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di riavere la sua pace e la sua tranquillità.

      A casa lo attendeva una lettera. Era di Annetta; ne riconobbe subito la scrittura, certi tratti rotondi e piccolissimi ch’egli aveva avuto l’occasione di conoscere lavorando con essa al romanzo. L’aperse subito. Forse in quella lettera v’era la parola che lo avrebbe tolto alla sua tortura. Potevano esserci o nuove affettazioni d’amore, o scuse ricercate per liberarsi da lui.

      S’ingannava! Nella lettera non trovò nulla di affettato.

      Scritta per raccontargli qualche cosa ch’egli non ancora sapeva, era dapprima tutta dedicata a questo fatto, un’esposizione serrata con qualche piccola osservazione che doveva togliere dei dubbî o prevenire qualche opposizione. Annetta cominciava col premettere con poche, semplici ma affettuose parole, ch’essi formavano ora una sola persona in quanto a scopi e interessi e che perciò ella si attendeva ch’egli riponesse intera fiducia in lei. Avrebbe perciò anche agito senza fargli ulteriori comunicazioni che, ella lo comprendeva, non potevano essergli aggradevoli. Ma ora le occorreva il suo aiuto. Ella intendeva di andare dal padre e dirgli subito tutto. Sarebbe stata una brutta scena e non c’era da meravigliarsene perché la sorpresa e anche il dolore non dovevano essere piccoli nel vecchio Maller che per la figliuola, a torto, ella s’affrettava di aggiungere, aveva sognato tutt’altra cosa. Ella non poteva ripromettersi di fargli mutare così presto di parere, e così Alfonso, per breve tempo bensì, ne era certa, sarebbe rimasto esposto a degli sgarbi forse anche a delle brutalità. Amandolo, ella avrebbe sofferto per ogni parola meno che dolce che a lui fosse stata diretta, e, per il decoro di Maller, gli proponeva che abbandonasse per qualche tempo la città. Aveva già detto al padre che Francesca aveva il desiderio di mandarlo con un suo incarico al villaggio e Maller stesso aveva promesso di fargli offrire il permesso. Ella lo pregava di accettarlo.

      La lettera si chiudeva, ma si riapriva in un poscritto, altre due facciate fitte fitte. Ella voleva rivederlo una volta, una sola volta prima della sua partenza e lo pregava di trovarsi la sera del giorno stesso accanto alla biblioteca civica, su quell’erta verso la villa Necker ove ella già altre volte lo aveva veduto. In casa sua non voleva perché prima della promissione desiderava di non trovarsi più sola con lui. Non gliene volesse male per questo. Ella s’era scoperta debole una prima volta quando tanti riguardi e tanti timori avrebbero dovuto sostenerla; sapeva quindi che avrebbe ceduto egualmente una seconda volta quando questi riguardi più non fossero esistiti.

      La lettera si chiudeva definitivamente con una frase con cui Annetta voleva spiegare e scusare la sua caduta: “Sai, caro, è l’amore che mi ha fatto cedere tanto facilmente, non il tuo coraggio, grande, a dire il vero. Io ti amavo da lungo tempo e tu lo sapevi. Quando mi abbandonavo ad una tua carezza ero altrettanto colpevole. Con te cedetti sempre, tu però non volesti sempre la stessa cosa”.

      Questa lettera, segnata da capo a fondo da un grande affetto, commosse Alfonso, ma in tutt’altro senso di quello che Annetta avrebbe potuto sperare. Ai suoi occhi restava inutile quello sforzo di apparire non rassegnata ma lieta e di far credere che, se non fosse stato già fatto, ella sarebbe stata disposta a fare di nuovo e perfettamente conscia di sé il medesimo passo. No, ella era caduta e agiva come la persona che cadendo cerca l’atteggiamento più elegante e più dignitoso e dimentica di stendere le braccia per salvare il capo dalla botta. Quella testina, portata sempre fieramente ritta sul collo, aveva battuto malamente il suolo e Annetta rinunziava di levarla mai più in alto. In quella lettera a lui parve che, ove cessava la sensualità, cominciasse il contegno indicato da un ragionamento di necessità.

