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      —Non mi meraviglierei,—osservò il conte,—che la decisione fosse propizia. Vi sono uomini che calpestano la fortuna, la insultano, e a cui essa, appunto come femmina, corre dietro.

      —Non me ne meraviglierei neppur'io!—soggiunse l'avvocato.—Pietro ha avuto sempre una fortuna uguale, per lo meno, alla sua mancanza di coscienza. Gli errori cagionati da questa li potè sempre riparare, sin ora, coi favori dell'altra….

      —Oh, il duca!—

      Il duca di Montrone scendeva la fastosa scala, che era dinanzi alla porta principale della sua villa da sovrano, dando il braccio a sua figlia.

      Enrica, pallidissima, scendeva lentamente e come se dovesse ad ogni tratto cadere.

      Subito i gentiluomini andarono incontro al duca per festeggiarlo.

      Erano pochi amici, arrivati innanzi tempo, per essere tra i primi a stringere la mano al valoroso, all'antico compagno di eleganti dissipazioni.

      Il marchese già doveva avergli parlato, poichè usciva dalla villa dopo il duca ed Enrica.

      —Viva il duca!

      I contadini, scortati da Domenico, che pronunziò poche parole, si stringevano attorno al gentiluomo, urlando a tutta possa, agitando rami fioriti. Incominciò la danza della tarantella; la dolce musica napoletana risuonava sotto il bel cielo di opale e di azzurro.

      Una delle ragazze offrì alla figlia del duca un magnifico mazzo di fiori.

      Essa rispose con un sorriso, tra sarcastico e altero, senza gentilezza di sorta.

      Tutte guardavano Enrica, rigida, benchè in preda a una sofferenza che le traspariva dal volto; seducente ma d'una di quelle bellezze che fanno paura.

      Il duca stringeva la mano a' suoi contadini; e specialmente coi vecchi, i quali l'avean tante volte, bambino, gratificato ne' suoi desiderii, e aveano tanto amato i suoi genitori, si mostrava espansivo.

      Uomini, donne, si trovavano col duca a loro agio; la sua gaia affabilità li confortava, ispirava in essi riconoscenza; ma l'aspetto di Enrica li turbava, li agghiacciava sempre.

      Essa era sì indifferente, sì sdegnosa e, sembrava loro, sì cattiva, che lasciava in quelle povere anime un vero sgomento.

      Enrica avea sentito più volte questo effetto che ella destava, e ne avea gioito, come se le andasse a versi di esser tenuta una creatura malefica: come se godesse del maligno influsso che esercitava.

      Non sì tosto il duca era comparso con Enrica sulla soglia della porta della villa, si erano sparati da un'altura del parco mortaretti e per tutto il parco rimbombavano colpi di fucile in segno di gioia.

      Il duca, nel rivedersi in mezzo a' suoi, era commosso, ravvivato da vera allegrezza.

      A un tratto, in mezzo alla folla, Cristina si avvicinò al giardiniere

       Domenico.

      —Ubriacone!—gli mormorò.

      —Sono io!…

      —Nella casetta… in fondo al parco… tutto è in ordine…. Questo è il momento!

      Domenico si turbò un poco.

      —Ho capito!—rispose in un tuono che l'altra fu soddisfatta….

      Di lì a pochi minuti, Domenico fu alla casetta.

      La strada, che corre in fondo al parco, era deserta.

      In quell'ora tutte le persone dei dintorni si trovavavano a festeggiare il duca: e, per ordine suo, in un attimo s'erano imbandite le mense per rifocillare, dopo le danze, la gente accorsa; qualche centinaio di persone.

      Domenico avea attaccato una delle carrozze di cui si serviva Enrica: e dentro vi avea accomodato un oggetto recato con pena e con ogni cura fra le sue braccia: oggetto che dovea essere molto prezioso, poichè, innanzi di deporlo nella carrozza, avea guardato più volte a destra e a sinistra: e avea chiuso la carrozza ermeticamente da tutti i lati, dopo aver tirato giù le tendine azzurre sui vetri.

