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e chiassosi.

      Annetta doveva aver riflettuto lungamente allo strano contegno di Alfonso perché la sera appresso egli la trovò tranquilla e serena, sempre amichevole, con una certa aria di superiorità sorridente che le stava bene. Al vederli ora insieme, sembrava che per un tacito accordo fossero ridivenuti buoni amici e null’altro, Alfonso persino timido. Ah! invece egli soffriva già disperando, e rimpiangeva quelle serate in cui non ancora gli era stato consigliato di essere astuto. Era molto male ch’ella non gli tenesse il broncio. Non aveva sperato di aver a udire delle parole di rimprovero, ma neppure pensato che così presto ella avrebbe saputo far mostra di tanta indifferenza. Poteva ancora far dubitare della sincerità di tale freddezza unicamente il fatto che Annetta non gli dava alcuna lode di aver finalmente assunto il contegno ch’ella aveva desiderato. La lode gli sarebbe spettata e in Annetta era una mancanza del suo preteso freddo raziocinio il non avergliela data. Della novità nel contegno di Alfonso ella non parlò mai; cercava mostrar di non essersene accorta e questo silenzio fu l’incoraggiamento che indusse Alfonso a perseverare.

      Una sera, otto giorni dopo, ella lo accompagnò fino alla porta del tinello e si ritirò frettolosamente con un piccolo inchino cerimonioso. S’era contenuto male! Già stanco e freddo perché gli mancava ogni stimolo, non s’era curato di usare ad Annetta gli altri mille riguardi di cui aveva riconosciuto che specialmente allora c’era bisogno con essa per non alienarsela del tutto. Aveva omesso di dimostrarsene innamorato! La sua parte, da bel principio egli se lo era detto ed era stato per sciocca inerzia che della sua osservazione non aveva fatto miglior uso, la sua parte doveva essere sempre da innamorato ragionevole che si contenta di uno sguardo o di una stretta di mano, ma innamorato doveva apparire.

      Ebbe, finché non la rivide, un’immensa inquietudine. Temeva che in una o altra forma ella gli desse quel congedo ch’egli già aveva temuto di ricevere per le sue arditezze; non avendolo ricevuto allora per quelle cause, era possibile che gli venisse dato ora per queste. Si vide ridotto a mal partito e se la prendeva nella sua mente con Francesca e il suo consiglio. Si propose di andare da Annetta a chiederle perdono raccontandole perché avesse assunto quel contegno. Non si sentiva colpevole e si riprometteva di convincerla che non lo era. Aveva voluto renderla più mite e più arrendevole e le avrebbe detto che non aveva fatto altro che imitare l’astuzia usata dal loro eroe stesso. La scusa era facile ed anzi dalla freddezza a cui s’era costretto in quei pochi giorni poteva forse già ritrarre qualche frutto.

      Comprese dai modi riservati ma gentili di Annetta che il pericolo temuto era più lontano di quanto egli avesse creduto e la riservatezza di Annetta lo fece suo malgrado, per timidezza, continuare nel contegno che aveva risoluto di lasciare. Passò la serata molto aggradevolmente. Come sempre, gli bastava di uscire da un’incertezza, da un timore, perché il rivedere Annetta fosse per lui un’immensa felicità. A passare gradevolmente il tempo provvide la sua agitazione, essendo sempre là pronto a gettare le braccia al collo ad Annetta e a ritornare a quella sua posizione soggetta che gli offriva tante gioie. Non ebbe bisogno di sforzo per ricordarsi che ad Annetta sempre bisognava fare la corte. Egli l’amava, l’amava almeno per quella sera, e così non l’aveva amata dal giorno in cui aveva osato di baciarla per la prima volta sulle labbra. Erano di nuovo di quelle trepidazioni che aumentano il desiderio. Egli parlò meglio del solito e azzardò delle allusioni al suo amore come se altre volte non avesse già fatta la sua dichiarazione ardita. Si ritrovò balzato di nuovo a quella freschezza d’impressione che dà la cosa del tutto nuova e Annetta ascoltava e sorrideva. Mai ella non gli era apparsa tanto arrendevole. Altre volte s’era lasciata abbracciare mentre ora non accordava che parole e sguardi, ma prima, concedendo, aveva sempre dimostrato il dispiacere di non saper resistere, mentre ora dava prontamente quello che le si domandava e più.

      Naturalmente egli fu subito riconciliato col consiglio di Francesca e la sua energia fu di nuovo quale era stata in seguito all’offesa di Annetta. Monologando come sempre quando era agitato, egli andava dicendosi beato che Annetta nelle sue mani abili diveniva cera molle cui egli avrebbe dato la forma che avrebbe voluto. Pensandolo moveva le dita come se avesse avuto in mano quella cera.

