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vi si risolse andò al padre e senza dire alcuna parola gli consegnò il certificato. Non rispondeva alle affettuose parole che la signora Carolina gli dirigeva per incoraggiarlo. Il padre serio serio mostrava col dito la nota nera e quando sua moglie per scusare il fanciullo dubitava che non fosse meritata e che si dovesse attribuirla all’antipatia di qualche professore, rispondeva che non ci credeva e che quando si faceva il proprio dovere tutte le cattiverie di questo mondo scomparivano. Come s’ingannava il padre! Giovine come era aveva già fatto l’esperienza che tutti gli sforzi non valevano a diminuire un odio ch’egli si era attirato senza colpa.

      Proprio allora, per la prima volta s’imbatté in Annetta. In una pesante mantiglia nera, la sua figura appariva maestosa; accanto ad essa trotterellava Francesca insignificante come una serva. A lui parve impossibile di aver posseduto quella splendida creatura. Gli parve che fosse stato un sogno. Su quella bella faccia bianca, pura, non era rimasta traccia dei suoi baci. Quanta calma e quale incedere regale come se ella non avesse errato come lui e non fosse in procinto d’ingannare un altro uomo e disonorarlo.

      Salutò umilmente e gli parve di averla guardata quasi a chiederle grazia. Francesca non rispose al saluto come se non lo avesse veduto; Annetta chinò la testa ma esitante come se tardasse a rammentarsi di averlo conosciuto.

      Voltosi a guardarle dietro egli la vide parlare a Francesca; gli sembrò che il suo volto fosse molto pallido. Volle assicurarsene sperando di non ingannarsi perché gli sarebbe stato di grande conforto vederla agitata. La seguì a passo lento ma non rivide più la sua faccia non avendo il coraggio di accelerare il passo. La distanza fra di loro andò aumentando e quando Annetta scomparve tra la folla che a mezzodì invadeva il Corso, egli si sentì più solo e più infelice di prima. Sentiva quanto lontano egli si trovasse da lei. Non v’era più via aperta al ritorno; egli rimaneva povero e abbandonato nella vita quando avrebbe potuto essere ricco e amato. Forse era così per sua colpa.

      Alla sera entrando in tinello si sentì chiamare dalla stanza di Lucia.

      — Mamma se ne dimenticò, — gli disse la fanciulla con voce che a lui sembrò tremasse dall’emozione, — la prego di chiudere lei la mia porta.

      La voce commossa di Lucia gli fece credere che quella porta fosse stata lasciata aperta appositamente. Guardò nella stanzetta oscura e vide luccicarvi le lenzuola per un raggio di luce ch’entrava dalla finestra. Dovette lottare per non entrarci. Non desiderava Lucia, ma un suo bacio, gli sembrava, avrebbe potuto annullare l’effetto che in lui aveva prodotto il contegno di Maller, e poi, in quell’agitazione, che cosa avrebbe fatto solo tutta la notte? Eppure non ebbe bisogno di quel bacio per calmarsi perché era bastato il piccolo sforzo fatto per riuscire vincitore nella lotta. — Ancora una rinunzia! — si disse sorridendo e la parola gli richiamò alla mente lo stato in cui s’era trovato pochi giorni prima. Era bastato tanto poco per farnelo uscire! Maller aveva spiegato l’antipatia di cui del resto aveva dato già prima dei segni non dubbi; non era avvenuto null’altro di nuovo!

      Egli si coricò tutto sorpreso che finalmente gli fosse riuscito di quietarsi da sé con un freddo ragionamento. Dormì profondamente e fece un sogno fantastico come non ne aveva più fatti dalla sua infanzia. Cavalcava per l’aria su travi di legno, camminava a piede asciutto sull’acqua ed era signore di un vasto paese.

      Ma il giorno appresso gli accadde cosa per cui il ragionamento più non bastò a consolarlo; era una vera disgrazia che gli toccava e allora appena poté dirsi perseguitato.

      Alla mattina di buon’ora, come sempre, egli andò da Sanneo a chiedere le istruzioni per le lettere arrivate il giorno innanzi. Sanneo lo accolse con un sorriso imbarazzato, tenne dinanzi a sé il pacco di lettere guardandolo fisso non per vederlo ma per aver il tempo a riflettere. Con tono cortese pregò Alfonso che prima di ricevere le istruzioni andasse da Cellani che voleva parlargli.

      — Non sa che cosa voglia dirmi? — chiese Alfonso desideroso di potersi preparare alle comunicazioni di Cellani le quali egli già aveva indovinato importantissime.

