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      Fatti due o tre giri, riuscii in una vasta piazza, chiamata Piazza Maggiore, o Piazza della Costituzione, tutta cinta di case color di melagrano, con portici, e nel mezzo, una statua di bronzo, rappresentante Carlo III. Non avevo ancora dato un'occhiata all'intorno, che un ragazzo avviluppato in una lunga cappa sbrandellata, strascicando due grandi ciabatte, e agitando in aria un giornale, mi corse incontro.

      “Vuole l'Imparcial, caballero?”

      “No.”

      “Vuole una cartella della lotteria di Madrid?”

      “Nemmeno.”

      “Vuole dei sigari di contrabbando?”

      “Neppure.”

      “Vuole...?”

      “Eh!”

      L'amico si grattò il mento.

      “Vuol vedere i resti del Cid?”

      Vivaddio, che salto! non importa: andiamo a vedere i resti del Cid.

      Andammo al palazzo municipale. Una vecchia portinaia ci fece attraversare tre o quattro piccole sale fin che s'arrivò a una stanza dove tutti e tre ci fermammo. “Ecco los restos,” disse la donna accennando una specie di cofano posto sur un piedistallo in mezzo alla stanza. Mi avvicinai, essa alzò il coperchio, io guardai dentro. Vi eran due scompartimenti, in fondo ai quali si vedevan alcune ossa ammonticchiate, che parevan frantumi di mobili vecchi. “Queste,” disse la portinaia “sono le ossa del Cid, e quest'altre le ossa di Ximene, sua moglie.”—Presi in mano uno stinco dell'uno e una costola dell'altra, li guardai, li palpai, li rigirai; ma non riuscendo a raccappezzare la fisonomia nè del marito nè della moglie, li rimisi. Allora la donna mi accennò una scranna di legno mezzo disfatta appoggiata alla parete, e un'iscrizione che diceva essere quella la scranna sulla quale sedettero i primi giudici di Castiglia Nunius Rasura, Calvoque Lainus, trisavoli del Cid; il che vuol dire che quel prezioso mobile sta ritto in quel medesimo posto dalla bellezza di novecent'anni. L'ho in questo momento dinanzi agli occhi, disegnato nel mio quaderno, a linee serpeggianti; e mi pare ancora di sentire la buona donna che mi domanda: “Es Usted pintor?” e mi mette il mento sulla matita per ammirare il mio capolavoro. Nella stanza accanto mi mostrò un braciere della stessa anzianità della scranna, e due ritratti, l'uno del Cid e l'altro di Ferdinando Gonzales, primo conte di Castiglia, tutti e due così confusi e slavati, da non porger l'immagine delle persone, meglio che gli stinchi e le costole dei due illustri consorti.

      Dal palazzo municipale fui condotto sulla riva dell'Arlanzon, in una spaziosa piazza con giardino, fontane e statue, circondata da graziosi edifizii nuovi. Di là dal fiume è il borgo Bega, più oltre le aride colline che dominano la città, ad un'estremità della piazza la porta monumentale di Santa Maria, che fu innalzata in onore di Carlo V, ornata delle statue del Cid, di Fernando Gonzales, dell'Imperatore. Al di là della porta appaiono le guglie maestose della Cattedrale. Pioveva, ero solo in mezzo alla piazza, e senza ombrello; alzai gli occhi a una finestra, e vidi una donna che mi parve una criada, che mi guardava e rideva, come per dire:—Chi è quel matto?—Colto così all'improvviso, rimasi un po' sconcertato, e fatta meglio un po' di faccia indifferente, me n'andai per la via più corta verso la Cattedrale.

      La Cattedrale di Burgos è uno dei più vasti, più belli e più ricchi monumenti della Cristianità. Dieci volte scrissi in capo alla pagina queste parole, e dieci volte mi mancò il coraggio di proseguire, tanto mi sento inetto e meschino, paragonando le forze della mia mente alle difficoltà della descrizione.

      La facciata è sur una piccola piazza, dalla quale si può abbracciare collo sguardo una parte dell'immenso edificio; dagli altri lati, ricorrono strade tortuose e strette, che impediscono la vista. Da tutti i punti del tetto smisurato s'alzano guglie snelle e graziose, sopraccariche di ornamenti di color calcareo fosco, sporgenti oltre i più alti edifizi della città. Sul dinanzi, a destra e a sinistra della facciata, sorgono due campanili acuti, coperti di sculture dalla base alla cima, traforati, cesellati, ricamati, con una delicatezza e una grazia che innamora. Più in là, verso il punto di mezzo della chiesa, sorge una torre straricca, essa pure, di bassorilievi e di fregi. E sulla facciata, sugli spigoli dei campanili, a tutti i piani, sotto tutti gli archi, da tutti i lati, una moltitudine innumerevole di statue d'angeli, di martiri, di guerrieri, di principi, così fitte, così varie d'atteggiamenti, e poste in così netto rilievo dalle forme leggiere dell'edifizio, da presentar quasi allo sguardo un'apparenza di vita, come d'una legione celeste posta a guardia del monumento. A risalir cogli occhi su per la facciata, fino al vertice delle guglie esterne, abbracciando a poco a poco tutta quell'armoniosa leggiadria di linee e di colori, si prova un senso dolcissimo come a sentire una musica che si elevi gradatamente da un'espressione di raccolta preghiera fino all'estasi d'un'ispirazione sublime. Prima ch'entriate nella chiesa, la vostra immaginazione spazia già fuori della terra.

