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della guerra civile. Non esiste democrazia senza discussione. La fine del dibattito è allo stesso tempo la fine della democrazia.

      Una notevole differenza tra il sistema politico tedesco e quello italiano sta proprio nella diversa concezione del dibattito: in Italia i politici sembrano “sbranarsi” a vicenda, concorrenti in un ring di arti marziali, l’uno deve “distruggere” l’altro. I talk show ne sono soltanto un esempio: gente che urla e interrompe continuamente l’interlocutore (si fa per dire!). Nessuno ascolta quel che dice l’altro. La cultura politica tedesca, invece, sembra essere diametralmente opposta: si discute ma sempre nel rispetto dell’opinione altrui. E se un politico si permette di interrompere chi parla, viene prontamente redarguito dal moderatore.

      Forse bisognerebbe partire proprio da qui:

      è obbligo di tutti, soprattutto di genitori e insegnanti, far sempre presente ai nostri figli/alunni, che discutere è fondamentale, ma ancor più importante è saper “mettersi nei panni degli altri”.

       La satira può tutto – il caso Böhmermann

      Non si può parlare di libertà di opinione senza fare riferimento alla satira e, dunque, alla volontà (anche politica) di censurarla.

      Dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo nell’ormai lontano 7 gennaio 2015 da parte di alcuni terroristi dell’Isis a Parigi, un noto sito italiano satirico scriveva che “la satira può tutto, tranne morire” (www.spinoza.it). Il diritto di satira è, difatti, un caposaldo della democrazia liberale e come tale è tutelato dalla costituzione tedesca (art. 5 Grundgesetz). Alcuni, forse, ricordano la vicenda che ha fatto discutere in Germania circa un anno dopo l’attentato di Parigi: il 31 marzo 2016, il comico Jan Böhmermann aveva recitato una poesia al limite del bon ton in tv, criticando in maniera molto decisa e aspra il presidente turco Erdogan. La poesia conteneva accuse politiche e allusioni sessuali (in particolare, il comico accusava il presidente turco di “prendere a calci i curdi e picchiare i cristiani mentre si dedica alla pedopornografia”).

      A primo impatto sorprese la decisione della Merkel di dare il suo consenso al processo contro il comico Böhmermann, denunciato dal presidente turco Erdogan. Dal punto di vista politico, la decisione della Kanzlerin era stata addirittura giudicata una “sottomissione” alla volontà del presidente turco. Buona parte dei media – anche italiani – avevano criticato vistosamente il “Ja” all’autorizzazione al processo.

      Ma Angela Merkel, in fondo, non poteva fare altrimenti: finora, infatti, la Germania ha sempre concesso agli stati “amici” l’autorizzazione a procedere: lo fece ad esempio con la Svizzera nel 2007 e nel 1977 con il Cile. Non concedere l’autorizzazione avrebbe creato un precedente. E, giustamente, il presidente turco avrebbe chiesto spiegazioni. La decisione della Merkel, però, ha un fondamento prettamente democratico: in uno Stato di diritto, infatti, non è il governo, il cancelliere oppure il presidente a decidere sulle sorti di un contenzioso giuridico. Questo compito spetta alla magistratura e ai giudici – un principio che risale a Montesquieu (la separazione dei poteri). Per lo stesso principio raramente il presidente della Repubblica si rifiuta di firmare una nuova legge se la ritiene incostituzionale: solo firmandola fa in modo che sia la Corte Costituzionale ad occuparsene. In altre parole: se la Merkel avesse detto no, avrebbe (almeno per quanto riguarda il reato di diffamazione di un capo di Stato straniero) deciso al posto dei giudici.

      L’epilogo in questa vicenda? La Procura generale di Mainz30 (ted.: Generalstaatsanwaltschaft) ha archiviato il caso. Non sussistono gli estremi per l’ammissione di un reato. La satira, fortunatamente, ha vinto.

       L’ambiente? Un diritto costituzionale

      “L’ambiente è anche esso una risorsa e la sua dissipazione un danno anche economico. È dunque del tutto assurdo dire che vi sono cause oggettive alle offese vergognose che si sono fatte e si fanno al patrimonio ambientale del nostro paese”31.

      Così, il 10 luglio 1983, Enrico Berlinguer – ex leader del PCI – parlava di ambiente in occasione della Festa nazionale dell'Unità. Berlinguer, nel suo “Discorso sulla cultura" accostava, appunto, la cultura all'ambiente. Già allora, dunque, i politici sapevano che oltre al patrimonio culturale, fosse in pericolo anche quello ambientale.

