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di oscillazione.2 Ovvero esitava tra la locuzione oggi diffusa, nella quale la nazione politica in forma sostantivata regge l’attributo riferito all’appartenenza culturale, e la formula che inverte in modo significativo i rapporti logici e sintattici di sostantivo e aggettivo, cioè di determinato e determinante: “Italia svizzera”. Nella lettera indirizzata a CherubiniCherubiniFrancesco il 26 aprile 1837, ad esempio, riferendosi alla stampa del primo volume della Svizzera italiana, FransciniFransciniStefano scrive: «Fra pochi giorni darò alla luce una mia descrizione storico-statistico topografica dell’Italia svizzera, di cui per commissione di un libraio di San Gallo è già a stampa la traduzione tedesca».3 L’inversione degli elementi della denominazione non si limita a questa occorrenza, che potrebbe essere condizionata dalla provenienza del corrispondente, ma si ripete anche nella stessa Svizzera italiana, la quale, in un primo progetto, doveva essere intitolata proprio Italia svizzera.4 Nel paragrafo Belle arti, incluso nel capitolo dedicato agli Uomini illustri, FransciniFransciniStefano riconduce alla “Italia svizzera” le eccellenze artistiche prodotte dai Baliaggi cisalpini, che in effetti Svizzera italiana non erano:

      I Fontana, i Maderno, i Cantoni, i Rusca, gli Albertolli sono pel Ticino una fonte di gloria immortale. Le più cospicue città d’Italia, Torino, Milano, Genova, Bologna, Roma, Napoli e più altre, Germania, Spagna, Russia van debitrici di insigni opere a valorosi artisti dell’Italia Svizzera.5

      Se quest’ultimo esempio potrebbe essere letto come un adattamento della locuzione “Lombardia svizzera”, oggi impiegata dalla storiografia, un’ulteriore testimonianza compresa nella versione aggiornata della Statistica della Svizzera non lascia margine di dubbio. Nella Nuova statistica della Svizzera italiana, pubblicata nel 1847, FransciniFransciniStefano accosta le due denominazioni, ritenute perfettamente sinonimiche: «V. Svizzera meridionale. Si stende sul pendio meridionale delle Alpi, e consiste nel Cantone Ticino e nella Mesolcina de’ Grigioni: è la Svizzera italiana o l’Italia Svizzera».6 La denominazione alternativa, che più avanti acquisterà una connotazione ideologica, con palesi sfumature di significato, non genera incongruenze nella proposta di FransciniFransciniStefano. Quest’ultimo, con intelligenza e con una visione politica emancipata dal vincolo di corrispondenza tra lingua e nazione, interpreta al meglio la situazione politico-culturale elvetica. Ovvero, concepisce la Svizzera come una federazione non solo politica ma anche culturale e linguistica, una Willensnation nel senso più pieno del termine. Nella sua visione politica la difesa della specificità culturale italiana, che va conservata e legittimata nelle dinamiche confederali come elemento primitivo e stabile, convive senza contraddizioni con la promozione della conoscenza della cultura d’oltralpe e di una vicenda storica e politica almeno in parte condivisa:

      Il Ticinese e pel clima e per le Alpi e per la diversità del linguaggio e per alcune altre circostanze, in parte ha interessi economici diversi da quelli de’ suoi Confederati, in parte non è bene al fatto delle cose svizzere e de’ bisogni della ben avventurata Confederazione a cui il suo paese si trova ascritto; ma pure egli è affezionato all’Elvezia, e cara gli è la ricordanza dei Tell e de’ WinkelriedWinkelriedArnold de, ed è superbo di portare il nome di Svizzero.7

      2. Le varietà dialettali della Svizzera italiana: classificazioni pre-ascoliane

      Di questi tre egregi autori, MontiMontiPietro è per avventura il più erudito, CherubiniCherubiniFrancesco il più accurato e copioso, BiondelliBiondelliBernardino il più metodico. Se di più saldi accorgimenti scientifici non fu dato loro di profittare, ciò non diminuisce la riconoscenza che ad essi è dovuta; e nessun’altra regione italiana può vantare un tale complesso di simultanei lavori.

      G.I. AscoliAscoliGraziadio Isaia, Saggi ladini, AGI, I, 1873, p. 252.

