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la medicina, si avviò per andarsene.

      Alfonso gli corse dietro e lo raggiunse in orto. Voleva sentire la sua opinione franca.

      Il dottor Frontini dichiarò che la malattia era molto ma molto grave, ma non escludeva la possibilità che il cuore potesse riprendere la sua attività regolare; ciò accadeva di spesso. S’era accorto dell’immensa angoscia impressa sul volto di Alfonso e aveva aggiunto la seconda frase per compassione. Vedendo che il medico lo guardava con attenzione, con la sua solita rapidità di percezione Alfonso comprese che la prognosi era stata modificata per risparmiarlo. Non poté lagnarsene. Egli conosceva quanto il medico stesso la gravità della malattia e il giudizio di costui non poteva tranquillarlo, ma per il riguardo che il dottore gli usava pensò di essersi ingannato sul suo conto. Certo almeno in quell’istante il dottor Frontini s’interessava all’ammalata. Era forse un vantaggio che alla signora Carolina derivava dalla venuta di Alfonso perché preziosa apparisce la vita di una persona prima di tutto per il valore che altri vi pone.

      Alfonso passò il resto della giornata accanto al letto della madre. Soffriva di non poter andare nel villaggio a salutare degli amici e rivedere qualche parte del caro nido, soddisfare il lungo desiderio. Ma non poté allontanarsi.

      Era rientrato nella stanza e la signora Carolina aveva ben presto espresso il desiderio di dormire; gli occhi le si chiudevano dal sonno. Egli si gettò sul letto del padre a guardarla addormentarsi. Ma per la signora Carolina era compito più difficile di quanto ella stessa sembrasse supporre. Precisamente quando stava per pigliare sonno, con un sussulto violento ritornava in sé. Qualche volta il sussulto era tanto violento ch’ella agitava le braccia come persona che perda l’equilibrio.

      — Non posso! — sospirò, e già rassegnata lo pregò che le parlasse per farle passare il sonno che non poteva soddisfare. Pronto, egli si alzò e si sedette accanto al suo letto. Anziché parlarle d’altro come ella avrebbe voluto, cercò di convincerla di tentare ancora di dormire. Ella chiuse gli occhi per compiacerlo ed egli rimase fermo a guardarla. Quando da un movimento quasi impercettibile del braccio egli comprese ch’ella stava per destarsi col solito sussulto, incapace di rimanere spettatore passivo, le afferrò nella sua la mano e ve la tenne stretta solidamente. Vedendo che l’ammalata si acquietava afferrò anche l’altra mano. Sorpreso e beato la vide addormentarsi di un sonno quieto, ristoratore, ma anche nel sonno, se egli soltanto rallentava la stretta delle sue mani, ella appariva subito meno sicura.

      Qualche vantaggio le poteva dunque ancora apportare e ne fu tanto lieto che per qualche tempo dimenticò il brutto pronostico fatto dal medico e la propria disperazione. Da lungo tempo non aveva provato una gioia così intensa e così pura! Pensò con disprezzo ai dolori che aveva sofferto in città. Che importanza poteva loro accordare in confronto ai sentimenti da cui era invaso accanto al letto della povera donna moribonda? Godeva ripensando alle parole di Francesca per le quali poteva credere che abbandonando la città tagliasse definitivamente la sua relazione con Annetta. Ora, a quel letto, non sentiva né rimorsi né rimpianti. La sua indifferenza dava il medesimo aspetto incolore tanto al suo amore per Annetta quanto alla ripugnanza che aveva sentito per essa. Tutta l’avventura mancava d’importanza, e se ne aveva, era unicamente per il fatto che casualmente era stata dessa che lo aveva portato più presto al suo posto, presso sua madre.

      Nelle lunghe ore ch’egli passò là, inerte, ragionò anche una volta sui motivi che lo avevano indotto a lasciare Annetta, ma come sempre il suo ragionamento non era altro che il suo sentimento travestito. La sua ripugnanza per Annetta, egli andava dicendosi, era spiegabile, anzi naturale. Non v’era nulla di comune fra lui e quella donnetta ch’egli aveva potuto conoscere tanto esattamente come se gli fosse stato dato di saperne ogni azione, ogni parola, ogni pensiero da lei avuto dacché era nata. Quando ella parlava dimostrava più che altro il desiderio di piacere, quando scriveva era vana, e vana e sensuale quando amava. Egli faceva dei confronti fra lei e la povera donna di cui sosteneva il sonno. Anche in quello stato la signora Carolina tradiva quanto avesse amato il marito e in quale modo; tanto umilmente che ancora ne conservava, ricordo vivente, i gesti, i modi che inconsciamente imitava, persino qualche cosa della fisonomia. Per lui sarebbe stata una tortura di vivere accanto ad Annetta. Lo avrebbe reso ricco e avrebbe ritenuto suo diritto di averlo a schiavo; la vanità e i sensi che l’avevano gettata fra le sue braccia potevano farla cadere anche con altri.

