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al tempo l’unica documentazione affidabile relativa alle varietà lombardo-alpine e segnatamente alla Leventina. La conoscenza e l’impiego del repertorio fransciniano da parte di BiondelliBiondelliBernardino è comprovato dalle voci comprese nel suo Saggio di vocabolario dei dialetti lombardi, raccolto nell’opera in analisi. Infatti, in questo esiguo lessico, come si avrà modo di mostrare più avanti, sono incluse tutte le voci dialettali censite dal ticinese nel 1837.

      In assenza del contributo di FransciniFransciniStefano, gli studiosi che si occupavano delle varietà di Blenio e della Leventina, ma più genericamente del remoto vernacolo delle valli prealpine, erano costretti a ripiegare su fonti meno attendibili. Ad esempio, furono usate a questo scopo le versioni della Parabola del Figliuol prodigo, raccolte nel Ticino dal canonico Paolo GhiringhelliGhiringhelliAndrea e pubblicate con scarso scrupolo filologico da Franz Joseph StalderStalderFranz Joseph nella già citata Die Landessprachen der Schweiz oder Schweizerische Dialektologie, mit kritischen Sprachbemerkungen beleuchtet del 1819: BiondelliBiondelliBernardino si servì di questo testo per pubblicare nel Saggio sui dialetti gallo-italici la parabola nelle versioni delle valli Bregaglia, Maggia, Verzasca, Leventina, Blenio e di Locarno.10 Benché poco fedele sul piano linguistico, un ulteriore repertorio lessicale utile per lo studio del vernacolo di queste valli poteva essere la raccolta di poesie intitolate Rabisch: una miscellanea tardocinquecentesca, di tradizione comica o burlesca, allestita dai membri dell’Accademia dei Facchini di Milano, presieduta dal poeta e pittore Giovanni Paolo LomazzoLomazzoGiovanni Paolo con il nom de plume di Compà Zavargna.11 L’impiego di questa fonte da parte di BiondelliBiondelliBernardino è testimoniato nel paragrafo Ticinese del capitolo Saggi di letteratura vernàcola lombarda:

      1580. Dialetto della Valle di Blenio. – Onde porgere più chiara idea di questo dialetto, abbiamo estratto dai Rabisch di Gio. Paolo LomazzoLomazzoGiovanni Paolo un brano della sua Dissertazione in prosa sull’orìgine e fondamento della Valle di Blenio, ed un Sonetto di qualche pregio, nel quale il poeta (facchino) si duole colla sua amata per non essere corrisposto.12

      L’impiego in questa prospettiva del repertorio linguistico dialettale offerto nei Rabisch richiede tuttavia una sensibilità e una prudenza filologiche delle quali BiondelliBiondelliBernardino non sembra dotato. Oltre ai vincoli, ai modelli e alle convenzioni tipiche della poesia, che possono deformare o falsare il dato linguistico, e al gusto barocco e grottesco di quel tempo e di quel ambiente, queste poesie sono infatti redatte da parlanti milanesi in un dialetto bleniese di maniera, impressionistico e ipercaratterizzato, quando non in lingua zerga o in lingue di fantasia, macaroniche e parodiche come il “similbergamasco” o il “similbolognese”. In sostanza, i Rabisch sono scritti in una varietà d’invenzione modellata sul dialetto grossolano e aspro parlato dagli stagionali che allora e nei secoli a venire giungevano a Milano dalla Val di Blenio.13

      Non diversamente, per quanto concerne la descrizione della varietà dialettale praticata nei dintorni del Lago Maggiore, il verbanese secondo la classificazione di BiondelliBiondelliBernardino, l’unica documentazione diffusa erano i volumi pubblicati da un sodalizio milanese settecentesco, noto con il nome di Bedie doi fechin dol lagh meiò o d’Intragna. Questo toponimo va ricondotto alla Valle d’Intrasca (Intragna in lombardo), che sfocia nel Lago Maggiore nei pressi di Intra, in Piemonte, e non all’omonimo comune di Intragna situato nelle Centovalli del Cantone Ticino, facilmente equivocabile (e spesso equivocato):14

      Da principio i poeti milanesi adottàrono il dialetto della valle di Blenio, i cui abitanti solèvano recarsi in frotte annualmente alla capitale lombarda per esercirvi il mestiere di facchini, e, sul modello dell’Arcadia, i cui membri assumèvano spoglie pastorali coi nomi di Titiro e Melibeo, fondàrono l’Academia della valle di Blenio, nella quale, colle mentite spoglie di facchini, tentàrono nobilitare coi poètici nùmeri la lingua, i costumi ed i rozzi concetti di quella pòvera plebe. L’orìgine e gli statuti di questa frìvola Academia fùrono publicati nei Rabisch dra Academiglia dor Compà Zavargna, ove sono racchiuse molte poesie facchinesche di Gio. Paolo Lomazzi, autore di questo libro e prìncipe dell’Academia, non che varii componimenti d’altri zelanti acadèmici (…) Poco dopo, vale a dire in sul principio del sècolo XVII, vi fu sostituito il dialetto della valle Intrasca, non meno strano del primo, e proprio parimenti d’una parte dei facchini e vinaj della capitale nativi di quella valle. Venne quindi fondata la gran Badìe doi fecqìn dol lag Méjò, e in essa i poeti lombardi, serbando sempre la màschera facchinesca, illustràrono questo nuovo dialetto montano con molti componimenti poètici.15