      — Non lo so! — rispose Sanneo, — ma credo che in quelle stanze abbiano perduto la testa.

      Però egli sapeva benissimo di che cosa si trattasse perché, con la sbadataggine che metteva in tutti gli affari che non erano d’ufficio, lo pregò di consegnare a Bravicci il fascio di carte che aveva in mano. Era cortese ma non tanto da perdere tempo e così Alfonso si aspettò al peggio. Veniva congedato.

      Cellani non c’era nella sua stanza ma accorse non appena udì che Alfonso era entrato. Fu serio, molto serio, ma visto che gli dirigeva finalmente delle frasi intiere, ad Alfonso sembrò più cortese del solito.

      — Ho da comunicarle qualche cosa che a lei forse farà piacere. — Ne dubitava e ad onta del suo aspetto serio la sua frase finì coll’apparire ironica. — In contabilità hanno bisogno di un impiegato pratico per il maestro centrale e il signor Maller decise che quest’impiegato sia lei.

      Era un comando, non una proposta, mentre di solito i trasferimenti alla contabilità si facevano solamente col consenso degl’impiegati a cui si proponevano.

      — Così che debbo lasciare la corrispondenza? — chiese Alfonso per prolungare il colloquio. Era irresoluto se protestare, non subire tranquillamente quella ch’egli già aveva riconosciuto essere un’offesa e una punizione, oppure rassegnarsi con buona grazia a cosa ch’era senza rimedio. L’ira però la vinse in lui. Il signor Cellani lo derideva volendo gabellargli per avanzamento quella umiliazione? — Ma che cosa ho fatto io per venir scacciato in tale modo dalla corrispondenza?

      Cellani lo guardò sorpreso. Si avviò al suo posto stringendosi nelle spalle, impaziente, incapace di continuare a fingere:

      — Lo chieda al signor Maller; io non ne so nulla, io!

      Sbuffando gonfiò le guancie e si mise nervosamente a scrivere e a firmare.

      — Sta bene! — disse Alfonso risoluto, — andrò a chiederlo al signor Maller!

      Uscì ma già nel breve intervallo aveva calcolato il pericolo a cui si esponeva andando da Maller. Per fare quel passo aveva sempre tempo, voleva lasciarsi tempo a riflettere. Andò direttamente alla sua stanza e consegnò a Bravicci le lettere come Sanneo gli aveva ordinato. Bravicci gli raccontò che il giorno prima era stato prevenuto che doveva assumere il lavoro di Alfonso. Non ne aveva detto nulla e Alfonso gli consegnò bruscamente gli altri suoi sospesi. Era una persona che per il momento egli odiava.

      — Lei venne destinato alla contabilità? — gli chiese Ballina vedendolo uscire dalla sua stanza col soprabito, il cappello e un fascio di carte in mano. — È il secondo dunque! Questo Sanneo a poco alla volta ci caccia tutti in contabilità!

      Alfonso non scolpò Sanneo e anzi l’osservazione di Ballina gli suggerì la risposta ch’egli doveva dare a tutti coloro che gli avrebbero chiesto la ragione del suo trasferimento.

      Nella nuova stanza ritrovò il suo antico compagno Miceni il quale lo accolse lieto e congratulandosi con lui di essersi finalmente allontanato dalla corrispondenza. Valeva la pena di venir pagati meno, asserì; in contabilità si stava molto meglio e di più si aveva la gioia immensa di non vedere Sanneo.

      Marlucci gli fece un’accoglienza meno buona ma soltanto perché gli dispiaceva che in quella stanza ove fino ad allora erano stati in due si dovesse acconciarsi in tre. La stanza non era molto vasta. Era una stanzuccia d’angolo, non perfettamente quadrangolare perché un angolo, quello del fabbricato, era arrotondato. Il tavolo di Alfonso non era previsto e vi mancava la fiamma a gas.

      Miceni gli spiegò quale sarebbe stato il suo lavoro, rapidamente, in poche parole, così che Alfonso poco o nulla ne comprese. Alfonso non aveva che da tenere il maestro centrale, lavoro che Miceni aveva avuto fino ad allora assieme a molti altri.

      — Io non chiesi giammai un aiutante — disse ridendo perché le sventure altrui stimolavano sempre il suo buon umore, — e se ti mandarono qui è proprio perché Sanneo non ne volle più sapere di te. — Chiese ad Alfonso quale fosse stato il motivo del litigio, ma la forza di fingere in Alfonso non giungeva fino a fargli inventare delle storielle.

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