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Chiana e dell'Arno. Le acque si scuotono e fremono in un continuo agitarsi d'oro e di azzurro, e direi quasi, sembrano palpitare di luce. Gli alberi al vento mattutino mormorando confondono le frasche, come giovani innamorati sussurrantisi nell'orecchio un misterioso favellio: dove te ne prendesse vaghezza, tu potresti ad una ad una annoverarne le foglie, tanto le contorna lucidissimo l'emisfero. L'iride cinge ogni erba; suona ogni pianta una voce d'armonia. Odi trasvolare per l'aria infiniti accordi divini, altri sottentrarne più rapidi e più melodiosi, nè ti è concesso distinguere donde si muovano o come ti arrivino; sicchè tu credi, ora sì, ora no, l'aura ti porti all'orecchio l'inno degli angioli, col quale al tornare della luce esaltano nelle sfere la gloria del Creatore. È un cielo puro e sereno: — un bel giorno d'Italia.

      Ma e perchè a tanta esultanza della natura non si mesce la voce dell'uomo? Chi trattiene nelle sue case il colono? Perchè non esce ai quotidiani lavori? L'eco non rimanda il muggito dei bovi; non si ascolta per le valli il tintinnio degli armenti; dai focolari non sorge nuvola alcuna di fumo la quale, paurosa di deturpare la maestà dei cieli, si tinga dei colori della conchiglia marina e rammenti lo schiavo costretto a mutare sembiante all'apparire del suo signore. Sarebbero forse venuti i tempi vaticinati nei quali il sole deve splendere invano? La morte ha inaridite la fonte delle lagrime umane? Il mondo alfine si è fatto cimiterio della universa stirpe d'Adamo?

      La città d'Arezzo, vuota anch'essa di gente come la campagna, — sembra la Gerusalemme di Geremia, o piuttosto Pompeia tolta dalla sua antica sepoltura di lava. Ma nella cittadella varie centinaja di uomini d'arme stanno disposte intorno alle artiglierie; silenziosi però ed immobili, come impietriti. Così la canzone moresca immagina stanziare nelle caverne dei monti di Granata per virtù d'incantesimi esercito infinito di Saracini, che sciolto un giorno da un guerriero fatale irromperà, distrutti gli infedeli, a restituire il sangue degli Abenceraggi nelle torri paterne dell'Alhambra[40]. Alzati i ponti levatoi; le sentinelle non mutano passo; non soffia alito che valga a muovere leggiermente le pieghe del gonfalone del comune di Firenze, inerte giù lungo la stacca; quivi sola par viva la corda apparecchiata a dar fuoco alle artiglierie per la colonna sottile e perpendicolare di fumo che tramanda verso del cielo.

      Fra i molti quivi raccolti per vesti o per sembianze notabili si distinguono due personaggi, quantunque di forme affatto diversi tra loro; — s'impadronirono entrambi di due colubrine lunghe, spigliate, che a bocca aperta paiono anelanti di balestrare contro i nemici la disperazione e la morte. Il primo appoggia il gomito destro sopra la parte anteriore della colubrina, e vôlto il cubito al capo, vi abbandona sopra la faccia; — la mano manca sta aperta sul pomo della spada; il corpo affida al femore sporgente e sul piede sinistro forte piantato sopra la terra, mentre la tocca appena con la punta del destro posto a traverso; grande era e bello, del tutto chiuso dentro modesta, ma forbita armatura; — il capo scoperto, e quindi appariva il volto, che un arcano pensiero e una cura insistente atteggiando a malinconia lo rendeva più gentile; le palpebre socchiuse velavano il suo sguardo; — certamente, l'anima commettendo all'onda delle sensazioni, egli gusta nel suo segreto la voluttà che muove all'aspetto delle maraviglie della natura.