      E cosa è successo da allora? Praticamente nulla, poco oppure troppo poco. Siamo ridotti a constatare che, prima della cultura, prima dell'ambiente, prima della gente, vi sono gli interessi economici e – oggi più che mai – della tecnica (e tecnologia).

      Le passate generazioni non sono state capaci a trasmettere ai figli l’amore per il patrimonio ambientale, educando i figli solo a saper gestire il denaro, magari a risparmiare oppure a sacrificare la vita al lavoro, ma dimenticando la base di tutto, vale a dire il substrato, il fondamento, la natura. Siamo cresciuti con i valori del capitalismo, del liberismo: siamo magari capaci a gestire un’azienda, a pensare al profitto, ma non siamo in grado di andare oltre. Non abbiamo nessun rispetto per quello che ci circonda, sia la cultura che l'ambiente. Eppure prima o poi dobbiamo fare i conti con la natura: naturam expellas furca, tanem usque recurret, recitava Orazio32. Prima o poi è lei ad inseguirci, a cacciarci.

      Addirittura ce la prendiamo con chi si batte per l’ambiente, con chi ha capito, a differenza di noi, che volere bene ai nostri figli, non vuol dire comprare loro i migliori cellulari o mandarli nelle migliori scuole e/o università, ma piuttosto fare in modo che abbiano un futuro salutare, circondati da un ambiente che lo permette.

      Greta Turnberg, la ragazza che ogni giorno lotta per l’ambiente e contro gli interessi dell’economia, dà fastidio non perché è onnipresente nei media. Lo sono anche molti politici, ma stranamente non danno così fastidio come lei. Greta dà fastidio perché richiama nelle nostre coscienze la sporcizia, l’inquinamento e le scorie di ciò che fa parte della nostra vita quotidiana: andare in giro in macchina, prendere gli aerei low cost, usare plastica senza utilità e infischiarsene del consumo di acqua e altre risorse fondamentali. Ma non solo: andiamo oltre! Trattiamo Greta come nelle scuole i bulli trattano le vittime, come potrebbero trattare i nostri figli! La insultiamo, ce la prendiamo con lei perché è troppo facile. Difficile, complicato è entrare nel merito, argomentare. E allora diamo la colpa a chi non vediamo, ai “poteri forti”, a quelli che approfittano di Greta. Ma chi sono? Facciamo nome e cognome! Mettiamo nero su bianco i nomi di quelli che – apparentemente – la "manipolano".

      Nel 2019, in agosto, sono andato al tribunale di Palermo per visitare la stanza che fu di Giovanni Falcone. L’ex autista e collaboratore di Falcone, che tra l’altro fa la guida a chi visita la stanza dell’ex magistrato, ha detto una frase che spesso mi ritorna in mente: “Noi italiani siamo bravi a trasformare i morti in eroi, quando invece, mentre erano vivi, li abbiamo massacrati in continuazione”. Ebbene, anche Falcone “rompeva”, anche lui era accanito contro la mafia. Quando era vivo dava fastidio. Solo dopo la sua uccisione gli italiani, brava gente, hanno capito chi era. La stessa cosa la facciamo con Roberto Saviano, con Gino Strada, con Greta Turnberg e mille altri eroi che si battono per una ragione, per un ideale. Ben vengano, invece! Benvenuta Greta, una ragazza che ha dato voce ad un’intera generazione. Una generazione che tutti critichiamo quando passa ore intere a giocare con lo smartphone e che, una volta che ha finalmente il coraggio di farsi sentire, vogliamo mettere a tacere, solo per paura di perdere la faccia, solo perché siamo incapaci di ammettere che, per quanto riguarda l’ambiente, abbiamo sbagliato quasi tutto.

      E ora veniamo al dunque: una società civile, che riconosce la dignità, la libertà e l’uguaglianza degli uomini, non può fare a meno della natura. Senza un ambiente sano, i diritti fondamentali degli uomini perderebbero la loro essenza. Le nostre Costituzioni, quella tedesca e quella italiana, già ci danno gli strumenti per farlo: l’art. 9 della Costituzione italiana, il cui comma secondo individua “la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione”, è più di un primo passo. La Costituzione tedesca, il Grundgesetz, è più chiaro: l’art 20a dice, che “lo Stato tutela, assumendo con ciò la propria responsabilità nei confronti delle generazioni future, i fondamenti naturali della vita mediante l’esercizio del potere legislativo”. Ora spetta a noi di passare dal dire

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