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de’ Tedeschi. Froda è cascata d’acqua.34

      Da ultimo, FransciniFransciniStefano menziona due termini vernacolari provenienti dal tedesco, assenti nel paragrafo sul Linguaggio, all’interno del capitolo relativo alla Costituzione degli abitanti della Svizzera italiana:

      Tra noi il cretino o idiota chiamasi nar, forse dal tedesco narr, stolto, stolido, demente. Del vocabolo orci donde si legge nell’AmorettiAmorettiCarlo e nell’EbelEbelJohann Gottfried, a noi non venne fatto di rinvenire la minima traccia.35

      Già nei Vocaboli di Leventina l’autore si interrogava sull’origine tedesca del termine nar: il fatto è parlante a proposito della staticità della ricerca lessicografica fransciniana nel decennio precedente la pubblicazione del volume Svizzera italiana. La voce dialettale orci, sconosciuta a FransciniFransciniStefano e taciuta nel paragrafo dedicato agli Idioti nella Statistica della Svizzera, è effettivamente chiosata da AmorettiAmorettiCarlo nella sua cronaca del Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne’ monti che li circondano, consultata dallo statista nell’edizione del 1824: «Presso Bellinzona, il cui piano chiamavasi anticamente i Campi Canini, si cominciano a vedere gli uomini col gozzo, e sovente stupidi, malattia ordinaria delle valli basse, calde e paludose. Qui chiamansi Orci, voce che talun vuole esser una provenienza di Hirci (Caproni)».36 Tuttavia, assente nella prima redazione del 1794, il passo potrebbe essere esemplato sull’omologa considerazione di EbelEbelJohann Gottfried, inclusa nel primo volume del Manuel du voyageur en Suisse, che legge: «Les habitans des vallées situées audessus de Bellinzone sont sujets aux goîtres; ces excroissances sont connues dans le pays sous le nom d’orci».37 Infine, ed è il fatto che più ci interessa, la voce entra nella seconda edizione del Vocabolario milanese-italiano di CherubiniCherubiniFrancesco, forse mediata dall’opera di AmorettiAmorettiCarlo posseduta dal dialettologo nell’edizione del 1817, come testimonia la bibliografia del Vocabolario patronimico italiano, o forse sulla scorta dell’appunto presente nella Svizzera italiana.38 Come si dirà meglio più avanti, nell’editio maior del suo Vocabolario milanese-italiano CherubiniCherubiniFrancesco estende i limiti della ricerca oltre i confini urbani di Milano. Nel terzo volume del dizionario trova allora spazio la voce órc, seguita dalla chiosa: «Cretino. Gozzuto. Così chiamasi nei monti di Bellinzona chi ha da natura quei difetti che lo fanno il riscontro del Crétin o del Goîtreux delle Alpi savojarde».39 L’uso del termine nel Ticino è confermato dai repertori moderni, che circoscrivono al bellinzonese l’impiego di òrch, con occlusiva finale e quindi variante di ‘orco’: hapax semantico per «gozzuto, cretino».40

      In sostanza, FransciniFransciniStefano accoglie come naturali gli elementi alloglotti (romanzi e non) presenti nella lingua del Cantone Ticino; sino a qui il Grigioni italiano non è infatti considerato negli esposti della Svizzera italiana. Anzi, la permeabilità linguistica della regione, forte di un’italianità radicata, è coerente con l’idea perseguita dallo statista, ossia con la volontà di legittimare e inserire in maniera pacifica una regione naturalmente italiana nel contesto plurilingue e multiculturale svizzero. In questa prospettiva, sessant’anni più tardi – e va perciò considerato il particolare momento storico e fatta la tara sul paragone – l’interferenza linguistica e culturale tedesca è percepita molto diversamente da SalvioniSalvioniCarlo (si vd. il terzo capitolo § 1.2). Il glottologo, infatti, dà chiara misura della propria posizione in merito a questo influsso, ridimensionando programmaticamente il fenomeno dei tedeschismi penetrati nei dialetti della regione. Lo testimonia un passo del saggio Lingua e dialetti della Svizzera italiana del 1907:

      La vicinanza e gli stretti rapporti politici colla Svizzera tedesca determinan pure la presenza di quattro o cinque dozzine di tedeschismi, ora scomparsi o tendenti a scomparire nella maggior parte. Sono voci attinenti a cose culinarie, a oggetti materiali, a nomi di esercitanti mestieri (ĝerber, kramer, žlifer, ecc.), o di cariche politiche (vébel bidello, lanfòk, landàma, mesolc. landriter).41

