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quod vides, quinquenni spatio extructum est arte mira, labore multo, sumptibus vero maximis. Ejus extructioni non interfui solum, sed et prœfui semper Joannes Maria Nossenus, Luganensis, Italus. Nec vero operis egredii forma hœc tantum a me Architecto profecta est, sed et materiam ipsam […].21

      In contesto germanico il riferimento all’italianità dell’architetto lombardo-svizzero sarà certo parso più opportuno e necessario di quanto non avrebbe potuto essere per gli esempi osservati in precedenza. Tuttavia, fatto salvo il condizionamento dovuto alla contingenza geo-culturale, questo esempio rileva la visione della Lombardia svizzera che era dominante al tempo, e non solo dalla prospettiva esterna.

      Le centinaia di lettere spedite dagli emigranti di Meride, borgo di pittori, scultori e decoratori attivi in tutta Europa, raccolte nel corso di secoli dalla famiglia Oldelli e ora conservate nel fondo omonimo presso l’Archivio di Stato di Bellinzona, bene testimoniano la diffusa percezione dei borghi prealpini soggetti alla sovranità elvetica come territori italiani. Ad esempio, in una missiva inviata ad Alfonso OldelliOldelliAlfonso da Travostat il 17 luglio 1701, lo stuccatore Giovan Battista ClericiClericiGiovan Battista comunica alla famiglia l’impossibilità di ricevere o far recapitare la posta in «Itaglia», ovvero a Meride:

      Io sono andato fora di Virzpurg ali 26 giugno a lavorare lontano dieci ore, cioè trenta miglia da parte dove non vi è posta di scrivere in Itaglia, in una vila che si dimanda Travostat, a fare una sala con doi scuadretori, e spero che presto verà il sig.r Giosepe Rinaldi in compagnia, dove averemo di fare sino a mezo otobre in circa e poi torneremo a Virzpurg, e frattanto se scriverano seguitarano a mandarle al sig.r Magni che lui me le farà avere.22

      O ancora, Stefano Ignazio MelchionMelchionStefano Ignazio, con una lettera da Colonia del 24 agosto 1711, informa i famigliari delle difficoltà incontrate con la comunità italiana presente nella città sul Reno, nella quale non è riuscito a integrarsi. E nel farlo, lo scrivente si considera naturalmente italiano:

      Jo lavoro come un cane et per l’ultimo di otobre spero di terminare quelo che ò intrapreso, et il sig.r Conte, quelo che è sopra le fabriche, loda a’ suoi li miei lavori et spero che me farà una bona stima. Li altri Jtaliani che sono qua non me poleno vedere, ma questo me dà poca pena.23

      Altrettando interessante è una lettera del 1758 scritta dallo stuccatore Alfonso OldelliOldelliAlfonso (poi notaio e procuratore a Lugano) al nipote Carlo Matteo OldelliOldelliCarlo Matteo, che da Vienna chiedeva assistenza finanziaria allo zio. Quest’ultimo giustifica la sua indisponibilità in ragione del momento di carestia e povertà che la comunità stava vivendo «in questa nostra Lombardia», a Meride. Inoltre, più avanti, nella seconda parte della missiva, Alfonso raccomanda al nipote di essere parco nelle spese e rammenta la propria esperienza nella città austriaca, dove trovò una compagnia di altri «onorati giovini jtaliani» con i quali dividere i costi della permanenza:

      Sento le denotate spese da voi fatte per sostenervi, al che vi rispondo d’esser io prima di voi stato diciotto mesi in questa Capitale, col solo lucro di Fiorini cinque e mezzo per settimana, e, misurate le mie forze, congiontomi et associatomi con altri onorati giovini jtaliani, onoratamente vivessimo all’Osteria dell’Angelo bianco nella Citadella di Marienhilf con un fiorino e tre bazzi per cadauno alla settimana.24

      In sostanza, l’assenza di un’identità politica forte e condivisa sul piano regionale, solo in parte supplita da quella connessa alla diocesi, ha fatto sì che gli abitanti della Lombardia svizzera abbiano percepito loro stessi come lombardi perlomeno fino alla mediazione napoleonica del 1803 e si siano riconosciuti per lingua, costume e cultura come italiani. Nello stesso modo, d’altra parte, erano percepiti il territorio e i suoi abitanti dai visitatori forestieri che transitavano o visitavano la regione.

