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nel suo articolo Lingua e dialetti della Svizzera italiana stabilisce che l’isoglossa del passaggio di ū latina a ü e di l intervocalica a r, che caratterizza le varietà bellinzonesi-lombarde, coincide con il confine diocesano-politico:

      Una divisione abbastanza netta la si riscontra pure tra la Mesolcina e il finitimo territorio bellinzonese; e che sia determinata dal confine diocesano-politico, è dimostrato dal fatto che a Lumino, l’ultimo villaggio bellinzonese, geograficamente spettante alla Mesolcina e non diviso da nessun ostacolo naturale dal prossimo villaggio grigione di S. Vittore, – che a Lumino, dico, si abbiano i due nel caso nostro importantissimi fenomeni bellinzonese-lombardi di ü (è veramente a Lumino un ü più aperto, leggermente più vicino a u che non l’ü lombardo) per u lungo latino, e di l intervocalico in r, mentre a S. Vittore si ha u e l.5

      In secondo luogo, l’identità culturale e l’appartenenza allo spazio geografico lombardo e italiano era naturale e accettata dalle comunità, nonché condivisa nella percezione maggioritaria al nord delle Alpi. Anche negli anni o nei decenni successivi all’atto di mediazione napoleonico (1803), con il quale è istituito lo Stato del Cantone Ticino, gli abitanti di queste terre si riconoscevano come etnicamente lombardi. La formazione e l’assestamento di un’identità ticinese è stata problematica e ha richiesto molto tempo anche in ragione dei secoli di autonomia comunale che hanno preceduto l’istituzione cantonale; nelle prossime pagine si tornerà anche su questo aspetto.6

      Non sorprende dunque che, come osservato, la menzione della sovranità svizzera si manifesti con crescente intensità solo dal secolo XVIII, spesso assumendo le forme di un riferimento politico-amministrativo più che etnico-identitario.

      La situazione delle valli italofone del Grigioni è sostanzialmente la stessa. Anche in questo caso la patria comunale rappresenta il principale elemento identitario, seguito con una certa frequenza dal riferimento geografico alla vallata di origine; una caratteristica impiegata, come abbiamo visto, anche nella Lombardia svizzera. E se l’italianità di queste terre è percepita come ambigua, o quantomeno sensibilmente contaminata dall’influenza romancia e tedesca, il riferimento diocesano è infrequente in ragione dell’orientamento confessionale di queste terre. Infine, dagli esempi analizzati sopra, sembra che per i territori italiani del Grigioni l’assetto politico-amministrativo sia più sentito sul piano identitario rispetto a quanto osservato per la Lombardia svizzera. La modalità di annessione e lo statuto paritario di queste comunità nella coalizione delle Tre Leghe avranno avuto un peso certo maggiore a tale proposito rispetto alla sovranità elvetica imposta nella Lombardia svizzera.

      Riassumendo, in entrambe le aree il riferimento comunale, o tutt’al più diocesano o geografico, era ben più presente rispetto al livello regionale la cui definizione lessicale si afferma, di fatto, in coincidenza con la maturazione di una coscienza nazionale tipica del secolo XIX. In conclusione, dunque, in epoca ducale e poi nei secoli successivi, era impiegato un sistema etnonimico non diverso da quello in uso nell’Italia geograficamente intesa, e non solo.

      Come nei territori della Lombardia svizzera e delle valli italofone del Grigioni, nella penisola italiana in epoca illuminista, con il formarsi di un’ideologia protonazionalista, si attestano le prime resistenze alla segmentazione che sgretolava internamente l’ideale nazione italiana. Ne offre celebre esempio il racconto Della patria degli italiani di Gian Rinaldo CarliCarliGian Rinaldo, pubblicato in forma anonima sul secondo numero del «Caffè» di Pietro VerriVerriPietro nel 1765, nel quale la frammentazione identitaria è finemente criticata:

      Guarda egli con un certo insultante sorriso di superiorità l’incognito, indi gli chiede s’egli era forestiere. Questi con un’occhiata da capo a’ piedi, come un baleno, squadra l’interrogante, e con aria, di composta e decente franchezza risponde: No signore. È dunque milanese? riprese quegli. No signore, non sono milanese: soggiunge questi […] Sono Italiano, rispose l’incognito, e un Italiano in Italia non è mai forestiere; come non lo è in Francia un Francese, in Inghilterra un Inglese, un Olandese in Olanda e così discorrendo.7

