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      Era finalmente libero. Nessuno più avrebbe tentato di toglierlo dal suo proposito; sarebbe partito pur sapendo che con questo passo egli rinunziava ad Annetta. Francesca lo aveva convinto; la partenza equivaleva ad una rinunzia. Si sentì calmo e felice. Se quello che Francesca prevedeva si avverava, egli era liberato da ogni dovere e da ogni rimorso. Ella gli aveva detto che, abbandonato da Annetta, sarebbe ridivenuto il miserabile travetto di casa Maller. No! Egli sarebbe rimasto superiore anche alla posizione che Annetta aveva voluto fargli e la sua superiorità era stata dimostrata precisamente dalla sua rinunzia.

      Alla banca egli si sentì meglio il giorno appresso. Lavorava volentieri perché sapendo che nulla d’inaspettato gli poteva capitare si sentiva calmo, libero dalle paure che il giorno innanzi lo avevano travagliato e, rammentandosi del bisogno che aveva provato di confidarsi con qualcuno per averne consiglio o appoggio, stupì. Ora stava bene chiuso in se stesso col suo segreto che gli appariva quale un episodio interessante della sua vita.

      Cellani doveva parlare con lui, non egli con Cellani e così non temeva neppure quel colloquio. Non vedendosi chiamato fino a mezzodì ebbe una sola paura e cioè che Francesca, non avendo potuto convincere lui della necessità di rimanere, fosse riuscita a convincere Annetta ch’era preferibile di non farlo partire. Si trovava in mani loro e gli sarebbe toccato di ricevere da Maller i rimproveri meritati e poi, ciò ch’era ben peggio, assumere la parte di amoroso ardente.

      A mezzodì il piccolo Giacomo lo avvertì che il procuratore lo attendeva nella sua stanza. Alfonso perdette un poco della sua calma perché già aveva dubitato di non venir chiamato, e le cose inaspettate lo agitavano sempre.

      Il signor Cellani era solo e aveva il tavolo netto di carte. Per quel tavolo passavano tutti gl’innumerevoli documenti della banca e non lo abbandonavano che segnati da lui; già quell’ufficio di lettore delle lettere che arrivavano e di quelle che partivano doveva dargli un lavoro enorme.

      Cellani era uomo che facilmente s’imbarazzava e perciò Alfonso trattava con lui con maggior disinvoltura che con Maller. Dapprima il procuratore gli chiese come stesse, poi, con la parola come al solito stentata, spiritosamente osservò che generalmente non usava accordare che i permessi che gli venivano chiesti e ch’era la prima volta che si trovava obbligato ad offrirne.

      Visto che ne trattava tanto leggermente, si capiva ch’egli non era stato messo a giorno della ragione per cui veniva domandato quel permesso. Alfonso fu tanto tranquillo che fece anche lui dello spirito e trasse il procuratore dall’impaccio accusato.

      — Le chieggo questo permesso che non può offrirmi.

      — Accordato! — disse Cellani ridendo. — Non so bene di che si tratti, ma pare importi sommamente alla signorina Francesca e un pochino anche alla signorina Annetta che mi pregò di permetterle di partire immediatamente. Sono sicuro che non abuserà di tale permesso e che la rivedrò di qui a quindici giorni. — Lo pregò di avvertire Sanneo e di mettersi d’accordo con lui per il lavoro; era forse anche necessario che per quel giorno lavorasse più a lungo del solito. — Infine se il signor Maller le chiedesse la ragione per cui domandò questo permesso, gli dica qualche motivo buono che non ammetta obbiezioni. Dica per esempio ch’è fortemente ammalata sua madre; del male con ciò non le farà. — Poi lo congedò affettuosamente.

      — Si diverta e a rivederci.

      Sanneo era ancora tutto al suo lavoro, chino su un foglio di carta che riempiva con la sua grossa scrittura mormorando le parole che scriveva. Alfonso entrò e attese rispettosamente.

      — Dica pure! — disse costui senza alzare il capo.

      Alfonso cominciò a parlare dicendo senza rimorsi che sua madre era ammalata e che il signor Cellani aveva voluto accordargli un permesso di quindici giorni. S’accorse che Sanneo continuava a scrivere e a mormorare con accanimento quello che scriveva; doveva essere una polemica e nel suo ardore, — qualche ira per conto della banca Maller e C., — non doveva avere udito nulla di quanto gli era stato detto. Alfonso s’impazientò e con voce mutata concluse:

      — Parto domani.