      In questo giro d’anni, semplificando gli elementi emersi dalle testimonianze osservate nelle pagine precedenti, è lecito affermare che gli abitanti della Lombardia svizzera tendevano a qualificarsi come lombardi quando si rapportavano con altri italiani e come italiani quando si rapportavano con gli stranieri, come naturale. Allo stesso modo, il riferimento al potere politico degli svizzeri, perlopiù in formule reverenziali fisse e ricorrenti, si attesta quasi esclusivamente negli scritti ufficiali, ovvero nei documenti che si rivolgono o sono destinati ai rappresentanti del potere signorile elvetico.

      1.2.1. Svizzera o Italia: la percezione geografica della Lombardia svizzera

      In età moderna, le Alpi si possono considerare, con buona approssimazione, la frontiera che separa lo spazio geografico e culturale italiano da quello tedesco. A questo assetto, che si prefigura già in epoca medievale, si riferisce DanteAlighieriDante nel ventesimo canto dell’Inferno, ambientato nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti gli indovini. Nel testo, parlando delle origine mitiche di Mantova, VirgilioVirgilio MaronePublio menziona il lago di Garda, detto Benaco (lat. benacus), formatosi ai piedi della catena montuosa delle Alpi, che separa l’«Italia bella» dalla «Lamagna», Inf. XX 61-63:

      Suso in Italia bella giace un laco,

      a piè de l’Alpe che serra Lamagna

      sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.

      Restringendo la prospettiva alla Lombardia Svizzera, il più importante punto di contatto tra le culture – che ha delle conseguenze sensibili anche sulle varietà linguistiche locali, come si vedrà nel secondo capitolo – è rappresentato dal principale valico alpino della regione, ovvero dal passo del San Gottardo. Il varco, forse praticato già in epoca romana, quando il gruppo montuoso era riconosciuto con il nome di Mons Tremulus, è dal Basso Medioevo (verso la fine del secolo XII) una via di comunicazione e commercio intensamente percorsa, volgarmente chiamata anche con il sintagma “via delle genti”.1 Con l’apertura di questo valico tra il mondo germanico e l’Italia, di notevole rilevanza economica e politica, le valli lombarde alpine e prealpine acquisirono una funzione strategica, che di fatto condizionò la loro storia. La denominazione Mons Tremulus, che oggi si conserva unicamente nel nome della strada della Tremola, che collega il comune di Airolo al passo del San Gottardo, deriva forse dal timore che il massiccio doveva suscitare, in ragione della sua imponenza (si pensi al mito del “tetto del mondo”), delle impervie e pericolose vie di passaggio e del clima particolarmente rigido che si incontra sulla sua sommità in ogni stagione.2 Ne riferisce il prete Pietro MartinoloMartinoloPietro, curato a Faido nei primi anni del secolo XVII, in un componimento latino dedicato a Carlo BorromeoBorromeoCarlo, redatto in distici elegiaci e pubblicato a Milano nel 1620.3 Nel testo, scritto in memoria della visita del Cardinale nella valle Leventina del 1581, durante la quale fu anche sul Monte Gottardo, MartinoloMartinoloPietro stabilisce nelle Alpi il confine naturale tra la cultura tedesca e quella italiana. Nella poesia l’autore avanza inoltre una proposta sull’origine del toponimo Mons Tremulus e chiosa il successivo mutamento della denominazione, avvenuto nella prima metà del secolo XIII (nel 1237: «Monte Sancti Gottardi»), che prese il nome dell’ospizio dedicato al vescovo benedettino Gottardo di HildesheimGottardo di Hildesheim (961-1038), canonizzato nel 1131 da Papa Innocenzo IIInnocenzo II. Il culto del santo ebbe da subito fortuna oltralpe come in Italia, ad esempio a Milano, dove a lui furono votate chiese e cappelle. Questo fatto spiega forse la scelta, presa dall’arcivescovo Galdino di MilanoGaldino di Milano, di fondare sul tracciato del valico l’ospizio «di San Gottardo» (1171), al quale venne aggiunta una chiesa nel 1237.4 Tornando al testo, volgendosi verso il massiccio alpino il curato MartinoloMartinoloPietro scrive:

      Terminus hic Itali, Teutonicique jacet.

      . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

      Mons alias tremulus dictus, quia causa tremoris.

      Tam rigor alpinus, quam lapidosa via.

      Ast postquam Goldinus sanctus episcopus Urbis,

      Fundarit templum, quod benedixit ibi

      Sub titulo Sancti Gottardi, nomen ab isto,

      Mons sumpsit Divo, sicque rocatur adhuc.5

      La catena alpina è dunque percepita come la frontiera geografica e culturale che separa, come nella visione proposta

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