      Una dinamica analoga dovette agire negli stessi anni, o poco più tardi, anche sui territori della Lombardia svizzera e del Grigioni, e sulla loro percezione interna ed esterna. Risale a questo periodo, come noto, una tra le prime attestazioni del sintagma Svizzera italiana («Italienische Schweiz»), impiegato dal pastore zurighese Hans Rudolf SchinzSchinzHans Rudolf (1745-1790) nella sua descrizione dei baliaggi intitolata Beyträge zur nähern Kenntniß des Schweizerlandes, sulla quale si tornerà nel secondo capitolo.8

      Di poco precedente, e meno o per nulla conosciuta, è invece la testimonianza in lingua latina della locuzione che si trova in un passaporto redatto per l’architetto luganese Giuseppe QuadriQuadriGiuseppe da un notaio di nome «Ladislaum EgyEgyLadislaum» della città ungherese di Gyöngyös, nella quale abitava il capomastro. In questo salvacondotto, emesso il 23 ottobre 1779 per un viaggio di lavoro in Italia seguito da una visita al borgo natio, il territorio della Lombardia svizzera è definito una repubblica «Helvetico Italica»:

      Praesentium ostensor, concivis noster dominus Cristophorus Quadrii, magister murarius et architector, proficiscitur ex oppido nostro privilegiato Gyöngyös, in comitatibus Hevesiensi et exteriori Szolnok, artificialiter unitis, ingremiato, loco videlicet per Dei gratiam sano et salubri, tum consanquineorum visitandi, tum etiam certorum negotiorum suorum pertractandi causa, in regnum Italice, et quidem, per urbes Mediolanum, Como reliquasque iter suum in ipsa republica Helvetico Italica contentas, in urben nomine Lugano, originis quippe suae locum […].9

      Seppure lontani in termini identitari, geografici e culturali dalla rispettiva denominazione moderna, che sarà definita e connotata nel suo senso attuale principalmente dall’opera politico-culturale di FransciniFransciniStefano, lo sviluppo di questi sintagmi negli ultimi anni dell’ancien régime è il segnale di una progressiva evoluzione e del riassestamento della gerarchia dei riferimenti identitari nella Lombardia svizzera, conseguente la graduale stabilizzazione dell’amministrazione politica elvetica. Così, l’italianità di queste terre, un elemento fondamentale della denominazione geografica della regione e del carattere etnico delle sue comunità, diventa gradualmente un attributo: sono i primi segnali di un’evoluzione che porterà, nel giro di alcuni decenni, dalla Lombardia svizzera alla Svizzera lombarda, o italiana.

Capitolo secondo. L’Ottocento. Tra Lombardia e Svizzera

      1. Stefano FransciniFransciniStefano e la lingua della Svizzera italiana

      1.1. La riflessione sulla lingua: fonti e indagini

      All’istituzione dello Stato cantonale, sotto il nome di Cantone Ticino era riunito un territorio che non aveva alcun legame politico interno da ristabilire, al contrario da secoli era frammentato da un antico e radicato spirito municipale.1 A differenza della vicina Lombardia, nella quale la cacciata degli invasori austriaci – che fungevano da guardie e giudici, che gestivano la cosa pubblica e la politica – aveva generato uno spirito comunitario, o perlomeno ne aveva creato i presupposti, nei baliaggi cisalpini gli svizzeri garantirono alle comunità autoctone ampi diritti di libertà. L’autonomia amministrativa e confessionale concessa dai cantoni confederati alla Lombardia svizzera fece sì che questa conservasse sostanzialmente inalterate le proprie antiche strutture. Di conseguenza le comunità di queste valli, organizzate sulla base di accordi comunali di tradizione medievale, si trovarono alle soglie del secolo XIX ancora slegate l’una dall’altra, senza alcuno spirito regionale o collettivo.

      Con le opere di storia e di statistica pubblicate negli anni Venti e Trenta, FransciniFransciniStefano intendeva consolidare un sentimento cantonale unitario e smentire la presunta inferiorità etnica e amministrativa del Cantone Ticino, considerato profondamente e negativamente diverso rispetto al resto della Confederazione, in termini di arretratezza sociale, di immaturità politica e di povertà economica.2 La portata della sua riflessione non è però circoscritta entro i confini ticinesi. Con l’opera intitolata La Svizzera italiana (1837-1840) lo statista promuove infatti un’identità intercantonale, vincolata alla componente culturale e linguistica, che permette di mediare la distanza fisica, politica e sociale dei due territori implicati: il Cantone Ticino e il Grigioni

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