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Ill.tri S.rg Souiceri di una ferita fata di ponta nel peto nella parte sinistra la quale al mio giudicio non è mortalle ocorendo qualce cosa mentre che io lo seguitaro a medicarlo.11

      Nel caso di artigiani o scriventi di media cultura, invece, il riferimento agli svizzeri quando presente è semplice e segue quello patriziale o diocesano. In coda alle usuali formule etnonimiche si sommano sintagmi come «degli suyceri», «stato suizero» o «dominii Elvetii». Ma le occorrenze, in questa situazione come nelle altre, oscillano sensibilmente caso per caso, testimoniando una tendenza facilmente intuibile e spiegabile: ovvero, questo tipo di menzioni sono più frequenti nelle carte redatte nel territorio e aumentano ulteriormente nei documenti ufficiali, allestiti per le autorità svizzere.

      Nella Lombardia svizzera il riferimento alla sovranità non era sistematicamente esplicitato nelle denominazioni etniche e geonimiche, in special modo nei documenti vergati lontano dal territorio dei baliaggi comuni. Nel secolo XVI, con il progressivo fissarsi dell’uso cognominale anche per i ceti più modesti, una consuetudine che si è successivamente consolidata con la Controriforma, gli etnonimi oscillano anche più vistosamente, ma i riferimenti alla sovranità politica svizzera si attestano in rare occorrenze e con precise funzioni.12 A questo proposito, riagganciandoci a quanto osservato nelle pagine precedenti, possiamo vagliare la situazione di tre fra i più celebri artisti affermatisi nella vasta schiera di pittori, stuccatori, lapicidi e architetti partiti dai baliaggi italiani e attivi nei maggiori cantieri d’Italia e d’Europa.

      Nel tardo Cinquecento è esemplare il caso di Domenico FontanaFontanaDomenico (1543-1607), primo di una serie di mastri provenienti dalle Prealpi lombarde che ebbero un ruolo centrale nell’edificazione della Roma barocca. L’uso etnico a lui riferito è oggetto di minime variazioni nel tempo. Nell’illustrazione che apre il suo trattato Della trasportatione dell’obelisco vaticano e delle fabriche di Nostro Signore Papa Sisto VPeretto (Sisto V)Felice di fatte dal Cavallier Domenico FontanaFontanaDomenico architetto di sua Santità, pubblicato a Roma nel 1590 e relativo all’erezione dell’obelisco di Piazza San Pietro, qui trasportato dal circo che sorgeva presso il colle Vaticano nel 1586 su ordine di Sisto VPeretto (Sisto V)Felice di, l’architetto è indicato con il nome di battesimo seguito dal riferimento al borgo natio e alla giurisdizione diocesana. Nella fascia che incornicia l’effige del mastro, posta al centro dell’incisione a tutta pagina collocata dopo il frontespizio, si legge infatti: «DOMENICO FONTANAFontanaDomenico DA MILI DIOCESE DI COMO ARCHITETTO DI S. SAN. D’ETA D’AN. XLVI».13 L’obelisco, trasportato a Roma da Eliopoli per ordine di Caligola, necessitò di un notevole impegno ingegneristico e di grandi mezzi per essere collocato al centro della piazza. A opera eseguita, sul lato nord del monumento, sotto le insegne papali di Sisto VPeretto (Sisto V)Felice di, l’architetto firmò la sua impresa ribadendo gli elementi etnici e onomastici presenti nel trattato: «DOMINICUS FONTANAFontanaDomenico EX PAGO MILI AGRI NOVOCOMENSIS TRANSTULIT ET EREXIT». Probabilmente in ragione del prestigio ottenuto con il lavoro svolto nei cantieri capitolini e napoletani, nell’edicola sepolcrale costruita nel 1627 e oggi posta nell’atrio della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli cadono invece le qualifiche municipali e regionali. Nell’iscrizione che trascrivo, FontanaFontanaDomenico è infatti indicato dai figli SebastianoFontanaSebastiano e Giulio CesareFontanaGiulio Cesare come patrizio romano, senza ulteriori riferimenti etnici:

      DOMINICUS FONTANAFontanaDomenico PATRITIUS ROMANUS

      MAGNA MOLITUS MAIORA POTUIT

      IACENTES OLIM INSANAE MOLIS OBELISCOS

      SIXTO V PONTIF.