      Gli scritti degli zanajuoli (‘facchini’)16 e vinaj (‘portatori di vino’) verbanesi redatti in lengua fachinna, nonostante l’intento letterario burlesco e la lingua caricaturale conforme a quella dei Rabisch, furono sistematicamente impiegati dai lessicografi del tempo per la descrizione e lo studio della varietà diffusa nell’area del Lago Maggiore: valga da esempio, BiondelliBiondelliBernardino e CherubiniCherubiniFrancesco antologizzano alcuni testi secondo loro rappresentativi di questo vernacolo nelle rispettive opere. In queste ricerche, ancora prescientifiche nel metodo, l’uso acritico delle fonti in lengua fachinna era normale. Più sorprendente è invece il caso dei Saggi ladini, nei quali i testi della Bedie doi fechin sono impiegati – con prudenza e consapevolezza – da AscoliAscoliGraziadio Isaia in mancanza di testimonianze alternative più affidabili:

      La Bedie aveva naturalmente adottato il vernacolo dei vinaj che sogliono calare a Milano dalla Valle d’Intragna; ma se l’arte del perfetto discorrer facchino le stava molto a cuore, come si vede da’ suoi statuti del 1715, può aversi tuttavolta legittimo sospetto che qualcosa di artificiato vi entrasse, come era certamente entrato in un caso consimile, di cui più innanzi si tocca (“Valle di Blenio”). Sta però in ogni modo che la base generale di quella parlata fosse il genuino vernacolo dei valligiani d’Intragna.17

      Oltre alle opere a stampa menzionate, BiondelliBiondelliBernardino raccoglie per altre vie un buon numero di voci direttamente riconducibili alle varietà delle valli svizzero-italiane, riunite e ordinate nel breve lessico alfabetico del dialetto lombardo. Il Saggio sui dialetti galli-italici e i relativi lessici alfabetici in esso contenuti si fondano in primo luogo sulla documentazione linguistica offerta dai repertori lessicografici dialettali già editi.18 Questi strumenti sono poi integrati con i materiali preparatori di due importanti dizionari allora in corso d’allestimento, quello cremonese di Angelo PeriPeriAngelo e quello comasco di MontiMontiPietro:

      Essendo fatti consapèvoli che i benemèriti professor Angelo PeriPeriAngelo ed abate Pietro MontiMontiPietro stàvano frattanto compilando i Vocabolarii dei dialetti Cremonesi e Comaschi, abbiamo ottenuto dalla loro gentilezza un estratto dei loro manoscritti, che speriamo vedere quanto prima alla luce per intero.19

      Secondo l’indicazione riportata nella Nota preliminare, la pubblicazione di queste opere anticipò nell’uscita il Saggio sui dialetti gallo-italici, che non fu tuttavia ritoccato alla luce degli aggiornamenti apportati con la stampa dei repertori. La ricerca si spinse anche oltre all’uso di sussidi materiali. Come riferisce il testo introduttivo al volume, la raccolta lessicale fu arricchita mediante delle indagini sul campo dello studioso, che si avvalse inoltre della collaborazione di alcuni informatori, in particolare per il dialetto cremasco, il cremonese, il bergamasco e il lodigiano.20 Per quanto concerne la koinè ticinese la fonte principale fu il manoscritto trasmesso da MontiMontiPietro, lodato proprio per l’estensione geografica della sua indagine, sistemata in «uno de’ più importanti lèssici fra i lombardi, pei molti dialetti alpini che abbraccia», scrive BiondelliBiondelliBernardino.21 L’impiego copioso del materiale raccolto da MontiMontiPietro nell’allestimento del Saggio di vocabolario dei dialetti lombardi è confermato dalla verifica incrociata tra questo e il Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como (o il provvisorio Florilegio di voci comasche pubblicato sul «Politecnico» nel 1844).22 I lemmi ricondotti ai dialetti delle valli Verzasca e Maggia presenti nel lessico di BiondelliBiondelliBernardino sono infatti ricavati dal manoscritto trasmesso da MontiMontiPietro, che fu particolarmente attento alla lingua di queste vallate, documentate mediante indagini in prima persona. Solo un esiguo numero di voci ricondotte a questi luoghi (Bentàr, Cöz,

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