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di fuggirgli; cadono tutti tramortiti in tal guisa, che l'uomo li può prendere, come fossero morti. —

      E ciò detto, essendo finito con la lezione il pasto [pg!10] delle sue bestie nobilissime, mastro Benedicite si volse da capo al beniamino randione:

      — Non è egli vero, fili mi dilectissime, che voi siete uccello da cosiffatte prodezze? Or via, pigliate il cappello e buona notte. Salve tandem!

      Il falcone, con la mansuetudine di tutti i suoi pari, quando siano manieri, e stati da gran pezza a scuola sotto un buon maestro d'arte aucuparia, raffermò con moti quasi soavi le palpebre, si lasciò incappellare come un membro della confraternita della Morte, e coi geti annodati ai piedi si pose chetamente sul bastone a dormire.

      Ora, in quella che mastro Benedicite si metteva attorno agli altri falconi per far loro il medesimo uffizio, si affacciò sull'uscio della falconeria un famiglio.

      — Ohè, mastro Benedicite, s'ha egli da alzare il ponte, questa sera?

      — Che ponte mi vai tu pontando ora? — gridò stizzito il falconiere.

      — Sì, il ponte, il ponte! — disse di rimando quell'altro. — Messer lo Conte e tutta la sua gente sono per andare a mensa, e credo non aspettino più altri da fuori.

      — Questo sapevo; e poi?

      — E poi, mastro Benedicite, io non c'entro. Se a voi piace che il ponte rimanga calato, accomodatevi pure. Voi avete da messer lo Conte ogni autorità, per far questo ed altro....

      — Sì certo, e me ne vanto; — rispose lo strozziere, che parlava allora da comandante della guardia — e penso di non essere venuto meno alla fiducia di messere Ugo. Il ponte è alzato.

      [pg!11] — È calato, — s'impuntava a dir l'altro — qui siete in errore; è calato.

      — Amico, — esclamò mastro Benedicite, dopo aver bene squadrato in viso il famiglio, alla luce di una lanterna che aveva accesa durante quel po' di conversazione, — bibisti quam maxime, a quel che pare.

      — Che cosa dite? io non intendo il vostro latino.

      — Dico che tu t'impacci de' fatti tuoi, e non mi venga a far l'omo; dico infine che tu se' pazzo, o ubbriaco. —

      Quell'altro si strinse nelle spalle, facendo con le labbra l'atto di chi alla perfine non ci ha nè sal nè pepe da metter su. E mentre il vecchio, presa la lanterna, esciva dalla falconeria per avviarsi alla porta della rocca, si fece in tal guisa a proseguire il discorso:

      — Io non volevo far altro che darvi un cenno della cosa. Per me, poi, stia calato, o si alzi, non me ne importa un frullo. Ad altri, in cambio, può talentare che l'escita sia libera, e non c'è nissun male. Già, chi ha da venire a darci molestia quassù? Nemici molti, si farebbero scorgere troppo tempo prima. Pochi, avrebbero degna accoglienza. E se pure non si ha paura del diavolo.... il quale del resto non ha bisogno....

      — Sta zitto là, manigoldo! — gridò Benedicite, e fu ad un pelo di mettergli la palma della mano sui denti. — Tu non sai quel che ti dica, e meno ancora di quello che hai detto poc'anzi del ponte calato.

      — Orbene, vedete di per voi; è alzato o calato? Erano allora per l'appunto alla porta, e i buffi dell'aria esterna s'ingolfavano rumorosamente sotto l'androne. Mastro Benedicite non rispose, che non [pg!12] avea tempo da schermire di lingua col famiglio, e con passo deliberato corse da un lato dell'androne a cercare un uscio socchiuso, donde usciva un po' di luce fumosa e un suon di voci avvinazzate.

      — Che fate voi qui, pendagli da forca? Giuocate a zara? Avrete tempo a giuocare, quando sarete con Satanasso, che il malanno vi ci porti illico et immediate! Chi ha calato il ponte, che è stato levato pur mo' sotto i miei occhi?

      — Mastro Benedicite, — rispose uno degli arcieri, alzandosi dalla panca, — noi non ci siam mossi di qui. Se il ponte era alzato, come voi dite, penso che lo sarà tuttavia.

      — No, vi dico; è calato.

