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etniche, sedimentate nel corso dei secoli nel linguaggio popolare di queste comunità. Come naturale conseguenza delle riflessioni di ChiesaChiesaFrancesco e degli elvetisti, la consapevolezza di appartenere culturalmente allo spazio italiano è invece maturata precocemente e univocamente sul piano artistico e segnatamente letterario, suscitando dibattiti e riflessioni sull’esistenza di una letteratura della Svizzera, e “in piccolo” della Svizzera italiana, lungo tutto il Novecento. Come documentano il dibattito prodotto attorno a queste definizioni e le riflessioni a tale proposito di critici, studiosi e scrittori che si occuparono della vicenda, entrambe le definizioni furono fermamente rifiutate in favore del pieno inserimento degli autori locali nella letteratura italiana tout court, o rispettivamente, per le altre aree linguistiche della Confederazione, in quella francese e tedesca.

      Questo percorso tratteggia un disegno globale scostante e complesso, che vaglia e segue con sguardo critico l’articolato sistema di spinte e controspinte che hanno portato al quadro identitario e culturale d’oggi: una situazione nella quale è innegabile l’esistenza di un sentimento cantonalista o regionale, non fondato su un carattere precipuo o singolare ma sul costante rapporto dialettico, di inclusione-esclusione, con la Lombardia e la Svizzera transalpina. Insomma, nel contesto odierno si profila un’identità di frontiera, per sua natura mobile e problematica, che per essere compresa e messa a frutto necessita di uno sguardo consapevole delle ragioni profonde e delle contingenze storiche che hanno portato nel corso dei secoli alla situazione attuale. Con questo obiettivo, pur coscienti dell’inevitabile parzialità di fronte a tale ambizione, si è atteso a uno studio che intreccia e pone in dialogo due aspetti rilevanti e fondativi dell’identità svizzero-italiana: la riflessione sulla lingua e sulla sua manifestazione artistica più diretta, la letteratura.

      Nel licenziare queste pagine ringrazio i maestri e i colleghi che mi hanno accompagnato nella loro preparazione e stesura. In particolare, la ricerca deve molto alla generosità di Lorenzo TomasinTomasinLorenzo, al quale esprimo la mia affettuosa riconoscenza. Altrettanto preziosi sono stati i consigli e le osservazioni di Sandro BianconiBianconiSandro, Lorenzo FilipponioFilipponioLorenzo, Bruno MorettiMorettiBruno e Stefano VassereVassereStefano: a loro va il mio ringraziamento. Sono inoltre grato a Rita FranceschiniFranceschiniRita e al Curatorium di Vox Romanica per aver accolto il mio testo nella collana Romanica Helvetica, e al FNS per aver finanziato la ricerca e la sua pubblicazione. Dedico questo libro agli amici della Section d’italien dell’Università di Losanna, con i quali ho condiviso momenti indimenticabili dentro e fuori le aule.

Capitolo primo. Medioevo ed età moderna. Il mutare delle denominazioni

      1. Prima della Svizzera italiana: etnici e geonimi nei secoli XV-XVIII

      1.1. La Lombardia alpina in epoca medievale

      In epoca medievale, nel periodo che precedette la conquista da parte dei Confederati dei territori prealpini che oggi formano il Cantone Ticino, il territorio della Lombardia alpina era parte integrante del Ducato di Milano.1 Già dall’Alto Medioevo, prima dell’istituzione del ducato visconteo, la città milanese è il centro economico e culturale al quale guarda la regione. Una testimonianza a proposito è offerta dal vescovo Gregorio di ToursToursGregorio di (ca. 538-594) nel decimo libro della sua Historia Francorum, nel quale descrive la solida resistenza incontrata da una colonna di Franchi giunta dai valichi alpini presso le fortificazioni di Bellinzona, allora in mano longobarda, situate nei Campi Canini.2 Nel brano, in cui è narrata la morte del duca Ollone per una ferita causata da un giavellotto che lo colpì al costato durante l’assalto, il castello è indicato come roccaforte milanese e l’area del lago sulle cui rive sorge il borgo di Lugano è ricondotta al capoluogo ambrosiano, X 3:

      Quando poi si accostarono ai confini d’Italia, Audovaldo con altri sei duchi si diresse verso destra e giunse nella città di Milano. Qui organizzarono gli accampamenti tenendosi lontano, nelle campagne. Il duca Ollone, invece, che imprudentemente s’era avanzato fino a Bellinzona, piazzaforte di questa città posta nella regione dei Campi Canini, colpito al petto da un giavellotto, cadde e morì. Allorché questi uscivano fuori a far bottino per procurarsi qualcosa da mangiare, venivano sopraffatti dai Longobardi che facevano irruzione a gruppi sparsi sopra di loro in luoghi diversi. C’era infatti, all’interno del territorio della città di Milano, un lago, che chiamano Ceresio, dal quale esce un fiume piccolo ma molto profondo [il Tresa].3