      Ora, ora appena comprendeva perché, dopo raggiunto lo scopo cui aveva mirato da sì lungo tempo, anziché felice si sentisse inquieto e disgustato. Non era così ch’egli avrebbe voluto ottenere la ricchezza, anche rassegnandosi a riceverla da Annetta. Si rammentava di aver sperato di raggiungere il medesimo scopo per tutt’altra via. Annetta avrebbe dovuto dichiarargli serenamente ch’ella lo amava e che riconosceva di non saper porre il proprio destino in migliori mani che nelle sue! Molto tempo prima aveva riconosciuto ch’era inammissibile che il suo sogno si realizzasse ed era proceduto oltre trascinato dalla sensualità, non da altri scopi. Annetta era la più colpevole fra i due perché le scuse ch’egli aveva trovate per sé, per lei non sussistevano. Ella aveva agito per sensualità e per vanità, dal principio sino alla fine. Egli aveva sempre avuto il conato d’ingentilire il loro amore con la parola e coi modi mentre ella non aveva che tollerato in lui quest’amore senza mostrare di dividerlo. Così egli s’era ritrovato con un sentimento che aveva finito coll’essere simile a quello di Annetta: cessava quando cessava il desiderio. Eppure più di qualunque altro dubbio lo turbava la compassione che gli destava Annetta. Ella era stata colpita proprio nella parte più importante della sua vita, nella sua superbia, e prima o poi ne avrebbe sofferto orribilmente.

      Non s’era mai sentito tanto infelice alla banca come quel giorno, quantunque dopo ricevuta quella lettera lavorasse rapidamente e bene quasi avesse voluto apportare qualche utile al signor Maller per indennizzarlo della mala azione fatta in suo danno. Lo incontrò sul corridoio e gli s’inchinò profondamente per fargli buona impressione. Nel pomeriggio venne improvvisamente invitato da Santo di portarsi dal signor Maller. Trasalì. Maller ben di rado aveva bisogno di parlargli, e andando da lui, pensò che Annetta avesse parlato prima del tempo, lasciandolo impreparato dinanzi alla collera del padre. Si trattava invece di affari d’ufficio. Fu tanto imbarazzato che il signor Maller lo guardò con curiosità, certo pensando che la letteratura non era fatta per rendere i suoi cultori più disinvolti.

      Il motivo ai suoi sogni ulteriori era dato precisamente da questo spavento. Si vedeva chiamato dal signor Maller, più addolorato di dover maritare a lui la figliuola che del disonore di costei. Lo accoglieva con rimproveri e insulti che non cessavano neppure quando egli dichiarava che, i fatti pur comportandosi a quel modo, le conseguenze da trarne non erano quelle che il signor Maller riteneva perché egli, se così si voleva, si sarebbe ritirato e avrebbe rinunziato ad Annetta conservando il segreto come una tomba. Ah! egli poteva fare ben poco per diminuire l’ira di Maller al quale la sua colpa doveva sembrare enorme. E per quanto egli avesse voluto imporre le sue condizioni, — rifiutare consensi strappati per forza, — non ne aveva alcuna libertà. Doveva assoggettarsi al volere di coloro nelle cui mani era posto il suo destino.

      Durante la giornata sentiva ardente il bisogno di confidarsi con qualcuno. Gli costò molto di non parlarne affatto con Ballina, in stanza del quale passò metà della giornata, per non sentirsi tanto solo co’ suoi pensieri. Provava il bisogno di sentire il parere di qualcuno non acciecato da utopie come, a quanto gli era stato detto di spesso, era lui. Il comune degli uomini pensava forse tutt’altrimenti e la parola di un amico avrebbe potuto alleggerirgli la coscienza se anche non portarlo a tripudiare di una cosa che non gli si confaceva.

      Ma con Ballina seppe trattenersi. White abbandonava il giorno appresso la banca, e ne parlò a lui togliendo al fatto i nomi e ogni particolare più concreto. Gli raccontò che un giovane di sua conoscenza aveva corteggiata una ragazza molto più ricca di lui e che veramente di lui non ne voleva sapere, finché, colta in un momento patologico, gli aveva ceduto e mutato di parere per necessità. Il giovane a fatto compiuto esitava ad approfittare della sua cattiva azione per mettersi in circostanze che, lo prevedeva, non potevano di certo dargli la felicità.

      White lo guardò col suo sguardo calmo, non uso ad offuscarsi per le preoccupazioni altrui e rispose:

      — Bisogna conoscere altri particolari. Se il giovine ama la ragazza, l’affare è certamente buono; se non l’ama, pessimo.

      Aveva proprio messo il dito sulla piaga e così, imposto da altri, Alfonso non poté sorpassare senza risposta quel dilemma che già dalla mattina gli torturava il cervello. L’aveva amata ma non sapeva se l’amasse ancora. Era accaduto qualche cosa che avesse dovuto togliergli tale affetto? No, ma non l’amava! Per lui il quesito era sciolto, ma non volle dirlo a White.

      — Se non l’ama, — continuò White, — gli consiglio di togliersi senz’alcun riguardo da qualunque impegno perché è affare sconsigliabile sempre e in tutte le circostanze. Non lo si crederebbe, ma pure ancora esistono a questo mondo delle cose che non si possono vendere.

      Egli parlava gravemente e commosso, ma Alfonso comprese che la

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