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racchiude un esercito d'angeli e di santi scolpiti nel marmo, nel legno, dipinti, dorati, vestiti; in qualunque punto del pavimento il vostro sguardo si fermi, è spinto su di bassorilievo in bassorilievo, di nicchia in nicchia, di rabesco in rabesco, di dipinto in dipinto, fino alla vôlta, e dalla vôlta, per un'altra catena di sculture e di pitture, ricondotto al pavimento. Da qualunque lato volgiate il viso, incontrate occhi che vi guardano, mani che vi accennano, teste di cherubini che fan capolino, svolazzetti che par che s'agitino, nuvole che par che salgano, soli di cristallo che par che tremolino; una varietà infinita di forme, di colori, di riflessi, che v'abbagliano gli occhi e vi confondon la testa.

      Non basterebbe un volume a descrivere tutti i capolavori di scultura e di pittura che son sparsi in questa immensa cattedrale. Nella sagrestia della cappella del Conestabile di Castiglia è una bellissima Maddalena attribuita a Leonardo da Vinci; nella cappella della Presentazione una Vergine attribuita a Michelangelo, in un'altra una Santa Famiglia attribuita ad Andrea del Sarto. Di nessuno dei tre quadri si conosce sicuramente l'autore; ma quando vidi tirar la cortina che li copriva, e udii proferire con voce riverente quei nomi, mi corse un brivido dalla testa ai piedi. Provai per la prima volta in tutta la sua forza quel sentimento di gratitudine che dobbiamo ai grandi artisti, che resero il nome d'Italia riverito e caro nel mondo; compresi per la prima volta ch'essi non sono solamente illustratori, ma benefattori della loro patria; e non solo di chi ha intelletto per comprenderli ed ammirarli, ma anche di chi sia cieco alle opere loro, anche di chi non li curi, o gl'ignori. Perchè a chi manca il sentimento del bello, non manca l'orgoglio nazionale, e chi non sente neppur questo, sente almeno l'orgoglio suo, e gode nel profondo dell'anima quando non foss'altri che un sagrestano, all'udirgli dire: nacqui in Italia... gli sorride e si rallegra; e di quel sorriso e del suo godimento ei va debitore ai grandi nomi che non gli toccavan l'anima prima di uscir dai confini del suo paese. Quei grandi nomi l'accompagnano e lo proteggono, dovunque ei vada, come indivisibili amici; lo fan parere meno straniero fra gli stranieri; gli spargono intorno al viso un riflesso luminoso della loro gloria. Quanti sorrisi, quante strette di mano, quante parole cortesi di gente ignota dobbiamo a Raffaello, a Michelangiolo, all'Ariosto, al Rossini!

      Chi vuol vedere cotesta Cattedrale in un giorno bisogna che passi dinanzi ai capolavori correndo. La porta scolpita che dà nel chiostro ha fama di essere, dopo le porte del Battistero di Firenze, la più bella del mondo; dietro l'altar maggiore è uno stupendo bassorilievo di Filippo di Borgogna, rappresentante la Passione di Cristo, una composizione immensa, a cui si direbbe non possa esser bastata la vita d'un uomo; il coro è un vero museo di scultura d'una ricchezza prodigiosa; il claustro è pieno di tombe con su statue distese, e intorno una profusione di bassorilievi; nelle cappelle, intorno al coro, nelle sale della sagrestia, per tutto quadri dei più grandi artisti spagnuoli, statuette, colonne, ornamenti; l'altar maggiore, gli organi, le porte, le scale, le inferriate, ogni cosa è grande e magnifico, e desta e schiaccia nello stesso punto l'ammirazione. Ma a che pro aumentar parole su parole? La più minuta descrizione potrebbe dare un'immagine viva della cosa? E quando avessi scritto una pagina per ogni quadro, per ogni statua, per ogni bassorilievo, sarei riuscito forse a destare nell'animo altrui, solo per un istante, la commozione che io provai?

      Un sagrestano mi si avvicinò, e mi mormorò nell'orecchio, come se mi rivelasse un segreto:

      “Vuol vedere il Cristo?”

      “Qual Cristo?”

      “Eh!” rispose “si sa, quel famoso!”

      Il famoso Cristo della cattedrale di Burgos, che sanguina tutti i venerdì, merita un cenno particolare. Il sagrestano vi fa entrare in una cappella misteriosa, chiude le imposte delle finestre, accende due candele sull'altare, tira un cordoncino, una tenda corre, e il Cristo è là. Se al primo vederlo non pigliate la fuga, siete anime forti: un cadavere vero piantato sulla croce non vi metterebbe più orrore. Non è una statua, come le altre, di legno dipinto; è di pelle, si dice che è una pelle umana, imbottita; ha dei veri capelli e sopracciglia e ciglia e barba di pelo; i capelli intrisi di sangue, rigato di sangue il petto, le gambe, le mani; le piaghe che paion vere piaghe, il color della pelle, la contrazione del viso, l'atteggiamento, lo sguardo, ogni cosa terribilmente vera; direste che a toccarlo si deve sentire il tremito delle membra e il calor del sangue; vi par che le sue labbra si muovano, e stia per uscirne un lamento; non potete reggere lungo tempo a quella vista; vostro malgrado, torcete il viso, e dite al sagrestano:—Ho veduto!—