      Ad Annetta non rimaneva che l’aria di superiorità, la parola più franca quindi e che ancora talvolta sonava imperiosa. Realmente questa superiorità non sussisteva più e più visibile si manifestava la differenza nel suo contegno quando si trovavano dinanzi a terzi; fra tutti, egli restava sempre la persona di cui ella aveva maggior cura. Persino nelle discussioni che pur ancora avvenivano sul romanzo, egli, e per quanto poco gl’importasse, riportava sempre la vittoria.

      Non sapeva se per questi mutamenti potesse nutrire grandi lusinghe, ma grande lusinga non gli sembrava sperare di portar la loro relazione al punto a cui già si era trovata, ma questa volta col consenso esplicito di Annetta. Egli rimandava da un giorno all’altro quel passo che prima o poi doveva fare e che gli avrebbe fatto conoscere con piena sicurezza i risultati ottenuti, ma otto giorni più tardi neppure pensava a fare tale passo perché troppo bene si sentiva come era. Egli aveva sperato di udire delle parole di amore, ma ora sarebbe stato poco abile a chiederle. Sarebbe equivaluto a retrocedere.

      Erano stati per delle ore intere uno accanto all’altra non parlando mai di amore e sempre ambidue con la dolcezza nella voce e nel modo come se ne parlassero. Anch’ella interrompeva delle frasi incominciate perché poco le importava di compierle ed egli non aveva curiosità di udirle perché comprendeva ch’ella veramente nulla aveva da dirgli. Finalmente ella si trovava nella condizione d’animo in cui tante volte egli s’era trovato. Amava o almeno desiderava.

      Di spesso, molto di spesso dacché era intervenuta quale consigliera, Francesca assisteva alle loro sedute ed era causa non piccola che i due amanti rimanessero stazionarii.

      Nella felicità egli volle dimostrarsi riconoscente a colei cui egli credeva di andar debitore della sua felicità. Dimenticò il modo con cui il consiglio gli era stato dato e con quella franchezza che gli era propria quando credeva di fare un atto doveroso disse a Francesca stringendole la mano:

      — Grazie, grazie.

      — Di che? — chiese Francesca con isdegno. Poi quando spaventato egli si ritirava ritenendo che Francesca fosse sdegnata perché con quel ringraziamento si vedeva accusata di una complicità che non voleva ammettere, violentemente ella scoppiò nelle parole:

      — Se tubano come colombi, non ne ho mica io la colpa.

      Ancora sempre e di nuovo ella era malcontenta di lui e sembrava ch’egli non avesse perfettamente inteso il suo consiglio. Egli se ne adirò perché per il momento non si sentiva disposto a tendere dei tranelli ad Annetta. Andava dicendosi che Francesca s’ingannava credendo che per compiacerla egli avrebbe osato delle novità quando si sentiva tanto bene come era. In cosa di tanta importanza voleva avere il suo parere proprio.

      Il suo proprio parere? Più tardi non avrebbe osato di asserire che le cose fossero camminate a quel modo per suo volere.

      Il fatto si è che, calcolata per commovere Annetta, la sua freddezza aveva apportato altrettanto danno a lui. I suoi sensi erano stati agitati dalle promesse mai mantenute ripetute ad ogni loro convegno. Prima nel tentativo di rubare una carezza o un bacio, la sua mente era stata conservata in una continua attività verso una meta e, questa meta raggiunta, i suoi sensi si erano calmati nella soddisfazione che, per quanto relativa, era però quella ch’essi avevano cercata. Ora invece gli mancava ogni attività e ogni soddisfazione ed egli nell’inerzia analizzava i propri desiderî mai soddisfatti né calmati e li rendeva più acuti. Ma anche per altre cause, naturalmente, erano divenuti più forti. Egli credeva ora che Annetta sentisse i suoi medesimi desiderî e quando pensava che acciocché questi due desiderî s’incontrassero bastasse il suo volere, il suo ardire, egli si sentiva rimescolare il sangue. L’idea della vicinanza di tanta felicità gli dava le vertigini. I suoi sogni prendevano sempre più l’aspetto della realtà. Conosceva o credeva di conoscere il suono di voce o lo sguardo con cui Annetta lo avrebbe amato. Una sera con gesto selvaggio volle attrarla a sé. Con un grido di spavento ella sfuggì all’abbraccio. Perché l’improvviso spavento? Ella sapeva prima di lui stesso ciò ch’egli voleva?

      Quando era presente Francesca, Alfonso parlava molto e di cose che non aveva mai né amate né odiate. Comprendeva

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