      Incominciava a cadere il crepuscolo, allorchè Domenico, salito a cassetta, con piglio assai vivace, aveva sferzato i cavalli, che s'impennavano.

      Subito uscì, di dietro a un gruppo d'alberi, Cristina, sempre più pallida e più contraffatta.

      —Guarda,—gli disse,—beone, di non fermarti a nessuna osteria…. E attento a non parlare a nessuno…. È il segreto di una povera donna…. Se tu cianciassi… sarebbe licenziata….

      Aprì una cassetta, ben salda, che era sul dinanzi della carrozza, e mostrò a Domenico un sacchetto pieno di ducati.

      —Questo per la donna….

      —Ho capito!—ribattè Domenico con sufficienza. E i cavalli partirono.

      —Il segreto di una persona di servizio!—pensava Domenico,—come se io non sapessi i segreti de' gran signori….

      E continuava, con le guide in mano, a stringer le labbra, ad alzar le spalle, a far gesti, come per assicurarsi che il segreto sarebbe morto con lui!

      Il duca, intanto, parlava col conte di Squirace.

      Il conte non cavava gli occhi di dosso ad Enrica. Essa gli piaceva: aveva cercato più volte vederla durante l'assenza del padre, ma indarno.

      Le aveva scritto: ne avea ricevuto ripulse: le si era mostrato, quando frequentava la casa di lei, appassionatissimo: ella gli aveva risposto con indifferenza e quasi con oltraggio.

      Gli sembrava che ora, invece, l'incoraggiasse.

      Le parole da lei indirizzategli non erano improntate della solita asprezza.

      Il conte si permise far rilevare al duca che la bellezza della sua figliuola andava sempre crescendo: che, anche in quel punto, benchè malazzata, non perdea della sua gran venustà.

      —Essa ha un fascino strano,—diceva il conte al suo provetto amico.—Non credo ci sia oggi in Napoli un'altra bellezza più singolare, e che commuova, al primo riguardarla, più della bellezza di lei…. Qual trionfo l'aspetta nel nostro gran mondo… alla Corte….

      —Oh, io non mi curo,—rispose il duca,—di queste frivolezze…. E non credo neppure che Enrica se ne curi…. Essa è un po' altera, ma non ambiziosa: almeno se io ben la conosco…. Or è un anno, il giovane principe m'ha parlato di lei…. La lodava quasi con entusiasmo dinanzi alla regina madre: ma ciò era un semplice pretesto—per far arrabbiare la nuova favorita di allora, che assisteva al colloquio, la principessa di Sarno….

      —La mia, tutt'altro che venerata cugina….

      —Ma resterete qui con noi almeno fino a domani,—interruppe il duca, distratto dalle persone, che ogni tanto gli s'avvicinavano, gli facevano festa con gli sguardi, coi sorrisi, o aspettavano da lui una parola.—Restate: stasera a cena dobbiamo essere una ventina…. Ho fatto apprestare tutte le camere nelle due villette, che servono per gli ospiti, affinchè essi possano avere la massima libertà. Vedete, in fondo al giardino… là….

      Vi si arrivava dalla via principale per una serra, piena di palme, di orchidee, di nepenti….

      Il conte accettò l'invito.

      Sapeva benissimo che Enrica non avrebbe assistito alla cena: ma pensava che la mattina appresso gli sarebbe venuto l'atto d'incontrarla nel parco: avrebbe potuto parlare.

      A ogni modo era lieto di esserle vicino.

      Dopo la cena, che durò sino a ora inoltrata della notte, si coricò molto allegro: il suo ultimo pensiero, prima di addormentarsi, fu per la bizzarra donzella.

      Il conte di Squirace aveva appena trent'anni: era stato sempre ordinato nella sua vita, ma lo tacciavano di carattere doppio, di avarizia, di meschini appetiti.

      Il duca, lasciati, a tarda ora, dopo cena, i suoi convitati, era entrato

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