      IN VATICANO ESQUILIIS CELIO ET AD RADICES PINCIANI

      PRISCA VIRTUTE LAUDE RECENTI EREXIT AC STATUIT

      COMES EX TEMPLO PALATINUS EQUES AURATUS

      SUMMUS ROMAE ARCHITECTUS

      SUMMUS NEAPOLI PHILIPPO II PHILIPPO III REGUM

      SESEQ.; AEUUMQ.; INSIGNIVIT SUUM

      TEQ; INSIGNIVIT

      QUEM SEBASTIANUS IULIUS CAESAR ET FRATRES

      MUNERIS QUOQ.; UT VIRTUTIS AEQUIS PASSIBUS HAEREDES

      PATRI BENEMERENTISSIMO P. ANNO MDCXXVII

      OBIIT VERO MDCVII AETATIS LXIV

      Un altro esempio rilevante si trova sempre a Roma pochi decenni più tardi e riguarda il pittore Giovanni SerodineSerodineGiovanni (1600-1630), originario di Ascona sul lago Maggiore, impostosi alla critica moderna come uno dei maggiori del suo secolo. Secondo le più recenti acquisizioni, l’artista nacque a Roma nel 1600, e non come precedentemente ipotizzato ad Ascona nel 1594, ma mantenne vivo negli anni il suo legame con la patria d’origine, nella quale i SerodineSerodineGiovanni conservarono la casa paterna e dove si trovano alcune tele di Giovanni, tra cui la grande Incoronazione della Vergine realizzata poco prima della morte per la chiesa dei SS. Pietro e Paolo.14 In una monografia del 1954, Roberto LonghiLonghiRoberto pubblica alcuni documenti d’archivio della famiglia asconese, tra cui due redazioni del testamento di Cristoforo SerodineSerodineCristoforo, il padre del pittore, nelle quali si verifica un uso etnonimico conforme alla consuetudine osservata nelle pagine precedenti. Una prima stesura in latino del 13 agosto 1625 legge infatti l’incipit «Dominus Christophorus Serodinus condam Joannis Andreae Serodinis filius, de Ascona Comensis dioecesis mihi Notario cognitus, sanus Dei gratia mente, sensu, corpore, loquela et intellectu, asserens alias et sub die 30 Mensis Septembris 1621 […]».15 Una compilazione successiva in italiano del 19 giugno 1626 ripete gli stessi elementi con due minime variazioni, cade il patronimico e compare il riferimento geografico al lago Maggiore: «Considerando io Christoforo SerodineSerodineGiovanni d’Ascona del Lago Maggiore diocesi di Como, che in questo mondo non vi è cosa più certa della morte et più incerta dell’hora et ponto suo […]».16 Una formulazione analoga è impiegata anche da Giovanni, che in un documento datato del 24 settembre 1624 scrive: «Die 24 7bris 1624, Jo: Baptista filius Christophori Serodani de lacu maiori comen.[sis] dioec.[sis] aetatis suae annor […]».17 Se questi documenti attestano un uso conforme alle aspettative, risulta invece eccentrico l’uso di un particolare «sobriquet toponimico» (così LonghiLonghiRoberto) impiegato in alternativa al nome di battesimo per identificare il pittore. Infatti, alla morte del marchese Asdrubale MatteiMatteiAsdrubale, avvenuta nel 1631, nell’inventario dei suoi beni sono elencati «un quadro dei Farisei, quando mostrano la moneta», ovvero l’opera riconosciuta come Tributo della moneta, conservata alla National Gallery of Scotland di Edimburgo; e un’altra tela raffigurante «quando Santo Pietro e Santo Paolo andarono al martirio», cioè l’Incontro dei Santi Pietro e Paolo sulla via del martirio, oggi a Palazzo Barberini. Entrambi i dipinti sono attribuiti a «Giovanni della Voltolina», ovvero Giovanni della ValtellinaGiovanni della Valtellina (voltolina nelle varietà lombarde), nome dietro il quale va riconosciuto Giovanni SerodineSerodineGiovanni.18 Verosimilmente, la denominazione etnica regionale, in senso ampio, era impiegata per indentificare in ambiente romano il pittore proveniente da un modesto borgo lombardo, genericamente ricondotto alla vallata del fiume Adda. L’equivoco è forse dovuto al fatto che la Valtellina al tempo era soggetta al dominio grigionese delle Tre Leghe, alleate dei Cantoni confederati. Era cioè una terra dipendente dal potere degli svizzeri, seppur mediato dai Grigioni, e proprio come Ascona, situata nel Baliaggio italiano di Locarno, rispondeva alla sovranità dei Dodici cantoni. Inoltre, come buona parte della Lombardia svizzera, la Valtellina era luogo di emigrazione, orientata verso le maggiori città italiane, e gli emigranti dell’una e dell’altra, considerati semplicemente come lombardo-alpini, si confondevano fra loro ed erano facilmente scambiabili.19

      Ancora più significativo è il caso dell’architetto luganese Giovanni Maria NosseniNosseniGiovanni Maria (1544-1620), attivo in Germania dove operò alla corte di Dresda dal 1575. Il suo principale intervento nella città sassone fu la trasformazione del coro del Duomo di Freiberg in una cappella sepolcrale per i prìncipi elettori di Sassonia, alla quale lavorò tra il 1585 e il 1594.20 Qui, dietro l’altare del mausoleo, si legge un iscrizione datata 1593 nella quale l’architetto è identificato con il nome di battesimo seguito dal borgo nativo e dall’etnico «italus», cioè ‘proveniente dall’Italia’ o ‘italico’:

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