      — Ti sei seccato molto? — chiese la signora Carolina aprendo gli occhi verso sera. Nel debole chiarore del tramonto quegli occhi lucevano ridenti. Da lungo tempo non aveva dormito così bene e, dicendolo, per gratitudine, baciò le mani che Alfonso ora poteva ritirare.

      — Chissà, forse potrò vivere ancora! — Doveva sentirsi meglio di molto per parlare così e non occorreva di più per dare grandi speranze ad Alfonso. La baciò lungamente sulla fronte e le disse che avrebbero sempre passato insieme la vita che loro rimaneva; identificava le sue alle condizioni della madre per fortificarla nelle sue illusioni. Neppure allora ella non aveva speranze tanto grandi. Dichiarò che non sperava più di poter correre, saltare, forse neppure uscire di casa; magari in letto, ma voleva vivere.

      Cenò con lui che stava a guardarla estatico, meravigliato di vedersi svegliare in lei prontamente col desiderio la capacità di vivere. Volle non vedere nella fame svegliatasi improvvisamente nella madre che la naturale reazione di un organismo indebolito che vuole rifarsi, mentre la fretta con cui ella ingoiava il poco cibo che le riusciva di prendere dinotava piuttosto il vivo desiderio d’illudersi, la fretta di usare vantaggiosamente della tregua accordatale. Ben presto con ribrezzo volle allontanato l’apparecchio. Si stese nel letto e fu difficile capire se fosse veramente lieta di poter dire: — Da lungo tempo non ho mangiato tanto.

      La Giuseppina annunziò la visita del medico, ciò che scosse la signora Nitti. Meravigliata e seccata, disse ch’era la prima volta ch’egli sentisse il bisogno di venirla a vedere due volte in un giorno. Alfonso ridendo le chiese se volesse fargli il rimprovero che quel giorno veniva due volte oppure che gli altri non veniva che una. Con disprezzo ella rispose ch’egli non capiva nulla della sua malattia e che avrebbe fatto meglio a non venire affatto.

      Poi ella lo subì e non seppe o non si curò di nascondere che la sua visita l’annoiava. Egli si dimostrava premuroso, chiedeva notizie, dava consigli, ma non riceveva in risposta che monosillabi, e vedeva ricevuti i suoi consigli con silenzio interrotto da qualche esclamazione poco entusiastica:

      — Sì... sì... proverò anche questo se vuole. — Alfonso cercò di riparare alle mancanze della madre dando lui le risposte che il medico voleva dall’ammalata, ma comprese all’aspetto pallido di costui, al suo imbarazzo, all’interruzione improvvisa della visita, di non essere riuscito nel suo intento. Spaventato dall’ira ch’egli credeva covasse sotto all’affettata freddezza, gli corse dietro e con la franchezza che credeva essere la migliore politica gli chiese se fosse adirato per il contegno della madre. Attese con vera ansietà la risposta. Nelle vicinanze non essendoci altri medici gli premeva di renderselo amico. Il giovine medico ebbe il torto di esitare per un istante e poi quello maggiore ancora di dire con disprezzo, lisciandosi affettuosamente con una mano i grossi baffi:

      — Oh! questi vecchi, specialmente quando sono ammalati, perdono la testa! — Poi nulla aggiunse e non rispose nulla alla promessa di Alfonso che avrebbe indotto la madre a portare maggior rispetto a chi lo meritava. Il giovine medico era offeso e aveva anche l’intenzione di farlo sentire.

      Ritornato dalla signora Carolina, Alfonso volle convincerla che il dottor Frontini meritava di venir trattato meglio.

      — Ma sì, ma sì — rispose ella annoiata, — lo tratterò meglio, ma poi non due volte al giorno. — E immediatamente dimenticò il medico.

      Non aveva più voglia di dormire altro e passarono metà della notte a fare dei piani per l’avvenire. Ella doveva venir a vivere con lui in città. Per adescarla meglio a sperare, facendole credere nella sincerità delle sue speranze, le descrisse la vita in città cercando anche di abbellirla. Così dovette raccontarle molta parte delle proprie avventure e, visto che ne era la più importante, non seppe omettere completamente tutto quanto si riferiva a quella con Annetta. Raccontò della sua amicizia col vecchio Maller e con Macario e anche come passava le sere a scrivere il romanzo con

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