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Alfonso non si commoveva che per essa; i gridi della Lanucci lo stordivano e lo seccavano.

      Il vecchio Lanucci imitò la moglie:

      — Se fossi sano, — disse, — andrei dal seduttore, lo piglierei per il collo e lo costringerei a restituire l’onore che ha rubato a mia figlia. Ma così, in questo stato, dovrei farmi portare da lui su una sedia.

      — Gustavo è andato da Gralli! — disse la Lanucci con fierezza, e come Alfonso poco commosso e niente irritato disse che avrebbe dovuto impedirglielo acciocché dalla prima sventura non derivasse loro un’altra, ella gridò che non si poteva obbligarli a sorbirsi in pace l’offesa ch’era stata loro fatta e che se Gustavo ammazzava il traditore era ben ammazzato; anche condannato a vent’anni di galera non avrebbe dovuto pentirsi della sua azione.

      Invece poco dopo venne Gustavo sano e salvo e abbastanza calmo. Raccontò che da due ore correva in cerca di Gralli senz’averlo potuto trovare; gli era riuscito però di sapere dove lo avrebbe trovato di là a mezz’ora; in un’osteria non troppo lontana.

      — Ci andrò! — e seppe mettere un tono di minaccia in queste parole. Chiese poscia alla madre dei particolari sul fatto di quel giorno. Prima, nella furia di correre via in cerca di Gralli, non si capiva come, egli aveva inteso che Gralli aveva maltrattata la sorella allorché ella s’era portata da lui a chiedergli che la sposasse. Si sentì, disse, alquanto alleggerito all’udire che ciò non era vero, e prima di uscire chiese da mangiare. Rivolto ad Alfonso chiese: — Che te ne pare di quanto ci avviene?

      Alfonso gli raccomandò di trattare Gralli con le buone; non era escluso che tutto ancora terminasse bene e sarebbe stato disaggradevole aver offeso un futuro membro della famiglia.

      Allora appena Gustavo si adirò e, parve, con Alfonso; tutto rosso in volto rispose:

      — Con le buone lo tratterò. Gli dirò: Vuoi sposare mia sorella? Se risponderà di sì lo bacerò e lo chiamerò fratello, se di no, lo piglierò pel collo e che si raccomandi l’anima perché gliene lascerò appena appena il tempo.

      La madre riconoscente gli circondò con un braccio il collo e lo baciò. Gli disse però che gli proibiva in tutti i casi di commettere un omicidio perché Gralli non meritava che per lui si avesse a sopportare la galera. Aveva paura la povera vecchia di perdere troppo continuando nella commedia eroica. Gustavo invece infiammato dalle carezze non rispose nulla, ma parve come uomo che avesse fisso il suo proposito e che desse poco ascolto a quanto gli altri andavano dicendo. Alfonso si offerse di accompagnarlo da Gralli ma egli non volle. Il rifiuto fu gentile. Era ben vero che Alfonso apparteneva alla famiglia, ma non tutti lo sapevano.

      Poco dopo l’uscita di Gustavo l’impazienza spinse la signora Lanucci alla finestra ove rimase per un’ora circa ad onta del freddo rigido. Il vecchio andò a coricarsi dichiarando che sapeva che non avrebbe dormito, ma che per la sua malattia abbisognava del caldo del letto. Alfonso si mise a leggere. Il vecchio orologio brontolava lungamente ogni quarto d’ora; non suonava più perché Gustavo gli aveva levato la soneria.

      — A me pare che questo ritardo sia un buon indizio, perché, se fosse avvenuto qualche malanno, a quest’ora noi già lo sapremmo, — disse la Lanucci ritirandosi dalla finestra e guardò Alfonso nella speranza ch’egli fosse del suo parere. Egli le disse che così spiegava anche lui il ritardo.

      Dalla via salì il rumore di una baruffa. Ambidue si slanciarono alla finestra. Lentamente, con lunghe fermate, salivano l’erta cinque persone discutenti con vivacità. Ad intervalli, già si vedeva, due di esse si ponevano a faccia a faccia e venivano divise con sforzo dalle altre. Una aveva la statura di Gustavo e l’altra, o sembrava, di Gralli. Si fermarono giusto sotto alla finestra, e allora appena Alfonso e la signora Lanucci si accertarono che in quel gruppo non v’era né Gustavo, né Gralli. Respirarono e si guardarono sollevati.

      Tuttavia la vista di una baruffa parve avesse rattristato la signora Lanucci. Confessò che aveva perduto ogni speranza e che già sapeva il destino riservato alla figliuola. Ella sapeva quale uomo fosse Gralli. Non ci aveva badato prima, ma ora si rammentava di certi particolari nel suo contegno, i quali avrebbero dovuto metterla in guardia e farle sospettare della sua sincerità.

