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dopo la sua venuta, la giovinetta uscì, facendogli, per unico saluto, un inchino riservato, freddo. La signora gli disse ch’era stato per un malinteso ch’essi di Lucia avevano creduto quella tale cosa. Questo tratto con cui ella lo escludeva dalla loro confidenza era di una freddezza voluta perché la Lanucci era abbastanza intelligente per comprendere che alle sue parole egli non poteva credere; non avevano dunque altro scopo che di ferirlo. Rimasto solo con Gustavo, a sua grande sorpresa trovò che anche costui credeva che la salvezza di Lucia fosse dovuta al suo contegno. Se ne vantava:

      — Quanto non vale una parola messa ragionevolmente a tempo e luogo!

      Fu per malizia che Alfonso lo lasciò per il momento in quell’opinione.

      E neppure il giorno appresso nessuno fiatò della generosità di Alfonso né egli provò il bisogno di parlarne. Non voleva riconoscerlo, ma taceva perché si compiaceva di aumentare la sua generosità; ogni parola fredda dei Lanucci gli dava un’aspra soddisfazione perché tanto maggiore sarebbe stata la loro riconoscenza al riconoscere quanto ingiustamente lo avevano trattato. Avrebbe avuto voglia di ridere quando Lucia, che l’odiava perché due volte gli aveva offerto il suo amore, gli voltava la schiena per dimostrargli il suo disprezzo non maggiore però di quello che aveva per lui la vecchia Lanucci dacché definitivamente aveva abbandonato ogni speranza di potergli appioppare Lucia. Sorrise quando dovette confessarsi che ci teneva tanto a quella riconoscenza da fare delle commedie per accrescerla. Sempre ancora egli si trovava nelle sue azioni in contraddizione con le sue teorie. Quel desiderio intenso di venir ringraziato e ammirato non somigliava punto né a serietà né a rinunzia. Continuava ad essere anche vano.

      A pranzo, il giorno dopo, il vecchio Lanucci attese gravemente che Alfonso si fosse seduto; poi, seccamente, avvertì che per ragioni che gli erano state indicate, ma ch’egli non rammentava, Gralli per quel giorno non sarebbe venuto. Poi immediatamente, volgendosi ad Alfonso, continuò:

      — Io non sapevo che gli fossero state promesse settemila lire di dote. Ne chiese a me e io gli dissi che non ne sapevo nulla. È vero ch’è lei che le vuol dare?

      — Sì! — rispose Alfonso, — già a me non servono a nulla.

      Fu un coro di ringraziamenti, ma non tutti ugualmente vivaci. Alla signora Lanucci non doveva piacere troppo di passare improvvisamente dall’odio alla riconoscenza. Stese la mano ad Alfonso e volendo supplire con una forte brevità a quanto mancava d’intensità al suo ringraziamento gli disse:

      — Grazie! — Sorrise alla figliuola che aveva gli occhi pieni di lagrime e le disse: — Perché piangi? Sciocca! Così almeno avrete anche qualche po’ di denaro!

      Lucia ringraziò singhiozzando. Ella s’era lusingata che Gralli fosse ritornato a lei per solo amore e il dolore di apprendere che così non era fu maggiore che non la riconoscenza. Pianse molto e si ritirò nella sua stanza dopo aver salutato Alfonso, con un grazie ch’era forte perché ripetuto.

      — Quello che non capisco, — disse Alfonso, e parlava per togliersi all’imbarazzo che gli davano quei ringraziamenti, — quello che non capisco si è come queste cose stieno in relazione con l’assenza di Gralli.

      Il Lanucci disse che gli sembrava che Gralli gli avesse detto qualche cosa anche per scusare la sua assenza ma che non se ne rammentava.

      La scusa data dal Gralli al Lanucci e taciuta da questo fu compresa con facilità da Alfonso alla sera allorché uscì dall’ufficio. Sul Corso lo fermò Gralli che lo aveva di sicuro atteso espressamente ma che non voleva averne l’aria. Era amichevole molto ma si capiva che aveva il pensiero altrove, a cercare parole per dire cosa molto difficile.

      — Come sta?

      Fra di loro non avevano nulla da parlare fuori della cosa che stava tanto a cuore a Gralli. Dopo di aver risposto seccamente alla domanda fattagli e atteso inutilmente che l’altro si risolvesse a esporre il motivo per cui lo aveva atteso, Alfonso, impaziente e seccato di dover camminare per il Corso in sua compagnia, gli chiese che cosa da lui desiderasse così che a Gralli non fu concesso di preparare il suo discorsetto come avrebbe desiderato.