      — Sarà qualche paggio, — entrò a dire un altro della brigata, in quella che tutti uscivano dalla camera per tener dietro allo strozziere, — sarà qualche paggio randagio, che ne fa qualcuna delle sue.

      — Baie! Questi manigoldi si calano giù nel fosso dalle finestre, quando loro metta conto di uscire a far le scorribande nel vicinato. E così si fiaccasse una volta il collo, messer Fiordaliso, che ha introdotto il costume di appendersi alle scale di corda! Ma qui, vivaddio, gatta ci cova, o voi altri avete calato il ponte, ed ora che siete alticci dal vino, non ve ne ricordate più altro. —

      Gli arcieri, che ben sapevano di non averci messo mano, ma che pure volevano farla finita con le sfuriate di quell'autorevole personaggio, non risposero verbo. Chi tace acconsente; e per tal guisa fu tacitamente ammesso che il ponte di Roccamàla, la sera del 29 novembre, giorno di san Saturnino, dell'anno del Signore 1284, era stato levato e calato.

      [pg!13] Ma quel ch'era stato disfatto bisognava rifare. E già si appigliavano alle manovelle per trarre le catene, allorquando si udì dall'altro lato del fosso lo scalpito di un cavallo che risaliva galoppando il pendìo, e, subito dopo, lo squillo di un corno che domandava ospitalità al conte Ugo di Roccamàla.

      — Chi diamine giunge a quest'ora? — esclamò uno degli arcieri.

      — Proprio a tempo, — soggiunse un altro, — per farci risparmiar la fatica!

      — E come ha fretta, il sere! E' suona alla disperata.

      — Su, su, tirate, alla croce di Dio, e non mi state a far chiacchiere! — interruppe lo strozziere.

      — O perchè volete voi che si alzi il ponte, ora, per calarlo da capo? E l'ospite che giunge, per dove volete che passi?

      — Che ospite del malanno! Vada a farsi impiccare per la gola....

      — Ma.... e messer lo Conte, se giunge a risaperlo....

      — Messer lo Conte.... messer lo Conte.... vi comando io, e pagherò io per tutti. —

      E dicendo queste parole, il vecchio strozziere tremava a verghe.

      — Poffarbacco! — esclamò uno degli arcieri — si direbbe che avete paura di una visita di messer Satanasso in persona. Basta, sia come vi talenta, o, per parlar latino alla vostra guisa, fiat volontas tua, mastro Benedicite. Orsù, figliuoli, alle manovelle!

      — Sì, sì, alle manovelle! — ripetè lo strozziere, più morto che vivo, senza stare a piatire coll'arciere, e mettendosi all'opera egli stesso con le braccia tremanti.

      [pg!14] — Ohè! ohè! messeri! In tal guisa si ricevono gli ospiti, dalla gente costumata?

      Queste parole, accompagnate da un riso sarcastico, venivano dall'altra banda del fosso. Mastro Benedicite non poteva scorgere chi fosse, essendo egli sotto la luce della lanterna, e il nuovo capitato fermo di là dal ponte nella oscurità della notte; ma tant'è, gli parve di scorgere un paio d'occhiacci fiammeggianti, e per moto naturale si recò le dita alla fronte, per farsi il segno della croce.

      — Domine salvum fac.... Vade retro Satana.... — borbottò egli tra i denti. — Alzate, alzate, in nome di Dio!

      Intanto il riso sarcastico si faceva udire da capo, e la voce con esso.

      — Ah! ah! grazie, grazie, per mia fe', mastro Benedicite! Un povero romèo è egli dunque un cane tignoso, che gli si chiudano le porte sul muso? In verità ch'io mi facevo più ospitali i signori di Roccamàla. —

      Tocco nel vivo, lo strozziere si fe' qualche passo innanzi, ma senza por piede sul tavolato del ponte, e tirando intorno a sè tutti gli arcieri, perchè gli facessero buona difesa; quindi, con voce che si provava a far parere sicura, rispose:

      — I signori di Roccamàla furono sempre e saranno i più ospitali cavalieri della cristianità, messer pellegrino, e cotesto abbiatevelo per fermo. Appunto in quest'ora c'è corte bandita a tutti i più riputati che portino spada e cappa in questi dintorni, e scorre il vin di Cipro, che alla mensa del serenissimo doge

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