      Entrate... Il primo moto che si desta in voi è un improvviso ringagliardimento di fede, se l'avete; è uno slancio dell'anima verso la fede, s'ella vi manca. Non vi pare possibile che quella smisurata mole di pietra sia un'opera vana della superstizione degli uomini; vi pare che affermi, che provi, che comandi qualcosa; vi fa l'effetto come d'una voce sovrumana che gridasse alla terra:—Sono!—vi solleva e vi schiaccia ad un tempo, come una promessa e una minaccia, come un bagliore di sole e uno scoppio di tuono. Prima di cominciare a guardare, provate il bisogno di ravvivar nel cuor vostro le scintille moribonde dell'amore divino; il sentirvi straniero dinanzi a quel miracolo di ardimento, di genio e di lavoro, vi umilia; il timido no che vi suona in fondo all'anima, muore come un gemito sotto il sì formidabile che vi rimbomba sul capo. Prima girate gli occhi intorno vagamente, cercando i confini dell'edifizio, che il coro e i pilastri enormi vi nascondono; poi il vostro sguardo si slancia su per le colonne e gli archi altissimi, e riscende risale e ricorre rapidissimamente le infinite linee che s'inseguono, s'incrociano, si rispondono, si perdono, come razzi incrociantisi nello spazio, su per le vôlte grandiose; e il cuore vi gode in quell'affannosa ammirazione, come se tutte quelle linee uscissero dalla vostra mente ispirata nell'atto stesso che le percorrete cogli occhi; e poi vi assale ad un tratto come uno sgomento, una tristezza che il tempo non vi basti a considerare, l'ingegno a comprendere, la memoria a ritenere le innumerevoli maraviglie che da ogni parte travedete, affollate, ammontate, abbarbaglianti, che piuttosto che dalla mano degli uomini, si direbbero uscite, come una seconda creazione, dalla mano di Dio.

      La chiesa appartiene all'ordine chiamato gotico, dell'epoca del Rinascimento; è divisa in tre lunghissime navate, attraversate per mezzo da una quarta, la quale separa il coro dall'altar maggiore. Sopra lo spazio compreso tra l'altare e il coro, s'innalza una cupola, formata dalla torre che si vede di sulla piazza. Voi volgete gli occhi in su, e restate un quarto d'ora a bocca aperta: è un visibilio di bassorilievi, di statue, di colonnine, di finestrelle, d'arabeschi, d'archi sospesi, di sculture aeree, armonizzate in un disegno grandioso e gentile, la cui prima vista mette un tremito e fa sorridere, come l'improvviso accendersi, scoppiettare e risplendere d'un immenso foco artificiale. Mille vaghe immagini di paradiso che rallegrarono i nostri, sogni infantili si spiccano tutte insieme dalla mente estatica, e volteggiando su su come uno stuolo di farfalle si vanno a posare sui mille rilievi dell'altissima vôlta, e girano, e si confondono, e il vostro sguardo le segue come se le vedesse davvero, e il cuore vi batte, e vi fugge dal petto un sospiro.

      Se dalla cupola volgete lo sguardo intorno, vi si offre uno spettacolo anche più stupendo. Le cappelle son altrettante chiese per vastità, per varietà, per ricchezza. In ognuna è seppellito un principe, o un vescovo, o un grande; la tomba è nel mezzo, e v'è stesa su la statua rappresentante il sepolto, col capo appoggiato sur un origliere e le mani giunte sul petto; i sacerdoti vestiti dei loro abiti più pomposi, i principi delle loro armature, le donne delle loro vesti di gala. Tutte coteste tombe son ricoperte di un ampio panno che ricasca dai lati e che assecondando i rilievi angolosi delle statue, fa parer che ci siano sotto davvero le membra irrigidite d'un corpo umano. Da qualunque parte uno si volga, vede lontano, fra gli smisurati pilastri, dietro i ricchi cancelli, all'incerto chiarore che scende dalle altissime finestre, quei mausolei, quei drappi funebri, quei rigidi profili di cadaveri. Avvicinandosi alle cappelle, si resta sbalorditi dalla profusione delle sculture,

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