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il ruolo del committente e la collocazione della scritta nell’edificio sacro, si potrebbe sospettare che quest’ultima denominazione etnica sia condizionata dal contesto. In realtà, quest’uso è ben attestato, a quest’altezza cronologica come nei secoli successivi, anche in ambienti laici. Lo si vedrà negli esempi proposti più avanti.

      Benché il riferimento al borgo d’origine era certamente il più diffuso, basti pensare ai nomi dati agli artisti provenienti dalla Lombardia prealpina e attivi nei cantieri delle principali città italiane (spigolando: Mastro Pietro da CapolagoMastro Pietro da Capolago, Silvestro da MerideSilvestro da Meride, Dionisio da MendrisioDionisio da Mendrisio, Sebastiano da LuganoSebastiano da Lugano e via dicendo), e nonostante il riferimento diocesano potesse integrarlo o sostituirlo, spesso l’etnico impiegato nel riferimento onomastico era meno preciso.24 Per rimanere nell’àmbito che ci offre il maggior numero di attestazioni, alcuni scalpellini o muratori indicati nei secoli XV-XVI come genericamente lombardi o comaschi potevano essere mendrisiensi, luganesi o anche provenienti dalle valli prealpine e alpine dell’attuale Cantone Ticino.

      Passando a un’altra arte, che ha goduto di minor fortuna nella regione, è significativo il caso del celebre cuoco e autore del trattato gastronomico Libro de Arte Coquinaria (ca. 1450) conosciuto come Maestro Martino da ComoMartino da Como, vissuto tra il secondo o il terzo decennio del Quattrocento e la fine del secolo.25 Martino era nativo del piccolo borgo di Torre, in Valle di Blenio, perciò il riferimento alla città di Como non può riferirsi alla podestà vescovile: la Valle di Blenio, assieme alla Riviera e alla Leventina, era infatti parte della diocesi Ambrosiana. Inoltre, la cittadina lombarda, secondo le ricostruzioni storiche, non fu un luogo di particolare importanza nella vita del cuoco, che lavorò dapprima a Milano nelle cucine della corte ducale di Francesco SforzaSforzaFrancesco, poi alla corte pontificia del cardinale Ludovico TrevisanTrevisanLudovico (1401-1465), al quale è dedicato il libro («Coquo olim del Reverendissimo Monsignor Camorlengo et Patriarcha de Aquileia»), e infine nuovamente a Milano nelle cucine di Gian Giacomo TrivulzioTrivulzioGian Giacomo (ca. 1440-1518).26 La menzione del borgo lombardo va dunque letta come riferimento generico al territorio delle Prealpi, per il quale era impiegato un toponimo che poteva orientare in maniera sufficientemente precisa anche degli interlocutori estranei alla regione.

      1.2. Le denominazioni nella Lombardia svizzera

      Se nel periodo ducale l’assenza di qualsiasi cenno agli svizzeri nelle denominazioni etniche e toponimiche della regione è naturale, in epoca balivale è lecito chiedersi se il mutamento della situazione politica modifichi questa consuetudine. Con la conquista della Leventina, stabilmente sottomessa al potere urano dal 1480, e con la calata di Uri, Svitto e Nidvaldo in Riviera, Blenio e a Bellinzona, tra il 1495 e il 1503, le estreme valli lombarde passano saldamente nelle mani dei cantoni confederati. Nell’àmbito delle Campagne transalpine, con il favore del papa Giulio IIDella Rovere (Giulio II)Giuliano, durante la spedizione di Pavia del 1512 i confederati estendono il loro dominio alle restanti terre dell’attuale Cantone Ticino, che costituirono durante l’ancien régime i quattro Baliaggi comuni di Locarno, Vallemaggia, Lugano e Mendrisio (dal 1522), fondamentali per il controllo dei valichi alpini.1

      Il termine “baliaggio” (fr. ant. baillage), che storicamente indica la dignità e il territorio compreso nella giurisdizione del reggente, deriva dal nome di quest’ultimo, oggi comunemente indicato con la parola “balivo” (fr. ant. baillif), dal latino baiulis/baiula.2 Nella regione della Svizzera italiana l’impiego di questa terminologia – il cui uso, documentato a partire dal De Republica helvetiorum (1576) dell’umanista Josias SimmlerSimmlerJosias, si è assestato e consolidato soprattutto retrospettivamente – si afferma solo dalla metà del Settecento.3 Nei secoli precedenti le terre dei baliaggi italiani sono indicate più semplicemente come suddite alla sovranità degli svizzeri («Marc’Antonio de Marchi et Giambonini del luocho di Gandrio, giurisdittione delli illustrissimi Signori svizzeri»). L’uso della parola “balivo” risulta invece dall’adattamento degli storici al termine tedesco impiegato dagli Stati sovrani nel periodo di sudditanza elvetica, quando l’ufficiale incaricato era comunemente chiamato Landvogt o più semplicemente Vogt.4 Si vedano, ad esempio, gli atti del ricevimento ufficiale del cardinale Federico BorromeoBorromeoFederico avvenuto in Riviera nell’anno 1608, al quale erano presenti il pretore della Val Riviera, tedescamente chiamato landvogt, il prevosto di Biasca di nome Giovanni BassoBassoGiovanni (1552-1629) e altri sacerdoti e autorità civili:

