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Indice

      Novella.

      I.

      Sofia non alzava gli occhi dal suo lavoro, e le sue dita leggere volavano su quella trina delicata. Invece Lulù girava per la camera, spostava gli oggettini sulle mensole, apriva un tiretto per guardarvi dentro, distratta; era chiaro che essa voleva fare o dire qualche cosa, ma che il contegno serio della sorella maggiore la metteva in soggezione. Provò a canticchiare un po' di canzone, disse un verso di Dall'Ongaro; Sofia parve non aver inteso. Allora Lulù, che non peccava di molta pazienza, si decise ad affrontare la questione, e piantandosi davanti alla sorella, le chiese:

      —Sofia, sai quello che mi ha detto mademoiselle Jeannette?

      —Nulla di molto interessante, per certo.

      —Ci siamo con una risposta secca e fredda, da far venire i brividi in estate! Dove prendete il vostro gelo, o mia agghiacciata sorella?

      —Lulù, sei una vera bambina.

      —Ecco dove v'ingannate, bisavola del mio cuore; io non sono una bambina, perchè mi marito.

      —Eh?!

      —È appunto quello che mi ha detto Jeannette.

      —Che imbroglio! Io non capisco niente.

      —Or ora, ti narrerò tutto, come si dice nei drammi. Ci sarà un racconto… ma Vostra Serietà mi presta tutta la sua attenzione?

      —Sì, sì, ma sbrigati.

      —Il giorno delle corse al Campo di Marte, ecco il tempo ed il luogo.

       Tu non vi eri, tu che preferisci i tuoi eterni libri…

      —Se divaghi sempre, non ti ascolto più.

      —Devi ascoltarmi; questo segreto mi soffoca, mi uccide.

      —Ricominci?

      —Smetto, smetto. Dunque alle corse stavamo in prima fila sulla tribuna: viene Paolo Lovati e ci presenta un bel giovane, Roberto Montefranco. Soliti saluti e complimenti vaghi, essi trovano dei posti e siedono alle nostre spalle; scambiamo qualche parola, sino a che si ode il segnale della partenza dei cavalli. Ti ricordi che io proteggeva Gorgona, senza prevedere quanto essa mi sarebbe stata ingrata… basta, bisognerà rassegnarsi anche all'ingratitudine delle bestie. Una nube di polvere fa scomparire i cavalli. «La Gorgona vince!» esclamo io. «No, dice sorridendo Montefranco, vince Lord Lavello.» Io m'indispettisco per la contraddizione, egli continua a sorridere ed a contraddirmi; facciamo una scommessa, una discrezione. Infine dopo mezz'ora di palpiti e di ansietà, arrivo a sapere che la Gorgona è una traditrice, che io ho perduto e che Montefranco ha guadagnato: figurati! Gli dico che voglio pagare subito subito, egli s'inchina e risponde che c'è tempo; lo incontro a Chiaja, gli rivolgo un'occhiata che è un'interrogazione; egli si contenta di salutare e sorridere in un modo misterioso. Così al teatro, così dappertutto; io vivo nella massima curiosità: Roberto è bello, ha ventisei anni… e stamane il signor Montefranco padre, mio futuro suocero, è rimasto in conferenza due ore con la mamma!

      —Oh!

      —Segni di attenzione nel mio pubblico. La visita del papà l'ho saputa da Jeannette. Dunque il matrimonio è fatto. Resta a stabilirsi una cosa di grave momento: quando andrò dal Vice-Sindaco, avrò un abito grigio o foglia morta? Porterò il cappello con le sciarpe o senza?

      —Come corri…

      —Corro? Sicuro: non vi sono ostacoli. Con Roberto ci amiamo alla follia, i nostri degni genitori sono contenti…

      —E tu sposeresti un uomo così?

      —Che significa quel così? Vocabolo elastico.

      —Senza conoscerlo, senza amarlo?…

      —Ma io lo conosco, l'ho visto alle corse ed alla passeggiata! Io lo adoro! Ieri l'altro, non avendolo visto, rifiutai di far colazione e presi invece tre tazze di caffè, per cercar di suicidarmi.