      2. 1. Le prime classificazioni: da DanteAlighieriDante a FernowFernowCarl Ludwig

      Nel primo libro del De vulgari eloquentia, DanteAlighieriDante divide i volgari italiani in due principali raggruppamenti, separati dalla barriera geologica del crinale appenninico. Nella descrizione dantesca, riferita a una carta geografica nella quale la penisola era orientata all’inverso della consuetudine moderna, il versante «di destra» corrisponde alla dorsale tirrenica mentre quello «di sinistra» indica il fianco adriatico:

      Diciamo dunque per prima cosa che l’Italia è divisa in due parti, una di destra e una di sinistra. E se qualcuno chiede qual è la linea divisoria, rispondiamo brevemente che è la giogaia dell’Appennino; la quale, a seconda che il colmo della vena acquifera faccia sgrondare le acque o di qua o di là in rivoli divergenti, così le fa colare, per lunghi canali, ora nell’uno ora nell’altro litorale, come descrive Lucano nel secondo libro: e la parte destra ha come sgrondatoio il Mar Tirreno, la sinistra defluisce nell’Adriatico.1

      All’interno di questi due raggruppamenti DanteAlighieriDante individua, determinandole su base prevalentemente geografico-politica e non sull’osservazione ravvicinata dei tratti linguistici, quattordici principali aree dialettali. Ad ovest: una parte dell’Apulia, Roma, il Ducato di Spoleto, la Toscana, la Marca Genovese, la Sicilia e la Sardegna; ad est: la restante Apulia, la Marca Anconetana, la Romagna, la Lombardia, la Marca Trevigiana con Venezia, il Friuli e l’Istria. Queste, a loro volta, si differenziano internamente in varietà regionali, municipali e rionali:

      Dunque la sola Italia si presenta differenziata in almeno quattordici volgari. E tutti questi volgari si differenziano ancora al proprio interno, come ad esempio in Toscana i senesi e gli aretini, in Lombardia i ferraresi e i piacentini; e persino entro la stessa città si coglie una certa variazione, come abbiamo detto più sopra nel capitolo precedente. Pertanto, a voler contare le variazioni primarie e secondarie e subsecondarie del volgare d’Italia, anche solo in questo minimo angolo di mondo si arriverebbe alla millesima diversificazione della lingua, anzi si arriverebbe anche molto più in là.2

      La mappatura geografica dei dialetti italiani proposta da DanteAlighieriDante, ignorata o negletta per secoli, fu solo occasionalmente ripresa tra il Trecento e il Novecento. Le osservazioni dantesche sono impiegate, ad esempio, nella La clef de langues del piemontese Carlo DeninaDeninaCarlo (1731-1812), redatta in francese e dedicata a NapoleoneBonaparteNapoleone nel 1804.3 Quella di DeninaDeninaCarlo è una ricerca sulla comune origine delle principali lingue europee, che precorre il metodo comparativo in senso stretto. Al paragrafo intitolato Observations sur les Dialectes, l’autore recupera acriticamente la schematizzazione proposta nel De vulgari eloquentia, sulla base della quale elabora una semplificazione ulteriore:

      En Italie, dans le quinzième siécle, on en comptoit quatorze [dialectes] qui auroient encore pu se subdiviser en quarante ou cinquante et beaucoup plus encore, lorsque dans la Romagne, dans la Toscane, et en Lombardie on pouvoit compter plusieurs républiques ou principautés indépendantes. Nous pouvons à présent en distinguer cinq ou six principaux, qui sont le Napolitain, le Romain, le Toscan, le Vénitien, le Bas- et le Haut- Lombard; comprenant sous le nome de Bas-Lombard celui que l’on parle depuis Bologne et Ferrare jusqu’à Milan, et sous le nom de Haut-Lombard le Piémontois.4

      Anche lo storico dell’arte pomerano Karl Ludwig FernowFernowCarl Ludwig (1763-1808), nell’opera intitolata Römische Studien, edita l’anno della sua morte, espone una classificazione dei dialetti italiani fondata sul divisorio appenninico, ricollegandosi di fatto alla tradizione dantesca. Tuttavia, FernowFernowCarl Ludwig rinnova la trafila degli studi precedenti proponendo un primo approfondimento sulle singole aree dialettali d’Italia, distinte fra loro mediante l’individuazione di tratti linguistici caratterizzanti, documentati con alcuni saggi di scrittura o con un campionario lessicale e fraseologico a seguito di ogni descrizione. Nel paragrafo relativo alla varietà milanese (Die Mailandische Mundart), incluso nel capitolo sui dialetti italiani (Über die Mundarten der Italienischen Sprache), si legge inoltre la prima, benché sommaria, classificazione delle varietà dialettali parlate nella Svizzera italiana.5 FernowFernowCarl Ludwig sostiene infatti che nelle aree lacustri del Cantone Ticino, nei dintorni del Lago Ceresio e del Maggiore, si parli una varietà alpina del dialetto milanese, contaminata dalla prossimità e dagli scambi cospicui con la Svizzera di lingua tedesca. Le sue osservazioni, fino a questo punto sostanzialmente

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