      Gralli lo pregò di seguirlo fuori del viavai della gente e si diressero verso la fontana. Lo scirocco aveva reso più mite la temperatura e l’aria tiepida aveva chiamato dalle case molta gente.

      — Oggi parlai col vecchio Lanucci e mi disse ch’egli non sa nulla della dote promessa... — Parlava lentamente per dar tempo all’altro di abituarsi alla sua diffidenza e di scusarla, ma in dieci parole aveva già espresso tutto.

      — E che importa che il vecchio Lanucci ne sappia? Quando ho promesso io, basta! — gridò Alfonso infuriato capacissimo di far credere a Gralli ch’egli aveva desiderato che i Lanucci nulla sapessero del suo dono.

      — Non ne ho mai dubitato io, — gridò Gralli.

      Doveva essere vero perché Alfonso sapeva che Gralli s’era accontentato della sua promessa. Raccontò ad Alfonso con l’accento della sincerità che sua madre gli aveva imposto di non sposarsi se prima non avesse avuto in mano la dote.

      Alfonso si mise a ridere con disprezzo; affettava di non credere a quello ch’egli già aveva compreso essere vero:

      — Mi crede un mentitore dunque? In nessun caso le darei i denari in mano perché diffido io di lei per motivi migliori di quelli che lei può avere per diffidare di me.

      Gralli si disperò:

      — Se le cose stanno così, come faremo? Mamma è donna che quando ha detto ha scritto e dichiarò di non volerne sapere prima di aver veduto i denari! Non le basta neppure che lei faccia una promessa dinanzi al notaio.

      Questo che a Gralli sembrava un ostacolo insormontabile avrebbe potuto servire ad Alfonso quale scusa per sottrarsi all’impegno preso. Non volle e indicando lui la via per mettersi d’accordo sentì gonfiarsi il petto per il sentimento della propria generosità. Gli propose di portarsi insieme il giorno appresso da un notaio e depositare presso di lui i denari con la dichiarazione che non doveva consegnarli che a Gralli e soltanto il giorno del suo matrimonio con Lucia.

      Gralli accettò grato della proposta che gli piaceva e che gli sembrava dovesse piacere anche a sua madre. Andò subito dai Lanucci spintovi da Alfonso che lo avvertì ch’erano in pena per la sua assenza. Alfonso gli raccomandò di non lasciar trapelar nulla dell’avvenuto perché non molto lo avvantaggiava con Lucia. Ora che sapeva che non c’era più pericolo che i beneficati ignorassero il suo sagrificio si sentiva bene ad agire come se avesse voluto celarlo.

      Quell’egoista, come Alfonso lo chiamava, fu più sincero di lui.

      — Di Lucia non m’importa, — disse con ingenuità; — gli altri, se non vogliono essere sciocchi, devono comprendere che io faccio precisamente quello che debbo fare. Senza di questa dote io non potevo sposarla! — Asserì anche che andava in casa Lanucci senza timori perché dal momento che lo vedevano entrare, per quanto l’avessero con lui, i loro volti si rischiaravano.

      — Mi vogliono bene, — disse con malizia.

      Eppure non parve che quella sera l’avessero accolto troppo bene perché quando giunse Alfonso trovò ch’egli se ne era già andato e che tutta la famiglia, indizio di grande malumore, s’era coricata. Alfonso provò della delusione al vedere che neppure in quello stesso giorno la gratitudine dei Lanucci fosse stata tanta da indurli ad attenderlo per salutarlo.

      Lucia lo aveva atteso ma chiusa nella sua stanza, non s’era accorta ch’egli era rincasato. Egli aveva già abbandonato il tinello e stava per coricarsi, allorché sulla porta si presentò la fanciulla.

      — Mi permette? — chiese con timidezza a lei insolita e abbozzando un sorriso. — Vengo per ringraziarla. Mamma sa che ho da venire; anzi ho da ringraziarla anche in nome suo.

      S’interruppe e si mise a piangere dirottamente. Pareva la continuazione di un pianto soffocato poco prima perché le lagrime non esitarono un solo istante a trovare la via.

      Imbarazzato e commosso egli la pregò

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