      Cum egressus esset de burgo Bellinzonae obvios habuit Praetorem vallis Riperiarum, appellant lingua germanica Lantfocht, et multos alios privatos dictae vallis, R. Joannem Bassum Praepositium Biaschae et multos alios sacerdotes dictae vallis a quibus cum magna laetitiae demonstratione receptus fuit.5

      Lo stesso Giovanni BassoBassoGiovanni, citato in quest’ultimo documento, impiega a sua volta il termine Vogt (nella forma focth) in una lettera scritta a Cesare PezzanoPezzanoCesare il 25 settembre 1617, nella quale è discusso un contenzioso tra l’amministratore del baliaggio della Riviera e il sacerdote Jacomo di CrescianoJacomo da Cresciano:

      L’altra cosa era, che questo focth delle Riiviere faceva gran instanza per haver da m. p. Jacomo di Cresciano il mal speso nei Trei Cantoni contra d’esso prette, nella causa che VSMR sa. me dissero detti ambasciatori, che havevano commissione delli s.ri di far che ‘l focth si accomodasse, ancora che conoscessero che ‘l sacerdote era inocente, et huomo di bene.6

      Assecondando un principio di territorialità, il dominio politico confederato non modificò l’assetto giuridico e confessionale della Lombardia svizzera, che conservò autonomia legislativa e rimase legata alle diocesi di Milano e di Como.7 In questo stato delle cose, il rapporto dell’individuo con la comunità locale, così come le istituzioni tradizionali, quali la famiglia, la parrocchia e il patriziato, svolsero un ruolo centrale sul piano identitario.8 La dimensione comunale fu fondante, le singole comunità erano autogovernate, sul piano politico-amministrativo e religioso, sulla base di statuti locali, di tradizione medievale, riconosciuti dai cantoni confederati, che tutelarono i diritti e i privilegi degli abitanti. Nel contesto d’indipendenza comunale, questi complessi di norme giuridiche e le istituzioni locali erano indissolubilmente legati al concetto di libertà individuale e furono la principale ragione del sentimento aggregativo in ambito municipale, con le conseguenti manifestazioni etnonimiche.

      A questo proposito, un brano di una sentenza di condanna a un ladro di Morbio Inferiore risalente al 1540 bene esemplifica la concezione del diritto municipale vigente nei baliaggi italiani e colloca geograficamente, mediante una formula di riverenza analoga ad altre osservate nelle pagine precedenti, le terre di Mendrisio nell’area di dominio svizzero:

      Sequendo et volendo sequire nelle preditte cose la forma della rassone et de statuti de Mendrisio et Plebe di Balerna et ogni altro megliore modo et via quale meglio possemo et debbiamo atteso la auctorità podestà et bailia ad noi in questa parte atribuita et concessa per li magnifici illustrissimi et potentissimi signori Helvetii delli XII cantoni.9

      Usi analoghi per esprimere lo statuto di sovranità svizzera sono documentati prevalentemente nei testi redatti da chierici o persone istruite, e possono variare secondo la cultura e la classe sociale dello scrivente. Per aggiungere un esempio, nell’intestazione degli atti relativi alla visita pastorale del 1591 del vescovo Feliciano Ninguarda nelle pievi comasche si legge una formula affine:

      Visitationis personalis sitionum

      illustrisimis dominis Helvetijs subiectarum

      Diocesis nostrae comensis

      factae anno domini 1591

      per r.mum D. Felicianum episcopum comensem

      pars secunda10

      Anche per quanto concerne la consuetudine etnonimica il riferimento alla sovranità svizzera è talvolta aggiunto alle espressioni abituali. Come esempio a tale proposito, si veda la breve notifica di un medico di nome Benedetto della PortaBenedetto della Porta, stilata, in un italiano molto incerto, il 29 settembre 1659:

      Notifico io Benedeto della Porta profesore delarte cirugicha

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