      Tu lo incontrerai mai sempre dove si offre acquisto di gloria o pericolo d'avventura, imperciocchè egli sia Francesco Ferruccio. Udendo i Dieci della guerra come Malatesta avesse perduto Spelle e si fosse accordato di lasciare Perugia, gli mandarono Giovambattista Tanagli col protesto di seco lui condolersi per quella prima sconfitta, ma in sostanza poi per ordinare al Ferruccio e al Verazzano i duemila fanti delle milizie fiorentine ritirassero, ed in Arezzo sotto il comando di Antonfrancesco Albizzi, commissario della Repubblica nelle terre della Val di Chiana, riunissero. La qual cosa avendo il Ferruccio con molta prudenza operata, era rimasto in Arezzo con quella autorità che la virtù non manca di partecipare agli uomini superiori nei casi difficili. — L'altro, di membra maravigliosamente robuste, si assomigliava ai crepuscoli scolpiti da Michelangelo sopra le sepolture di Giuliano e di Lorenzo dei Medici, — curvo su la colubrina ne stringe i lati nelle ginocchia tenaci, ne afferra con le mani venose i manichi estremi, — il sommo del capo egli ha calvo, coperto di una pelle giallastra, se non che intorno intorno sopra le orecchie e dietro la nuca lo ricinge una corona di cappelli in parte neri, in parte bianchi, alcuni torti, tali altri irti, che ben parevano venuti in lite tra loro: le guance squadrate, la mascella e il labbro inferiore sporto in fuori, il superiore mezzo nascosto fra i denti, a cagione degli spessi morsi sanguinoso: le pupille infiammate gli balenavano tra mezzo i peli ruvidi del sopracciglio, a guisa di fuoco pei rovi d'una siepe: inoltre tutto crispato di rughe e abbronzito dal sole e cincischiato da non poche margini... davvero egli era un volto cotesto da fare nascondere spaventato un fanciullo nel seno della madre, da fare stringere sotto le vesti il pugnale al pellegrino che lo avesse incontrato per via: — e nonpertanto Giovannantonio da Firenze, bombardiere, soprannominato il Lupo, annoveravano come uno tra i pochi soldati che militando rispettasse la canizie dei prigionieri, perchè si rammentava la madre lasciata a casa, vecchia ed inferma; e ad ogni immagine della Madonna addolorata occorsa per la via si faceva devotamente il segno della croce e sospirava, perchè sentiva l'affanno della vecchia madre, sola nel mondo e priva del conforto di saperlo vivo: — uno dei pochi ai quali il nome santo di patria rabbrividisse le carni, spremesse dal ciglio dolcissime lacrime. In qual modo al cielo piacque poi balestrare quella testa sopra le spalle di Lupo bombardiere, — fosse caso o intenzione, — io per me non lo posso significare.

      Lontano lontano svoltando da un colle ecco apparisce una nuvola di polvere che pare dorata ai raggi del sole. Lupo volta subito la faccia al Ferruccio e lo vede immobile. La nuvola crescendo si dilata, sempre e più sempre si avvicina. Lupo guarda il Ferruccio, nè questi ancora fa sembianza di muoversi. Davanti la polvere adesso si scorge a correre un cavaliero di splendida armatura; ha la visiera alzata e mostra un volto di adolescente; — sprona un cavallo nero di sangue generoso; — nella destra stringe un'asta con pennoncello giallo, dove stanno ricamate le armi imperiali, — l'aquila dalla doppia testa.

      A giusta distanza pervenuto, egli scende dal corsiero, al braccio sinistro avvolge le briglie, con l'altro spinge di forza il calcio dell'asta e lo pianta nel terreno in segno di conquista.

      Lupo, stillando sangue dagli angoli della bocca, vibra uno sguardo feroce al Ferruccio.

      Chi per una notte di procella nell'onda travolta dagli dêi infernali ravviserà lo specchio del lago Trasimeno? — Certo, un dì le sue acque fremendo (e pareva che piangessero) tornarono indietro dal margine tranquillo tutte contaminate di sangue: atterrite esse videro sul campo dei Geti le reliquie misere della battaglia, dove travagliandosi ferocemente le belve umane non si addiedero del terremoto che sobissò centinaia di città italiche; e per le canne e il limo il genio del luogo sottrasse il cadavere del console Flaminio all'ultimo oltraggio per un Romano, — la pietà di Annibale; — ma per ordinario mite le blandisce il raggio della luna, e su la cheta superficie mestamente si spandono i rintocchi della campana del convento, posta nella isola maggiore del lago, che chiama i rivieraschi alla preghiera.

      Chi potrà adesso ravvisare il Ferruccio? Negli occhi dilatati scintillano trucemente le pupille: il volto per l'impeto del sangue gli si fece nero, le vene tra turgide e tese: con mani potenti stretta la colubrina, la volge a seconda de' suoi desiderii, quasi fosse una spada od altro più maneggevole arnese di guerra: con tutta l'anima nello sguardo mira attentissimo, — punta la colubrina, — la ferma e con voce terribile grida «Fuoco!»

      Non bene anche spirava su le labbra il comando, nè ancora i piedi tornavano a posarsi sopra la terra, donde schivandosi aveva spiccato un salto, che il bronzo balenò; — precipitando rimbombante contro del parapetto lo percosse, rimbalzò, stette; la palla mortale si era partita tra una vampa di fuoco.

      Vico Machiavelli, senzachè pure se ne accorgesse il capitano, con la miccia tesa da gran tempo aspettava impazientissimo il cenno.

      Il fragore del bronzo si diffuse lontano pei campi: d'eco in eco se lo rimandarono i monti circostanti, e, come se fosse stato il segno magico capace di levare l'incanto, le milizie fiorentine, d'inerti a un tratto divenute irrequiete, con sembianti diversi d'ira, di curiosità e di anelito accorsero alla spalletta per vedere; — e sopra gli altri Lupo e il Ferruccio con tutto il busto spenzolati dal muro, facendosi di ambe le mani solecchio allo sguardo contro la luce, spiavano bramosamente l'esito del colpo.

      Il cavaliero nemico, compito l'atto

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