      1.2. La collaborazione con Francesco CherubiniCherubiniFrancesco

      Il primo approccio di FransciniFransciniStefano alla riflessione sulla lingua, affrontata da autodidatta e mai realmente approfondita, avvenne probabilmente negli anni milanesi. Il quadriennio di frequentazione al seminario arcivescovile di Milano fu importante per la sua formazione, ma, nella nostra prospettiva, più determinante fu l’incontro e l’amicizia con il lessicografo Francesco CherubiniCherubiniFrancesco. Quest’ultimo era direttore della Scuola Elementare Normale Maggiore di Milano dal 1820, istituto dove, dallo stesso anno, FransciniFransciniStefano esercitò con l’incarico di insegnante provvisorio fino al 1824, quando lasciò la capitale lombarda per rientrare nel Ticino.1 Al tempo, CherubiniCherubiniFrancesco aveva già allestito e dato alle stampe la prima edizione in due volumi del suo Vocabolario milanese-italiano (1814) e attendeva alla seconda edizione ampliata, pubblicata sempre a Milano in quattro volumi (1839-1843), integrati da un libro di sopraggiunte edito postumo nel 1856.2 Inoltre, a lato del ricco cantiere milanese, il lessicografo raccoglieva materiali e si occupava di ricerche linguistiche di varia tipologia, che sarebbero idealmente confluite nella colossale Dialettologia italiana.3

      Il primo contributo dialettologico fransciniano è da collegare proprio all’attività di CherubiniCherubiniFrancesco. Nell’anno immediatamente successivo al suo rientro a Bodio dopo l’esperienza di Milano, FransciniFransciniStefano si offrì di schedare e spedire al collega alcune voci dell’area linguistica a lui più familiare, ovvero delle varietà dell’alto Ticino, in particolare della Leventina. Lo documenta una missiva dello statista a CherubiniCherubiniFrancesco, scritta da Bodio il 17 giugno 1824:

      Ove credesse, ch’io le potessi dar qualche idea o di fatto o di teorica sui nobilissimi dialetti di qui, abbia la bontà di accennarmelo, che col maggiore piacere del mondo, farò tutto quello che saprò e potrò.4

      Gli archivi non serbano traccia della responsiva di CherubiniCherubiniFrancesco, ma possiamo supporre che la proposta fu accolta positivamente sulla base delle parole del ticinese scritte nella lettera successiva, del 12 luglio 1824. In quest’ultima viene infatti data prova e notizia che la collaborazione lessicografica prese avvio. Infatti, in calce alla missiva è incluso un breve elenco di vocaboli in italiano seguiti da un corrispettivo nella varietà della Leventina. Il lemmario, che include unicamente parole in ma- (con l’eccezione di cavamacchie, un composto imperativale basato sul nome macchia) è arricchito da un apparato di osservazioni sul significato, la pronuncia e ulteriori aspetti relativi alle voci censite: un’edizione integrale di questa e della lettera del 5 agosto, parzialmente trascritta sotto, è approntata nell’appendice al volume.5 FransciniFransciniStefano comunica inoltre di aver raccolto alcuni vocaboli della varietà romancia e di quella engadinese (alta e bassa), nonché di aver coinvolto nella documentazione lessicale altre persone rimaste anonime nella corrispondenza, incaricate di descrivere i dialetti della Val di Blenio, della Riviera e del locarnese e valli:

      Ma n’ho dispiacere e rabbia vedendo che dopo tanto tempo scorso dalla ricevuta della sua carissima sino ad ora, non posso mandarle altro che i vocaboli di Leventina. Per que’ di Blenio e Riviera ho scritto ad un Medico amico mio, per que’ di Locarno, Verzasca e Valle Maggia ad un Avvocato; ma né l’uno né l’altro mi ha per anche ragguagliato di cosa alcuna, sebbene io sappia da buon canale che se ne occupano ambidue. Ho raccolto de’ vocaboli dell’Engaddina e della lingua romanza de’ Grigioni ma venendomi essi da persona non la più pratica di que’ dialetti, aspetto a consultar fra pochi dì un altro soggetto.6

      Poco meno di un mese più tardi, con una lettera del 5 agosto 1824, FransciniFransciniStefano invia al lessicografo anche i materiali ottenuti dagli informatori anonimi, ai quali è attribuito il ritardo nella trasmissione:

      Avviene talvolta che altri venga giudicato cattivo pagatore, per colpa in realtà non sua ma de’ suoi propri debitori. Appunto così io le debbo parer cattivo corrispondente. Perocché i miei corrispondenti hanno sino a questi giorni indugiato a riscontrarmi. Ma pure è meglio tardi che mai.7

      Come nella precedente, anche nella missiva del 5 agosto

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