      Dopo il Cristo, bisogna vedere il celebre cofano del Cid. È un cofano sdrucito e tarlato, appeso ad una parete in una sala della sagrestia. La tradizione narra che il Cid portava seco questo cofano nelle sue guerre contro i Mori, e che i sacerdoti se ne servivano come d'altarino per celebrare la messa. Un giorno, trovandosi colle tasche vuote, il formidabile guerriero riempì il cofano di sassi e di ferramenti, lo fece portar da un ebreo usuraio, e gli disse:—Il Cid ha bisogno di denaro; potrebbe vendere i suoi tesori, non vuole; dategli il danaro che gli occorre, egli ve lo renderà fra breve cogl'interessi del novantanove per cento, e lascia intanto come pegno nelle vostre mani questo cofano prezioso che racchiude la sua fortuna. Ma ad un patto: che voi gli giuriate che non l'aprirete prima ch'ei v'abbia restituito l'aver vostro: v'è un segreto che non può esser noto ad altri che a Dio e a me: decidete.—O sia che gli usurai d'allora riponessero maggior fiducia negli ufficiali dell'esercito, o avessero un'oncia di più di minchioneria che quelli d'adesso, il fatto è che l'usuraio del Cid accettò la proposta, prestò il giuramento e diede il denaro. Se il Cid si sia più fatto vivo, non so; e neanche se l'ebreo abbia dato querela; il fatto è che il cofano c'è ancora, e che il sagrestano vi racconta celiando la cosa, senza sospettare neanco per ombra che sia una gherminella da briccone bollato, piuttosto che una burletta ingegnosa da galantuomo faceto.

      Prima di uscir dalla Cattedrale bisogna farsi raccontare da un sagrestano la famosa leggenda di Papa-moscas. Papa-moscas è un fantoccio di grandezza naturale, posto nella cassa d'un orologio, al di sopra della porta, nell'interno della chiesa. Una volta, come i celebri fantocci dell'orologio di Venezia, al primo tocco delle ore, usciva fuori del suo nascondiglio, e ad ogni tocco gettava un grido e faceva un gesto stravagante, del che i fedeli pigliavano un grandissimo diletto, i ragazzi ridevano, le funzioni religiose erano turbate. Un vescovo severo, per metter fine allo scandalo, fece recider non so che nervi a Papa-moscas, e d'allora in poi egli rimase immobile e muto. Ma non per questo si cessò di parlar dei fatti suoi e a Burgos, e in tutta la Spagna, ed anche fuori di Spagna. Papa-moscas era una creatura di Enrico III; e di qui vien la sua grande importanza. La storia è assai curiosa. Enrico III, il re dalle avventure cavalleresche, che vendette un giorno il suo mantello per comprarsi da mangiare, soleva andar ogni giorno, incognito, a pregare nella Cattedrale. Una mattina i suoi occhi incontraron quelli d'una giovine donna che pregava dinanzi al sepolcro di Fernando Gonzales; gli sguardi, come direbbe Teofilo Gauthier, si annodarono; la giovine arrossì, il Re le tenne dietro quando uscì dalla chiesa, e l'accompagnò fino a casa. Per molti giorni, nello stesso luogo e all'ora medesima, si rividero, si guardarono, si manifestarono cogli sguardi e coi sorrisi la simpatia e l'amore; e sempre il Re seguitò fino a casa la donna, senza dirle una parola, e senza ch'ella mostrasse di desiderare che gliela dicesse. Una mattina, uscendo di chiesa, la bella sconosciuta lasciò cadere il fazzoletto; il Re lo raccolse, lo nascose in petto e le porse il suo. La donna, suffusa di rossore, lo prese, e asciugandosi le lagrime, disparve. Da quel giorno Don Enrico non la vide più. Un anno dopo, essendosi il Re smarrito in un bosco, fu assalito da sei lupi affamati; dopo una lunga lotta ne uccise tre colla spada, ma già gli mancavan le forze, e stava per esser divorato dagli altri. In quel punto udì un colpo di fucile e uno strano grido, che volse in fuga i tre lupi; si voltò, e vide una donna misteriosa che lo guardava cogli occhi fissi senza poter profferire parola; i muscoli del suo viso erano orribilmente contratti, e tratto tratto un acuto lamento prorompeva dal suo seno. Riavutosi dal primo stupore, il Re riconobbe in quella donna la giovane amata della Cattedrale. Gettò un grido di gioia e si slanciò per abbracciarla; ma la giovane l'arrestò, esclamando con un sorriso divino: “Amai la memoria del Cid e di Ferdinando Gonzales, perchè il mio cuore ama tutto quello che è nobile e generoso; per questo amai te pure; ma il mio dovere mi impediva di consacrarti questo amore che sarebbe stato la felicità della mia vita. Accetta il sacrificio....” Ciò dicendo cadde a terra e spirò senza finire la frase, premendosi sul cuore il fazzoletto del Re. Un anno dopo il Papa-moscas si affacciava per la prima volta alla

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