      — Come, come? — chiese Sanneo sorpreso e alzando finalmente la testa. — Lei parte?

      Alfonso ripeté tutto quanto aveva già detto e Sanneo ebbe l’aspetto di persona seccata. La cosa aveva ora tutta la sua attenzione e depose persino la penna per staccarsi del tutto da altre idee. Il giorno prima aveva dato ordine ad Alfonso di assumere un nuovo lavoro, lo scontro di certi conteggi della liquidazione che, fino allora, dopo la dipartita di Miceni dalla corrispondenza, aveva fatto egli stesso. Era un lavoro che ogni quindici giorni lo costringeva a prolungare parecchio le sue ore di lavoro e dopo essersi risoluto di appiopparlo ad Alfonso, era spaventato di vederselo ripiombare addosso. S’era sottoposto a una fatica per consegnare il lavoro e insegnarlo ad Alfonso e diveniva ora fatica sprecata.

      — Se il signor Cellani gliene ha dato il permesso, — volontieri lo avrebbe messo in dubbio, — ella è libero di partire. Venne chiamato con dispaccio?

      — Sì! — rispose Alfonso seccato di dover dare dei particolari.

      — Oh! allora non c’è nulla da obbiettare, — disse Sanneo, — quantunque io in questi casi usi di non partire immediatamente e di attendere conferma della notizia che talvolta è data da parenti troppo presto spaventati.

      Però, visto che Alfonso nulla rispondeva a questa ch’era una proposta velata, Sanneo divenne improvvisamente l’amico cortese che prende congedo. Gli augurò di trovare la madre in buona salute e, volendo cancellare il cattivo effetto che potevano aver fatto le sue esitazioni, aggiunse ridendo:

      — Se anche trovasse sua madre in perfetta buona salute non rinunzi ad alcuna parte del permesso ottenuto. A rivederci dunque oggi a quindici.

      Maller non c’era più e Alfonso dovette ritornare al pomeriggio per congedarsi da lui. Lo trovò solo in stanza che lavorava accanitamente anche lui, delle annotazioni in un libretto tascabile. Alfonso stava per dire la bugia suggeritagli da Cellani, ma Maller lo interruppe:

      — Buon viaggio, signor Nitti, buon viaggio!

      Alfonso uscì inchinandosi; era malcontento. Lo turbava il contegno freddo di Maller per quanto poco per il momento gli premesse di venirne amato e calcolasse anzi sulla sua decisa opposizione per esser liberato dai suoi obblighi con Annetta.

      Gli unici impiegati che salutò all’infuori dei colleghi della corrispondenza furono Miceni e Starringer lo speditore. Salutò anche Marlucci, ma solo perché lo trovò in stanza con Miceni. Il toscano si contenne freddamente avendo compreso la ragione per cui Alfonso s’era ricordato di lui.

      Miceni si contenne meglio di tutti. Starringer aveva chiesto tutti i particolari e di quale malattia soffrisse la vecchia e da quanto tempo e come avesse potuto avvenire che fino allora egli nulla ne avesse saputo. Poi, dimostrando soltanto che non sapeva mettersi nei panni di un figliuolo che riceve l’annuncio del pericolo che corre la madre, disse:

      — Beato lei che va a casa, — e un’ombra di tristezza passò sul suo largo volto. Ah! egli non pensava che a se stesso, al permesso che aveva avuto il mese innanzi e che gli toglieva il diritto di chiederne altri per ben due anni. Ballina, dopo di essersi condoluto sentitamente, ebbe un grande dubbio:

      — I denari per il viaggio le vengono anticipati dal signor Maller?

      Con grande serietà, Miceni, che, si capiva, conosceva meglio gli usi del mondo, gli augurò di trovare la madre in buona salute. Lo esonerò poi dal seccarsi col salutare tutti gli altri impiegati e gli promise di scusarlo con essi. A lui Alfonso raccontò della fredda accoglienza che gli aveva fatta Maller, e Miceni fu al caso di tranquillarlo raccontandogli quali fossero le cause del malumore del principale.

      — È uomo che ha molti pensieri e giusto adesso è afflitto da una sventura di famiglia e da un accidente finanziario.

      Si trattava della demenza di Fumigi e del prossimo inevitabile fallimento della sua casa. Gli raccontò che, per affetto al nipote, Maller aveva dovuto addossarsi la liquidazione della sua casa, e che

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