      — Essendo buoni è tanto difficile di sospettare in altri la cattiveria. — Lodò Alfonso; egli era buono ed ella sentiva, sapeva che a lui il male ripugnava. — Ci si sente tanto bene accanto ad una persona in cui si ha tale fiducia. — Poi riandò con la mente tutte le fatiche ch’ella aveva sopportate per allevare quella sua unica figliuola e chiedeva se c’era giustizia a questo mondo che tali e tante pene non avessero ad avere altro risultato. Con amarezza si rammentò che per essa era già stato un dolore la promissione con Gralli. — Avevo sperato di meglio per Lucia. Non ricchezze o principi, ma una persona intelligente. Non sarebbe stato possibile che lei s’innamorasse di Lucia?

      Era la seconda volta che gli confessava questa speranza con tutta franchezza. Anche questa volta la faceva parlare così una profonda commozione; la vergogna che poco prima l’aveva spinta al melodramma era scomparsa e non rimaneva in lei che il dolore per la sorte della figliuola, non per la perdita dell’onore della famiglia.

      Egli s’imbarazzò e citò qualche parola dettagli da Lucia nell’ira e ch’egli riteneva provasse che Lucia non lo aveva amato.

      — L’amava! — disse la Lanucci con convinzione. — Non me lo disse, ma io lo compresi e mi meraviglia che lei non lo abbia capito, lei che pure crede di conoscere il cuore umano. Quanti dispiaceri ci sarebbero stati risparmiati! — Credeva che solo per un malinteso egli non avesse amato Lucia e si commoveva sul destino della povera figliuola tanto maltrattata dal caso. Poi uscì in uno sproposito. — Sarebbe pur bello di poter dire a Gralli se in seguito alle esortazioni di Gustavo chiedesse di sposare Lucia: Vattene all’inferno; abbiamo di meglio e tu non la meriti.

      Alfonso non aprì bocca. Gli si proponeva di sposare Lucia. Il fatto era enorme, ma egli volle comprendere e scusare. Comprendeva la voluttà in cui doveva cullarsi quella povera madre sperando di poter salvare la figliuola dal disonore e nello stesso tempo vendicarsi di chi l’aveva offesa nel suo più caro affetto; egli stesso si rifugiava quando si sentiva più disgraziato in sogni di realizzazione impossibile! Ella gli chiedeva un sagrifizio perché di certo non credeva ch’egli desiderasse di sposare Lucia; lo poneva tanto in alto da ritenerlo capace di una simile bontà! Perché avrebbe avuto da offendersene? Dacché egli si compiaceva nelle sue nuove idee era la prima volta che s’imbattesse in qualcuno che le adottasse. Era ben vero che più che adottarle per sé la signora Lanucci voleva imporle ad altri, ma, vedendo ch’ella aveva parlato senza artifizio come della cosa più naturale di questo mondo, ammise ch’ella fosse convinta che trovandosi nei suoi panni avrebbe agito come gli consigliava.

      Nel desiderio di porgere aiuto in qualche modo egli si profferse di andare in cerca di Gustavo e di riportarne immediatamente notizie. La Lanucci lo ringraziò ma già freddamente.

      Giunto in via degli Artisti, una piccola via a quell’ora molto oscura, l’osteria gli sembrò chiusa; picchiò e fu lieto quando udì che dopo lunga esitazione si veniva ad aprire. Il locale era irregolare; per formarlo dovevano essere stati atterrati uno o due muri divisori di cui erano rimaste tracce sul pavimento, a metà di terrazzo.

      Due uniche persone erano sedute in un canto ad un tavolo rotondo. L’una era Gustavo che Alfonso riconobbe ad onta che gli volgesse la schiena; poggiava la fronte su una mano in atto di profonda meditazione. L’altra era Gralli che salutò Alfonso.

      Al vederli seduti tanto amichevolmente uno accanto all’altro coi bicchieri vuoti dinanzi, Alfonso pensò che dovevano essersi accordati e stese la mano a Gralli che la strinse ordinando subito all’oste di portare un altro bicchiere. Un’occhiata gettata su Gustavo, che ridendo gli diceva di bere quanto potesse perché tutto era pagato, gli rivelò che quel fanciullo mandato da casa con una missione tanto seria s’era lasciato ubbriacare.

      — Siamo ottimi amici noi due! — gridò Gustavo e guardò Gralli affettuosamente. — Ero venuto con l’intenzione di bastonarlo, ma l’ho trovato così buono che sarebbe stato un delitto fargli del male. Prova, prova anche tu e

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