      —E lui?

      —Mi sposa, dunque mi ama!—replicò vittoriosamente Lulù.

      Ma vedendo il volto di Sofia scolorirsi, si pentì di quella frase imprudente e curvandosi verso di lei, le chiese con affetto:

      —Ho detto qualche cattiveria?

      —No, cara, no; hai ragione. Chi ama, sposa. Il difficile è farsi amare—e sospirò lievemente.

      —Farsi amare, farsi amare!—ripetè irritata Lulù.—È facilissimo, Sofia; ma quando, come te, si ha la fronte severa, gli occhi tristi e la bocca senza sorrisi; quando si vestono abiti oscuri; quando si va in un angolo a pensare, mentre tutti gli altri ballano e scherzano; quando invece di ridere si legge, ed invece di vivere si sogna; quando, giovane ancora, si ha l'aria stanca e vecchia, allora è difficile esser amata.

      Sofia abbassò il capo, e non rispose. Le tremavano un poco le labbra come se comprimesse un singhiozzo.

      —Ti ho afflitta di nuovo?—domandò Lulù.—Gli è che vorrei vederti amata, circondata di affetto, e sposa… Che piacere se fossimo spose lo stesso giorno!

      —Follie queste: io resterò zitella.

      —Nossignora, ve lo proibisco, cattiva creatura. Se Roberto è un galantuomo, deve avere assolutamente un fratello celibe; io voglio che abbia un fratello celibe; lo voglio!

      In questa entrò la madre, in abito da uscire.

      —Vai fuori, mamma?—disse Lulù.

      —Sì, cara, vado dal notaio.

      —Uh! dal notaio! Roba grave è questa.

      —Ve ne accorgerete, signora burlona. Sofia, vieni un istante meco.

      —Anche Sofia ha degli affari tenebrosi col notaio?

      —Lulù, quando ti deciderai ad essere seria?

      —A momenti, mamma; vedrai.

      Schiuse la porta, ed al passaggio della madre e della sorella, fece due profonde riverenze, mormorando:

      —Signora, signorina…

      Quando furono fuori, dalla soglia gridò loro, scoppiando in risate:

      —Parlate, parlate pure: io farò le viste di non saperne nulla!

      II.

      Roberto Montefranco, per solito, non pensava molto: non ne aveva il tempo. La giornata gli fuggiva fra la colazione, la passeggiata a cavallo, le visite ed il pranzo; la sera scorreva dolcissima presso Lulù, la sua fidanzata. Poi ci erano gli affari spiccioli da sbrigare, qualche appuntamento con l'avvocato, qualche contratto da firmare, qualche debituccio vecchio da soddisfare; aggiungete i preparativi della casa e del viaggio nuziale. Appena appena se gli rimaneva una mezz'ora per leggere e un quarto d'ora per isprecarlo alla porta del caffè. Così non lo si vedeva mai assorto in riflessioni profonde, nè si sapeva che egli si fosse mai occupato a risolvere qualche problema sociale: perchè, del resto, Roberto non aveva nulla di tragico o di eroico nel carattere. Anzi godeva di una serenità di spirito invidiatagli da molti.

      Quel giorno—un giorno qualunque, di dopopranzo—si era disteso sulla poltrona, una gamba a cavalcioni dell'altra, lo stuzzicadenti in bocca, ed un volume delle edizioni Treves in mano, con la determinazione netta di leggere. Il libro era interessante; ma, caso nuovo e strano, il lettore era molto distratto; dirò di più, era nervoso ed inquieto. Non voltava mai il foglio perchè dopo un paio di versi, le lettere uscivano di posto, saltavano, si confondevano, scomparivano. Roberto, senza sua voglia, partiva per le incognite regioni del pensiero.

      …. Papà è soddisfatto, le zie mi mandano la loro santa benedizione, le cuginette sono in collera, gli amici del caffè si congratulano

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