senz’altra causa, un giorno le rinascesse nel cuore e che ella andasse alla sua tomba a spargervi fiori e lagrime. Oh! quanta buona calma in quel cimitero ch’egli sognava verde e riscaldato dal sole.

      Quando riaperse gli occhi fu sorpreso di trovarsi dinanzi quel pezzo di carta da lettera.

      Doveva battersi con Federico Maller in una lotta impari nella quale il suo avversario aveva tutti i vantaggi: l’odio e l’abilità. Che cosa poteva sperare? Gli rimaneva soltanto una via per isfuggire a quella lotta in cui avrebbe fatto una parte miserabile e ridicola, il suicidio. Il suicidio gli avrebbe forse ridato l’affetto di Annetta. Come in quell’istante non l’aveva amata giammai. Non si trattava più d’interesse né di sensi. Quanto più egli l’aveva vista allontanarsi da lui tanto più l’aveva amata; ora che definitivamente perdeva ogni speranza di riconquistare quel sorriso, quell’affettuosa parola, la vita gli sembrava incolore, nulla. Una volta scomparso, Annetta non avrebbe più avuto il ribrezzo della paura per lui, per il suo ricordo, ed era tutto quello ch’egli poteva sperare. Non voleva vivere dovendo continuare ad apparirle quale un nemico spregevole sospettato di voler danneggiarla e farle pagare a caro prezzo gli stessi favori da essa accordatigli.

      Non aveva pensato mai al suicidio che col giudizio alterato dalle idee altrui. Ora lo accettava non rassegnato ma giocondo. La liberazione! Si rammentava che

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