      Il passo situa in maniera piuttosto precisa il toponimo Campi Canini, localizzabile nei pressi della bassa valle del Ticino, nei dintorni di Bellinzona. La prima attestazione del termine è però di alcuni secoli precedente, in età tardo-antica. Nel 354 infatti lo storico romano Ammiano MarcellinoMarcellinusAmmianus (ca. 330-390), descrivendo le operazioni di difesa dei confini imperiali promosse e guidate da Costanzo IICostanzo IIFlavio Giulio (350-361), menziona questo nome di luogo nel quindicesimo dei suoi Rerum gestarum libri qui supersunt, XV 4, 1:

      […] e fu dichiarata guerra ai Lenziesi, tribù alamanna che faceva spesso incursioni per spazi sempre più vasti nei territori romani limitrofi. Uscito [da Milano] per questa spedizione, [Costanzo] giunse nella Rezia e ai campi Canini [presso Bellinzona]: esaminati a lungo i piani [da mettere in atto], sembrò conveniente e utile che lì con una parte dei soldati ›…‹ Arbizione (capo della cavalleria) lì si dirigesse con il nerbo dell’esercito costeggiando il lago di Briganzia [Lago di Costanza] con il proposito di attaccare subito i barbari.4

      La testimonianza più importante relativa a questo toponimo è però trasmessa un secolo più tardi nel panegirico dell’imperatore Giulio Valerio MaggiorianoMaggiorianoGiulio Valerio (ca. 420-461), scritto in esametri da Sidonio ApollinareApollinaireSidonio (ca. 430-490) nel 457. Il testo descrive l’invasione a sud delle Alpi di novecento soldati Alemanni, che furono fermati da Burcone, un comandante dell’esercito imperiale di MaggiorianoMaggiorianoGiulio Valerio, nei dintorni dei Campi Cani. Cito il passo in questione dal Carmen V, vv. 373-377:

      […] Conscenderat Alpes

      Rætorumque iugo per longa silentia ductus

      Romano exierat populato trux Alamannus

      perque Cani quondam dictos de nomine campos

      in prædam centum nouiens dimiserat hostes.5

      Le informazioni offerte da Sidonio vanno oltre la cronaca storica. Nella poesia è infatti suggerita la presunta etimologia del toponimo, che trae origine, a detta del poeta gallo-romano, dal nome di un tale Canus, probabilmente identificabile con un re o capo locale.6 Un etimo alternativo è proposto dal romanista Konrad HuberHuberKonrad, per il quale la denominazione Campi Canini potrebbe essere ricondotta al fatto che, secondo un topos divulgatosi tra i secoli V e VI, gli Alemanni combattevano camuffati con sembianze zoomorfe, mascherati da cani. Dopo la testimonianza di Ammiano MarcellinoMarcellinusAmmianus, l’uso del nome Campi Canini avrebbe allora indicato genericamente il luogo della battaglia contro gli Alemanni. Ovvero, fu impiegato da Sidonio ApollinareApollinaireSidonio e poi da Gregorio di ToursToursGregorio di – che non documentavano i fatti di persona – come topos letterario piuttosto che come precisa localizzazione toponimica, sebbene i riferimenti geografici del turense siano di norma tutt’altro che generici o imprecisi: si osservi a tale proposito quanto scrive della Tresa in chiusura al passo citato sopra.7 In ogni caso, il toponimo resistette a lungo. Nel corso del secolo XIII il nome passò, ad esempio, al convento delle Umiliate di Santa Maria di Pollegio, che compare dal 1256 con il titolo di Santa Maria di Campocanino, estendendo così il territorio dei Campi Canini a nord di Bellinzona, perlomeno fino alla Riviera.8 Il convento è indicato con questo nome anche in un atto notarile rogato da Iohannes de Zornico il 20 maggio 1318 a Pontemoranco (Iragna), e oggi conservato presso l’Archivio di Stato del Cantone Ticino. Sul documento, tra altre persone, è nominato un tale «d.no presbytero michaeli ministro ospitalis ecclesie sancte marie de Campo canino de pollezio».9 Infine, verso la metà del secolo successivo, il toponimo si ritrova in una pergamena del 2 gennaio 1440 relativa a una permuta di terreni situati nel bellinzonese, uno dei quali è detto giacente «in terratoro de Zubiascho ubi dicitur in Campo canino».10

      Tornando ai rapporti di quest’area col milanese, lo stretto legame del territorio prealpino con la regione lombarda

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